Mentre l’Italia tocca il fondo con il decreto sicurezza bis, mentre la Open Arms è in mare da una settimana con 121 persone a bordo senza un porto sicuro in vista, mentre le autorità maltesi si rifiutano di rifornire di carburante la Ocean Viking, la nuova nave di salvataggio di Sos Méditerranée e Medici senza frontiere, e mentre l’ultimo rapporto IPCC conferma quel che già sapevamo, e cioè che il cambiamento climatico porterà più fame e migrazioni, qualcosa sulla scena europea si muove. Parliamo di Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera allargata nel 2016 per supportare le guardie di frontiera nazionali nel controllo dei loro confini e fornire assistenza alle operazioni di salvataggio in mare.
A puntare il dito, appena un paio di giorni fa, un’inchiesta del Guardian, di Correctiv e del canale televisivo tedesco Ard: sulla base di centinaia di documenti interni a Frontex, l’accusa è di aver tollerato maltrattamenti sui migranti ai confini di diversi Paesi dell’Unione. In particolare, alle guardie di frontiera in Bulgaria, Ungheria e Grecia sarebbe stato consentito di dare la caccia ai richiedenti asilo con «dei cani e di utilizzare contro di loro lo spray al pepe per respingerli brutalmente». Inoltre, alcuni agenti di Frontex sarebbero stati coinvolti direttamente in casi di espulsione di minori non accompagnati, e sembra che sui voli di rimpatrio ci siano anche stati episodi in cui i richiedenti asilo venivano sedati, facendo peraltro uso eccessivo delle manette.
Basterebbe questo per far impallidire chiunque. L’Agenzia, però, ha prontamente respinto le accuse: «Frontex nega categoricamente qualsiasi coinvolgimento dei suoi funzionari nelle violazioni dei diritti fondamentali», ha detto in un comunicato, precisando che «mentre l’Agenzia ha il potere di sospendere i propri funzionari, non ha alcuna autorità sulle forze di polizia di frontiera nazionali, né il potere di condurre investigazioni all’interno degli Stati membri». La Commissione europea, da parte sua, ha dichiarato che «qualsiasi genere di abuso nei confronti di profughi e migranti è inaccettabile. Prendiamo sempre sul serio questo genere di accuse e le approfondiremo con Frontex», sottolineando che «Frontex dispone di un meccanismo di monitoraggio delle attività dell’Agenzia e del rispetto dei diritti umani».
Raramente l’Agenzia europea è stata sotto i riflettori. Eppure, la realtà è che negli ultimi anni Frontex è diventata uno dei corpi centrali nell’azione di controllo e gestione dell’immigrazione, di fatto una “super agenzia”, oggi responsabile di oltre mille voli di rimpatrio ogni mese. Con stanziamenti di 281 milioni di euro nel 2017 e una previsione di 322 milioni di euro nel 2020, il budget garantito dall’Ue è consistente, e continua a crescere: in totale, nei prossimi 7 anni 11,3 miliardi di fondi Ue sono stati previsti per Frontex.
Ma facciamo un passo indietro. A luglio Frontex diffondeva i dati sull’immigrazione a livello europeo, specificando come nei primi sei mesi del 2019 fosse diminuito di un terzo rispetto al 2018 il numero dei migranti entrati irregolarmente in Europa. Nel Mediterraneo centrale, e in particolare in Italia, il calo raggiungeva addirittura l’83%. A più riprese il ministro dell’Interno si è vantato di aver portato gli sbarchi praticamente a zero: ma se il numero dei migranti è in calo è soprattutto perché in mare non c’è nessuno a presidiare. Non le ong, non le guardie costiere, e nemmeno la stessa Frontex, la cui ultima spedizione risale ad agosto 2018. In quello che è stato universalmente riconosciuto come “il più mortale tratto di mare al mondo”, infatti, le persone continuano a salpare e a morire, con la differenza che, se mancano le navi, nessuno vede o sa nulla. E quelli che riescono a compiere la traversata sbarcano comunque, per poi andare ad infoltire il numero di quei senza diritti che per effetto del decreto sicurezza sono diventati irregolari. Accentuando così le situazioni di povertà, disagio ed emarginazione. In più, al netto del fatto che comunque i rimpatri non sono aumentati: stando ai dati Eurostat, se nel 2017 le persone rimandate al proprio Paese di origine, tra rimpatri volontari e forzati, erano state 7045, nel 2018 dall’Italia ne sono state fatte rientrare 5615, circa il 20% in meno rispetto all’anno precedente. In totale, negli ultimi 5 anni, l’Italia ha deportato il 19% degli stranieri a cui era stato dato ordine di rimpatrio.
