Nadia Toffa è morta a 40 anni a causa di un cancro. Aveva denunciato pubblicamente il suo male, promettendo che avrebbe fatto di tutto per sconfiggerlo. La sua tenacia non è stata sufficiente. Ora però basta con la retorica della forza di volontà, facciamolo in onore della sua memoria, consapevoli che l’orda degli haters ignobili che fino all’ultimo hanno voluto insegnarle come si debba parlare e definire la propria malattia sono il segno dell’imbarbarimento di questo Paese.
L’inviata delle Iene definì il cancro “un dono”. Avrebbe potuto definirlo “un caciocavallo”, “un comodino”, sarebbe stato lo stesso. Ciascuno è libero di definire la propria malattia come vuole, di esorcizzarla e spettacolizzarla, volendo. Così come ciascuno è libero di definire il soggetto malato “un guerriero”, “un leone”, “un eroe”, se al diretto interessato fa piacere. La questione rimane una: trovare un equilibrio fra la retorica della volontà personale e l’esaltazione univoca della medicina. La letteratura medica, con la conferma dell’epigenetica, attesta centinaia di migliaia di casi in cui non si esclude, anzi talvolta si deduce, l’importanza del fattore psichico nella cura della malattia. L’aspetto psicologico rimane di fondamentale importanza, è pacifico.
È fin troppo evidente che gli italiani sono preda dell’ossessione della salute e non occorre attendere le statistiche sugli accessi ai pronto soccorso e i dati sulle vendite di farmaci omeopatici per capire che tale frenesia è da tempo fuori controllo
Si continua però a fare una grande confusione tra le difficoltà terapeutiche ingenerate dalla depressione derivante dalla malattia e la possibilità di guarigione che prescinde dalla volontà del malato. E non stupisce, in un Paese come il nostro dove nella civilissima Milano, patria dell’illuminismo italiano, che – soltanto tra gennaio e giugno 2019 – gli ospedali italiani abbiano registrato 271.188 accessi impropri: 72.092 (24,6%) in codice bianco, altri 199.096 (68%) in codice verde. Oltre 270mila persone che nella migliore delle ipotesi hanno creato file nelle sale d’attesa e stress ai medici il cui compito dovrebbe essere quello di intervenire quando necessario. Un popolo che corre al pronto soccorso per un dito sbucciato non fatica a dire sciocchezze del tipo “mi curo con la forza del pensiero”. Come dire: “Quando c’è l’amore c’è tutto”, “no, chell’ è ‘a salute!” correggeva Massimo Troisi in Ricomincio da tre.
È fin troppo evidente che gli italiani sono preda dell’ossessione della salute e non occorre attendere le statistiche sugli accessi ai pronto soccorso e i dati sulle vendite di farmaci omeopatici per capire che tale frenesia è da tempo fuori controllo. Ossessione, peraltro, alla quale hanno contribuito anche trasmissioni come Le Iene, che con la sua campagna mediatica rese credibile il metodo Stamina agli occhi di numerosi biologi e genetisti, contribuendo a far approvare dal Parlamento la vergognosa sperimentazione promossa da Davide Vannoni (pagata con i soldi pubblici).
La demonizzazione e la denigrazione della scienza medica vengono spesso utilizzate politicamente per creare consenso elettorale tra i mediocri e gli esclusi dai concorsi in cerca di rivalsa sui competenti e sui professori
Quando Lorenzo Fioramonti (quello che credeva di riuscire a finanziare il reddito di cittadinanza tagliando le auto blu) annunciò l’istituzione di un Osservatorio sui concorsi nell’Università e ne affidò la direzione a Dino Giarusso (chiosò via Facebook: “Chi meglio di una ex-iena per farlo?),” si parlò soprattutto della responsabilità del Movimento Cinque Stelle nel processo di sfiducia nelle istituzioni, anche scientifiche, in atto Italia. Si tirò in ballo i servizi in cui gli inviati delle Iene andavano a Cuba per approfondire le proprietà “antitumorali” del “veleno di scorpione” e intervistare tassisti locali che elogiavano fantomatici “vaccini” scoperti da un agricoltore su un’isola. Servizi seguiti con passione da migliaia di telespettatori in virtù di un graduale scredito di medici, professori ed esperti a vantaggio di guru, santoni, inventori di metodi alternativi, ai quali Nadia Toffa, pur lavorando per Le Iene, si è ben guardata dall’affidarsi.
La demonizzazione e la denigrazione della scienza medica vengono spesso utilizzate politicamente per creare consenso elettorale tra i mediocri e gli esclusi dai concorsi in cerca di rivalsa sui competenti e sui professori. Perciò è così necessario conciliare la visione psicologica con quella organicistica nell’ambito della medicina, perché trascende la sfera privata del malato e rappresenta uno dei grandi temi sociali in corso in Italia. Nadia Toffa, giustamente, aveva deciso di ricorrere sia alla forza di volontà sia alla chemioterapia, rendendo pubblica la sua esperienza ed esponendosi non soltanto al confronto, ma al giudizio altrui. Difficile immaginare cosa si provi avere a che fare con un cancro e con un numero impressionante di sconosciuti che ti accusano di farlo nel modo sbagliato, di dire la cosa sbagliata. È bello essere italiani, per nulla subirli.