Predicare e razzolareRivoluzione sessuale? Macché: siamo diventati una società di bacchettoni globali

Chiude il quartiere a luci rosse di Amsterdam, ritorna il divieto di aborto negli Usa, e pure il gelato deve essere ipocalorico: improvvisamente ci siamo riscoperti ossessionati dall’etica. Ipocrisia pura: nel mondo virtuale succede l’opposto

ANOEK DE GROOT / AFP

E così sembra che il quartiere a luci rosse di Amsterdam abbia i mesi contati, e che quel luogo mitologico, un tempo ritenuto un esempio per una gestione ragionevole e finalmente laica del fenomeno della prostituzione, sia destinato a scomparire.

Intendiamoci: negli anni sono uscite diverse inchieste che hanno messo in luce come il modello olandese presentasse delle contraddizioni, ma se a protestare in prima fila contro la proposta troviamo le prostitute stesse – riunite in regolari associazioni di categoria – significa che forse, al Red Light District, le cose non funzionano esclusivamente come le descrive la sindaca Femke Halsema. Altro che esempio: per la prima cittadina il meretricio di Stato farebbe da attrattore di illegalità ancora più strutturate, a cominciare dal riciclaggio, e non sarebbe consono a un quartiere del centro, i cui cittadini hanno diritto ad un ambiente “più pulito, più ordinato, più tranquillo”.

Ed è proprio questo passaggio a colpire, perché – come sostengono le stesse prostitute – è impossibile fare a meno di scorgerci un’abbondante porzione di quel moralismo che anno dopo anno si è impossessato delle nostre vite, quell’ossessione per l’etica che ormai ha drasticamente rimesso in discussione anche le conquiste che non più tardi di un decennio fa pensavamo essere acquisite per sempre.

Il moralismo del terzo millennio è come l’acqua, e si insinua sia nei canali delle grandi questioni politiche che nei rigagnoli delle facezie

Pensavamo che l’aborto fosse una questione chiusa, e invece abbiamo scoperto che in certe zone degli Stati Uniti viene nuovamente considerato omicidio. Oppure, pensavamo che il diritto di una persona ad esercitare legalmente il mestiere più antico del mondo fosse un punto d’arrivo ineluttabile, e invece la città che un tempo credevamo all’avanguardia sembra intenzionata a tornare sui propri passi. Non è una questione di questa o di quella parte politica: sono i partiti e gli opinionisti e i giornali di ogni colore ad essere diventati bigotti come nemmeno negli anni ‘50, come se davvero ad ogni curva, anche la più insignificante, la società occidentale corresse un pericolo inaudito.

Già, perché il moralismo del terzo millennio è come l’acqua, e si insinua sia nei canali delle grandi questioni politiche che nei rigagnoli delle facezie, non risparmiando nemmeno i peccati di gola: persino il gelato deve essere ipocalorico, sa mai che una botta di carboidrati in più possa mettere in discussione la nostra identità.

E il paradosso è che mentre tutto questo accade nel mondo reale, in quello virtuale succede l’esatto contrario. Instagram ha sdogato l’esibizione di se stessi senza alcun limite o pudore, tanto che c’è da chiedersi cosa debbano inventarsi le lavoratrici dell’industria del sesso per fare in modo che i passanti alzino lo sguardo dalla loro timeline per osservarle nelle vetrine. Su WhatsApp è assolutamente normale scambiarsi foto o meme o battute irriferibili, senza che nessuno si scandalizzi. I giornali riportano quotidianamente storie di minorenni che si spogliano in cambio di un like, o ragazzini che spaccano la faccia a uno sconosciuto ripresi dal telefonino dell’amico per fare il pieno di views.

È come se ormai esistessero due realtà uguali e nello stesso tempo separate, come se tutti – chi più, chi meno – avessero due vite parallele

È come se ormai esistessero due realtà uguali e nello stesso tempo separate, come se tutti – chi più, chi meno – avessero due vite parallele: una pubblica, in cui si possono solo compiere atti moralmente accettati, sempre col sorriso sulle labbra come nelle foto con i filtri; e una privata, in cui, illuminati solo dalla luce dello schermo del proprio smartphone, si possa finalmente strafogarsi con le proprie pulsioni indecenti senza rischiare di venire emarginati, stando sempre attenti a cancellare la cronologia e ad aggiornare frequentemente la password.

Viene da chiedersi quali saranno, e quali già siano, le conseguenze di questo sfasamento nel lungo periodo; quanto a lungo, cioè, possa continuare questo gioco di far finta basato sull’assurda pretesa che si possa davvero disciplinare tutto nel nome del decoro, e trasformarsi in uomini assolutamente buoni come nemmeno il Principe Myskin.

A prima vista, lo scenario sembra tutto fuorchè rassicurante: opinioni radicali, e in certi casi pure criminali, che un tempo sarebbero state scacciate come le zanzare per effetto dell’autocensura, ora trovano diritto di cittadinanza nelle chat e nei commenti sui social, e da li, a poco a poco, si fanno largo al bar, al mercato, in balera, facendo a loro volta la fortuna di chi è abbastanza spregiudicato per cavalcarle, in ogni ambito.

La finzione, insomma, genera effetti contrari, come dimostrano gli insulti urlati verso Carola Rackete, così come i commenti sotto un qualsiasi video Youtube. Forse, invece che continuare a pensare solo alle vetrine, sarebbe il caso di cominciare ad occuparsi delle fondamenta.

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