Paghe più alte e qualche ora di riposo al giorno. Ma soprattutto, i camerieri parigini in sciopero nel 1907 protestavano per potersi far crescere i baffi. Una richiesta che, oggi come oggi, potrebbe sembrare buffa. Cosa impediva loro di farlo? E perché dovevano chiedere il permesso al datore di lavoro? Eppure, nonostante le apparenze, si trattava di una cosa seria: dietro al codice estetico che li obbligava a rasarsi tutti i giorni (altrimenti il capo li avrebbe licenziati) vigeva una rigida norma sociale, diffusa e accettata da quasi tutti: i baffi li portano solo le persone che contano, cioè i ricchi, gli aristocratici, gli alti borghesi. I servitori e i valletti (e i camerieri dovevano occupare quel ruolo, nei confronti di qualsiasi cliente si fosse presentato al ristorante) no. L’appartenenza sociale di una persona doveva essere chiara fin dal primo sguardo. E i baffi svolgevano quel compito alla perfezione.
La moda era derivata dall’esercito: i baffi erano uno dei tratti (obbligatori) che distingueva gli ufficiali dai soldati dei ranghi più bassi. Derivavano dallo stile degli ussari e suggerivano virilità, valore, maturità. Erano così importanti che chi non riusciva a farli crescere era costretto a servirsi di quelli finti.
Lo stesso avvenne nella società civile, regolata da gerarchie sociali non meno severe. Come fece dire a un suo personaggio Guy de Montpassant, “un uomo senza baffi non è più un uomo”. E lo intendeva in modo letterale. Chi soffriva di più per questi obblighi erano proprio i veterani di guerra, costretti a tagliarli – cioè a rinunciare ai simboli del loro orgoglio e del loro valore sul campo– soltanto per poter trovare lavoro una volta tornati dal fronte. Essere senza baffi significava essere infantilizzati, evirati, umiliati nei confronti della famiglia, dei vicini e degli amici. Una cosa che non si poteva sopportare: e così cominciarono le proteste.
Gli scioperi vennero repressi con durezza dalle forze dell’ordine, ma la reazione non imoedì alla questione di finire sui giornali. I più conservatori condannavano le dimostrazioni (come sempre) ma anche le richieste: oggi protestano per avere i baffi, scrivevano su Le Gaulois, ma tra dieci anni, quando la moda sarà cambiata e i ricchi terranno le guance lisce, protesteranno per poterseli tagliare. L’assunto del ragionamento era che, peli superflui o meno, le differenze di classe continueranno a esistere sempre.
Altri notavano come, permettendo loro di tenere i baffi, sarebbe stato più difficile distinguerli dalle persone perbene una volta che finiscono di lavorare. Altri ancora, invece, accampavano questioni di igiene: “Davvero vogliamo che tra noi e il nostro cibo ci siano di mezzo i loro baffi? Siamo sicuri che sappiano curarli e tenerli puliti?”.
Ogni scusa, insomma, sembrava buona. Alla fine però le proteste rientrarono. Molti riuscirono a strappare qualche concessione dai datori di lavoro, che in molti casi cedettero proprio sul diritto di portare baffi (e non sulle paghe o sugli orari, come era ovvio). I sindacati, che avevano appoggiato la loro battaglia, li rimproverarono proprio per questo. Ma forse, per quel momento, ciò che contava di più era una questione di identità. E non di denaro e tempo libero.