Bruciare in estate. A 30 chilometri da Matera, capitale europea della cultura 2019, a Metaponto di Bernalda, ieri è morta una bracciante nigeriana di 28 anni, giunta in Italia nel 2015, quando presentò domanda per il permesso di soggiorno alla Questura di Padova che però la respinse, costringendola, due figli a carico, a fare ricorso. Era ancora in attesa del responso. Tra le sei e le sette del mattino è scoppiato un incendio all’interno del vecchio prefabbricato in cui viveva senza acqua, senza servizi igienici e senza elettricità, insieme a centinaia di altri africani. Nigeriani, sudanesi, maliani, senegalesi, gambiani, eritrei, burkinabè, darfuriani, ivoriani, sono i braccianti del “ghetto di Felandina”, una struttura abbandonata fatta di prefabbricati dove nel silenzio delle Istituzioni e delle amministrazioni locali vivono i lavoratori sui quali regge la filiera agricola della fascia Jonica, quella da cui provengono i “pomodori buoni”, mica quelli che “non sanno di niente”.
Nigeriani, sudanesi, maliani, senegalesi, gambiani, eritrei, burkinabè, darfuriani, ivoriani, sono i braccianti del “ghetto di Felandina”, una struttura abbandonata fatta di prefabbricati dove nel silenzio delle Istituzioni e delle amministrazioni locali vivono i lavoratori sui quali regge la filiera agricola della fascia Jonica,
“Nonostante la mia ordinanza del 17 maggio 2019, notificata in Prefettura, durante il Comitato tecnico Interforze – aveva detto il Sindaco di Bernalda il 27 giugno – non era possibile organizzare l’azione di sgombero, perché bisognava individuare chi fosse il titolare di quell’area, industrialmente dismessa, da molti anni sotto sequestro per i noti fatti giudiziari”. I noti fatti giudiziari rientrerebbero nella casistica dei contributi dell’Unione europea ottenuti in maniera fraudolenta: “6 casi su 10, con punte del 64% per la politica agricola comune e un picco dell’85% nel Mezzogiorno”, come recita il dossier dell’Ufficio valutazione impatto del Senato sui dati della Guardia di Finanza. Dunque in uno di questi capannoni, prima appartenuti a un consorzio di imprese, poi sottoposti a fermo giudiziario, infine passati all’Agenzia del demanio, è morta una giovane donna che lavorava in una azienda agricola. L’ultima in ordine di tempo a intervenire è Medici senza Frontiere, con la quale l’Azienda Sanitaria di Matera ha firmato un protocollo di intesa soltanto il 28 giugno 2019, che di fatto si limita semplicemente a dare diritto alla ong di operare, senza oneri di spesa da parte del servizio sanitario. Gli operatori di Msf con cui parliamo sono timorosi, vogliono rimanere anonimi, uno di loro lavora nei campi, ma rispetto a quelli che aiuta facendo loro da interprete guadagna molto di più, 52 euro al giorno, “con bonifico”, in regola. Si reca a Felandina come volontario solo la domenica, perché è il suo giorno di riposo. Il suo capo gli offre il caffè, ripete due volte. Non conosceva la donna vittima dell’incendio, a differenza di un mediatore culturale di Msf che ci dice che la vittima, anche se non si curava, soffriva di epilessia, dettaglio, questo, che potrebbe valere nelle indagini degli investigatori coordinati dalla pm di Matera Maria Christina De Tommasi e dal questore Luigi Liguori.
Il Presidente della Regione Vito Bardi ha annunciato rappresentanti della Protezione Civile regionale alla riunione prevista a Matera in Prefettura nei prossimi giorni, al fine di individuare soluzioni adeguate per far fronte al tema dell’ospitalità dei migranti che lavorano nei campi del Metapontino”.
L’incendio o lo sgombero delle strutture che ospitano i braccianti sono sempre fatti spinosi per le amministrazioni perché comportano migranti riversati in strada fino a un minuto prima dimenticati
L’incendio o lo sgombero delle strutture che ospitano i braccianti sono sempre fatti spinosi per le amministrazioni perché comportano migranti riversati in strada fino a un minuto prima dimenticati, con qualche sforzo, in una qualche area periferica circondata da acquitrini. La storia non si fa con i “se”, certo è che se il demanio avesse anche solo impiantato una pompa d’acqua per ridare un poco di dignità alla vita degli abitanti del ghetto di Felandina, ci sarebbero stati i mezzi per almeno provare a domare in tempo l’incendio. Senza acqua spegnere un fuoco diventa complesso. Così non è andata, anzi, in passato è stato perfino impedito di introdurre nella struttura i bagni chimici, nonostante i ripetuti tentativi delle associazioni che da anni assistono con presidi in loco, talvolta camper appostati fuori dagli edifici, gli oltre 500 migranti che vivono in condizioni igienico-sanitarie inaccettabili. Basta leggere un qualsiasi report ambulatorio delle tante associazione che negli anni si sono date il turno. Scrive un medico mobile volontario dell’Associazione LOE il 5 maggio 2019:
“Effettuato 20 visite. Trasportato in PS un ragazzo per una lesione infetta all’arto inferiore sn con un edema che interessa tutta la gamba e dalla lesione, da cui ho aspirato un 15 ml di pus. Altri 2 casi meritano attenzione, consigliabile valutazione chirurgica, un ragazzo che presenta un ernia ombelicale dolente che si riduce manualmente; 1 controllo di un ragazzo già visto con 2 lesioni al capo che non hanno beneficiato della th cortisonica, consigliabile valutazione chirurgica e asportazione.1 caso di albo chiuso a feci da una settimana, all’obiettività sembra rilevarsi alla palpazione profonda un fecaloma al quale ho dato delle supposte di glicerina e contattarlo oggi per sapere se si è canalizzato. A un ragazzo con disidratazione della congiuntiva e sclera non ho potuto fare granché perché mancano colliri e lacrime artificiali o fisiologiche per lavaggi oculari, merita una visita oculistica. Sono venuti dei ragazzi che hanno chiesto di essere visitati dato che da quando sono in Italia non sono stati mai controllati da un medico. Servono Fans, cortisonici, antistaminici, oppiacei minori (contramal), acqua ossigenata e lo sfigmomanometro”.
Sopravvivere nei capannoni, bruciare in estate, sgomberare i capannoni. Una sequenza già vista, alla quale non bisognerebbe in nessun caso abituarsi.