Boris Johnson ha trovato il modo di terminare la Brexit il 31 ottobre. Con o senza accordo con l’Unione europea. Con una mossa a sorpresa ieri il premier del Regno Unito ha ottenuto dalla regina Elisabetta il permesso di sospendere i lavori del Parlamento inglese dal 12 settembre al 14 ottobre. Si tratta della più lunga pausa della Camera dei Comuni dal 1945. Una decisione normale in tempi normali, necessaria per dividere una sessione parlamentare che dura in media un anno da quella successiva. Ma nell’era Brexit le opposizioni hanno definito la scelta come un colpo di Stato, perché lascerebbe ai deputati poco meno di una settimana per poter influenzare il negoziato sull’uscita dall’Ue, prima della scadenza fissata al 31 ottobre. Come insegna la crisi di governo italiana, la politica si fa anche con i calendari alla mano. La sospensione di Johnson durerà una settimana più del previsto
La regina non poteva opporsi per consuetudine alla richiesta legittima del premier e leggerà il programma scritto dal governo il 14 ottobre nel suo Queen’s speech, inaugurando la nuova sessione parlamentare. Dopo seguiranno cinque giorni di dibattito e due votazioni. Tradotto: i deputati potranno occuparsi della Brexit solo dal 22 ottobre. Neanche dieci giorni per intervenire con una legge che limiti l’azione del governo. Il problema è che tutti i partiti del Parlamento concordano solo su come non fare la Brexit e finora si sono limitati a bocciare qualsiasi proposta, compreso l’accordo siglato da May con la Commissione europea, rigettato tre volte dall’Aula. Fin dal primo giorno della campagna elettorale per diventare leader del partito conservatore Johnson ha chiarito, salvo poi smentire, che avrebbe fatto di tutto pur di non rimanere ostaggio del Parlamento. Non a caso la sua mossa è avvenuta il giorno dopo in cui le opposizioni si erano messe d’accordo per fare una legge che spostasse la scadenza della Brexit oltre il 31 ottobre. Coincidenze?
Delle due l’una: il Parlamento non riuscirà a votare in tempo un’alternativa concreta per evitare lo scenario del no deal, oppure Johnson chiuderà con Bruxelles un accordo molto simile a quello siglato da May
L’obiettivo del premier è quello di arrivare al Consiglio europeo del 17 ottobre, secondo molti decisivo per capire se ci sarà o meno l’accordo con Bruxelles, senza leggi o vincoli della Camera dei Comuni che limitino la capacità negoziale del governo. La mossa di Boris è uno scacco matto per portare a casa la Brexit in un modo o nell’altro. Delle due l’una: il Parlamento non riuscirà a votare in tempo un’alternativa concreta per evitare lo scenario del no deal, oppure Johnson chiuderà con Bruxelles un accordo molto simile a quello siglato da May e ai parlamentari non rimarrà altro che accettarlo negli ultimi secondi prima della scadenza per evitare uno shock economico al Regno Unito. In ogni caso Boris avrà fatto quello per cui è stato eletto dai conservatori: realizzare la Brexit. E pazienza se la sterlina è crollata e un rapporto governativo segnala la scarsità di carburante, alimenti e risorse primarie in caso di un’uscita senza accordo.
In teoria il partito laburista, i nazionalisti scozzesi e i liberaldemocratici hanno una strada per evitare tutto questo: sfruttare la finestra dal 3 al 12 settembre in cui la Camera dei comuni resterà aperta per tentare una mozione di sfiducia contro Johnson e far cadere il governo. La maggioranza formata dai conservatori e il Dup, il partito unionista nordirlandese si regge finora su un solo deputato di vantaggio dopo che i tories hanno perso il 1 agosto le elezioni suppletive nel seggio del Brecon Radnorshire a favore dei libdem. Ma secondo fonti inglesi alcuni funzionari di Downing Street hanno fatto sapere che Johnson non si dimetterà in caso di sfiducia e così traghetterebbe da dimissionario il Regno Unito fuori dall’Ue. Per fermarlo bisognerebbe formare un governo alternativo entro due settimane o ma le opposizioni non sembrano avere i numeri per farlo. Il paradosso dei remainers è sempre quello: si riuniscono per organizzare piani e strategie da mesi ma traccheggiano e non escludono nessuna opzione dal tavolo. La differenza questa volta è che il premier non è più Theresa May, rispettosa della volontà del Parlamento, ma Boris Johnson.
Forse confusi da questo gioco di palazzo, gli inglesi si sono scordati dell’altro attore in campo: l’Unione europea. Sia il presidente del Parlamento europeo David Sassoli che il coordinatore per la Brexit dell’Europarlamento Guy Verhofstadt, hanno condannato la decisione di Johnson. Senza contare che la Commissione europea non ha alcuna intenzione di togliere dall’accordo firmato da May, la clausola del backstop il meccanismo che eviterebbe il ritorno delle dogane tra Irlanda e Irlanda del Nord. Johnson chiede di eliminarla ma il suo tour a Berlino e Parigi si è rivelato un flop perché sia Angela Merkel che Emmanuel Macron hanno dato al premier inglese il compito di trovare una soluzione. E finora le alternative trovate dal governo inglese non sono piaciute. Addirittura ieri il ministro degli Esteri irlandese Simon Coveney ha detto che le alternative al backstop proposte dal Regno Unito non sono neanche lontanamente accettabili. Bruxelles attende che Johnson trovi la soluzione perfetta, ma la decisione di ieri semplifica la situazione. Senza il Parlamento inglese a mettere i bastoni tra le ruote tutto può succedere perché a giocare il chicken game saranno solo il premier britannico e la Commissione europea. Senza il contrappeso di Westminister pronto a posticipare ancora, bisognerà vedere chi cederà per primo per evitare di farsi male. Ma la sensazione è che lo scopriremo solo all’ultimo respiro.