Ridateci Colpo GrossoCinico, pesante e puritano: il tradimento secondo Temptation Island è una palla mortale

Dimenticate l'edonismo anni ’80: il programma-cult di Canale 5 è il racconto di una sessualità repressa e normatizzata in cui tutto è “percorso” e “responsabilità”. Meglio Jerry Calà e il Drive In, allora

Ieri la notizia che Temptation Island, il programma trasmesso da Canale 5 che nell’ultima puntata ha registrato 3.875.000 telespettatori e uno share del 24,65%, ha battuto il portale Purn Hub, ha fatto la fortuna dei giornali online, nonostante chiunque non sia in malafede dovrebbe sapere che è sciocco applicare un nesso tra i dati del programma tv e quelli del portale web senza prima avere verificato se c’è una corrispondenza di campione di utenza omogeneo a entrambi.

Il fatto (causale o casuale) però rimane, e dice molto dell’eredità di un passato godereccio tutto sommato recente e riassumibile per economia linguistica nella figura di una persona: Jerry Calà. “Ti ricordi quando ci siamo sposati a Las Vegas?”, chiede Mara Venier durante un’intervista a due a Techetechete, e Jerry Calà risponde: “Yesss the white chaple (?)”, per poi confondere l’anno di matrimonio e ridere quando la sorridente Venier dice “il giorno del nostro matrimonio ti ho trovato in bagno con una”.

La leggerezza dell’Italia passata sta tutta qui, racchiusa in cinque minuti di dialogo rigorosamente televisivo tra i due ex coniugi Jerry Calà e Mara Venier. La pesantezza dell’Italia presente invece sta tutta lì, nella frequenza con cui i concorrenti di Temptation Island pronunciano la parola “percorso”. Ho fatto il mio percorso, dice il traditore dandosi arie da Osho. “Ha fatto il suo percorso”, dice il tradito. Effusioni, tradimenti e flirt diventano “percorsi” all’interno di un reality che, per chi non lo sapesse o fingesse di non saperlo, consiste nel mettere alla prova i sentimenti di coppie di concorrenti che si separano per un breve periodo. Ciascuno si allontana dal partner e viene portato al mare in un villaggio turistico che pullula di modelli e modelle che svolgono il ruolo di tentatori. Di giorno ci si dedica all’ufficio delle tentazioni, di sera, durante falò apparecchiati all’uopo e tramite rvm in presenza di un empatico conduttore, Filippo Bisciglia, si guarda cosa ha combinato il rispettivo partner. Una dinamica degna del concetto di Panopticon di Michel Foucault in Sorvegliare e Punire.

Poiché nell’era postmoderna niente tramonta mai per sempre, abbiamo ereditato la vocazione erotizzata e libertaria degli anni Ottanta e dei successivi anni Novanta, quelli di Colpo Grosso e dei film di Jerry Calà, conservandola però con un fare autistico e cinico. Le abbronzature da neve e quelle balneari in anticipo sui calendari sono state sostituite dalle abbronzature da solarium, in una sorta di continuum che vorrebbe essere edonistico ma che in realtà risulta a mala pena voyeuristico e improntato sul guardare gli altri che fanno qualcosa sperando che nessuno ci guardi mentre noi facciamo la stessa cosa.

Più che promuovere edonismi di ritorno e neoliberismi scollacciati come ci si aspetterebbe da un prodotto della categoria del trash, Temptation Island se ne sta buon buonino nel recinto di un’assennata, filistea e in fondo assai ordinaria esistenza

“Venezia nel 1725. Mia madre era celebrata attrice Zanetta. Discendo da una famiglia antichissima. Non ho mai avuto una meta fissa. Mi
sono lasciato andare dove mi spingeva il vento… Ricordandomi i piaceri avuti me li rinnovo, e rido delle pene sofferte che non sento
più […] Sentendomi nato per il sesso diverso dal mio, lo amai sempre e me ne feci amare per quanto possibile”: nella sceneggiatura originale di Fellini e Zapponi il film Il Casanova sarebbe dovuto iniziare così.

Cercando su Google la biografia di Massimo Colantoni, il concorrente di Temptation Island che “s’è fatto er braccio pe’ nonna” (trad.: si è tatuato il braccio per nonna) leggiamo: “Romano d’hoc, ha 28 anni e poca voglia di crescere e assumersi delle responsabilità almeno per quanto riguarda la vita sentimentale. Ha frequentato l’alberghiero ed è tifosissimo della Lazio. Inoltre ha un cane di nome Xena e adora la musica raggaeton”. Al di là delle diverse formule stilistico-epocali, a intristire non è tanto il “d’hoc”, e nemmeno il “raggaeton”. A intristire è piuttosto il decadimento di un eros normatizzato nella categoria morale della “responsabilità” e giustificato solo in qualità di “percorso” esistenziale.

Un eros che sembra la versione domestica di una scena tratta da I dolori del giovane Werther, quella in cui lui, dopo tanto struggimento per la cara Lotte, non disdegna le sue tartine. Insomma, più che promuovere edonismi di ritorno e neoliberismi scollacciati come ci si aspetterebbe da un prodotto della categoria del trash, Temptation Island se ne sta buon buonino nel recinto di un’assennata, filistea e in fondo assai ordinaria esistenza. Alla carne, sotto i vestiti discinti, non è concesso nessun barlume di autonomia e dignità. L’unico strappo alla regola lo fa chi sta a casa, specie se guarda il reality da un televisore a schermo piatto da 50 pollici. Il consumo è di 822 watt all’ora, inquina quanto un SUV.

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