Mentre in Italia si fanno grandi (ma vuoti) annunci, a livello europeo, invece, i rimpatri sono saliti eccome: dal 2014 in poi, siamo arrivati a 1200 voli al mese, dove i primi della lista per numero di deportazioni sono Polonia, Francia e Spagna. E infatti la domanda da parte degli Stati membri per l’intervento di Frontex è dettata in gran parte dal suo ruolo di attuazione e coordinamento dei rimpatri. Non per niente, nel prossimo futuro lo sforzo della Commissione è di aumentare il numero di dipendenti di Frontex da 1500 a oltre 10mila entro il 2027. Numeri che dicono molto dell’attrattività dell’intervento europeo in termini di immigrazione. Ma non sono solo dipendenti quelli che Frontex schiera per gestire il fenomeno: l’agenzia, secondo quanto riportato dal Guardian, è parte di un investimento da 103 miliardi in aeromobili a pilotaggio remoto – in altre parole, droni. Esempio ne sia il lancio di un aerostato sull’isola di Samos, in Grecia, che Frontex ha appena effettuato per testare la sorveglianza dei confini. Nessuna nave, insomma, ma un bella dose di telecamere aeree: quale sia la funzione, se non registrare in video persone che annegano, rimane difficile da comprendere. A maggior ragione perché, interpellata dall’Observer del Guardian, l’agenzia ha risposto di non poter inviare copia delle istruzioni che gli operatori dei droni dovrebbero seguire qualora intercettino un’imbarcazione in stato di “distress”.
Per molti versi, tutto ciò appare come null’altro che l’ennesima beffa da parte dell’Unione europea in tema di immigrazione. In Europa sono 4 milioni le persone che hanno cercato asilo dal 2014. Solo nel 2018, sono state 580mila: di questi, solo al 37% è stato accolta la richiesta. A giugno, un rapporto sottoposto alla Corte penale internazionale ha chiesto la condanna dell’Unione europea e degli Stati membri (in particolare Italia, Germania e Francia) per la morte di migliaia di migranti nel Mediterraneo: la politica di deterrenza messa in atto a livello comunitario, infatti, sarebbe deliberatamente “intesa a sacrificare le vite dei migranti in pericolo in mare, con l’unico obiettivo di dissuadere altri in situazioni simili dal cercare un porto sicuro in Europa”.
Ma tant’è. Per ogni Open Arms cui viene negato l’approdo, ci sono migliaia di persone che in un campo di detenzione sull’altra costa vengono torturate o stuprate, mentre l’Unione finanzia la guardia costiera libica per riportare indietro chi parte. Per ogni richiedente asilo cui viene rifiutata la protezione, ce ne sono altri cento che vengono sfruttati nei campi. Per ogni drone che sorveglia le acque del Mediterraneo, a Lesbo c’è un bambino che tenta il suicidio. «È molto pericoloso quando un’agenzia cresce così velocemente. Finora abbiamo cercato di ottenere almeno l’1% degli stanziamenti per la tutela dei diritti umani. Se va bene, ci verrà concesso lo 0,2%», ha detto l’eurodeputato dei Verdi tedeschi Erik Marquardt. Sullo sfondo, la macchina delle deportazioni continua a funzionare. E il senso dell’Europa affonda insieme ai morti che non riusciamo più a contare.