Ogni vacanza ha il suo stile. O meglio: la sua categoria. Secondo gli studiosi di scienze sociali che si sono concentrati sul turismo, ce ne sono almeno sei: la vacanza “Paradiso”, quella “Selvaggia”, le “Rovine”, le “Culture estranee” e il “Parco Giochi”. Sembrano pacchetti vacanza già preparati. E di fatto lo sono: la vacanza occidentale contemporanea rientra in una di queste categorie per necessità. A volte ne mescola un paio (“Culture Estranee” e “Rovine”), ma gira sempre intorno allo stesso principio: la fuga. Come si dice qui, il modo in cui viene declinato, però, permette anche di classificare le persone.
La vacanza “Paradiso”, quella più da cartolina, è la più semplice da immaginare. Spiagge esotiche in resort di lusso, pomeriggi passati in riva al mare a gustare mojiti da favola collegati alla rete wi-fi. La difficoltà, in questo caso, è conciliare il sogno del locus amoenus con le richieste tecnologiche sempre più avanzate. Come si nasconde il necessario processo industriale per mantenere intatta l’illusione del luogo vergine?
La vacanza “Selvaggia” è, invece, la declinazione meno abbiente della “Paradiso”. Si va sempre in mezzo alla natura, ma non quella incantata fatta da acque cristalline, bensì quella ruvida, scontrosa delle foreste, della giungla, degli animali pericolosi e degli insetti. Una vacanza dove il distacco tecnologico è voluto, l’unico tetto è rappresentato da una tenda per uomini duri che, intorno al rituale antico del fuoco, ritrovano un assaggio di vita più autentica, in opposizione all’esistenza debosciata della quotidianità cittadina.
Altro giro, altra retorica. Le “Rovine” permettono di fuggire, oltre che nello spazio (anche solo per raggiungere il sito archeologico), nel tempo. Funzionano da portale della nostalgia, cancellando in via temporanea il presente: fanno lavorare la fantasia proiettando la mente, attraverso le spoglie rimaste, in un passato immaginario. Non a caso le visite a Gerusalemme si concentrano nella rivisitazione dei monumenti romani/ebraici dell’epoca pre-cristiana, o proto-cristiana, e ignorano (quasi con fastidio) tutte le tracce successive dell’epoca bizantina e ottomana.
Lo stesso discorso, ma senza il salto nel passato, è la vacanza “Culture estranee”. Più o meno una sorta di Pechino express continuo, che funziona meglio se messo in atto in luoghi lontani e diversi (il sudest asiatico, per esempio, è un caso da manuale. Ma anche l’Africa). Le popolazioni locali diventano l’attrazione principale: le loro abitudini, in poco ormai diverse dalle nostre, diventano qualcosa di esotico in cui rispecchiarsi e con cui confrontarsi. Lo stesso vale per le tradizioni, a volte tenute in piedi soltanto per appagare le attese dei turisti ammaestrati.
Infine, il “Parco giochi”. Che va dalla vacanza obbligatoria per i genitori, ma stupenda per i figli, a Disneyland (anche se poi i genitori si divertono comunque) al safari africano, dove i giochi sono gli animali e il carrellino automatico della giostra una jeep. Il principio è lo stesso, la vacanza anche. E la fuga si realizza anche così.