Quota 600La matematica non mente: ecco perché è giusto ridurre i parlamentari (anche se non ci governeranno meglio)

Secondo uno scienziato politico estone, il numero “giusto” di parlamentari dovrebbe essere approssimato alla radice cubica della popolazione. La proposta di riduzione del numero di deputati e senatori in Italia quindi sarebbe giusta. Ma in realtà non darebbe garanzia di migliore stabilità politica

Sta lentamente percorrendo il suo cammino parlamentare una proposta di modifica della Costituzione per ridurre il numero dei parlamentari. La proposta, sostenuta dal governo, prevede la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e la riduzione del numero dei senatori da 315 (ignorando i senatori a vita) a 200. Le proposte di diminuzione del numero dei parlamentari tendono a godere di consenso popolare in Italia, ma a dir la verità non ci sono basi solide per stabilire qual è il “giusto“ numero dei parlamentari. Di solito ciò che fa premio è l’urlo scomposto sulla riduzione dei costi della politica, anche se alla fine i risparmi che si possono ottenere riducendo il numero dei parlamentari tendono a essere trascurabili. Il vero problema è se la dimensione numerica degli organi parlamentari ha un effetto sul loro buon funzionamento. Ma questa è una domanda a cui è difficile trovare una risposta e un articolo di quotidiano non è comunque il posto giusto per affrontarla.

Vogliamo qui fare una cosa molto più limitata, ossia discutere l’evidenza empirica esistente sulla relazione tra popolazione di un Paese e numero di seggi parlamentari. Lo scienziato politico (e fisico di formazione) Rein Taagepera propose, in un articolo pubblicato nel 1972, una legge empirica spesso descritta come “legge della radice cubica”. In esso si mostrava che il numero dei rappresentanti parlamentari tende a essere ben approssimato dalla radice cubica della popolazione. La figura che riportiamo qua sotto fornisce una versione aggiornata al 2016 dei dati.

La fonte originale della figura è un blog post di un centro studi della University of Virginia; le fonti dei dati sono U.S. Census Bureau, International Data Base e CIA World Factbook.

Più o meno la legge dice questo: se un Paese ha 1 milione di abitanti, allora la sua camera dei deputati dovrebbe avere circa 100 membri (100 è la radice cubica di 1 milione). Se ne ha 10 milioni, il numero di deputati dovrebbe essere circa 215, e così via. Per quanto riguarda l’Italia, con una popolazione di circa 60 milioni la ‘legge della radice cubica’ suggerisce che la Camera dei deputati dovrebbe avere circa 391 membri. È un numero molto vicino al 400 proposto dalla riforma.

Come potete vedere dalla figura la “legge della radice cubica” è tutt’altro che perfetta in termini dei suo potere predittivo. Sembra fare decisamente molto bene per paesi relativamente piccoli. Ad esempio, il Portogallo si trova quasi esattamente sulla curva. È un paese di 10,3 milioni di abitanti e quindi secondo la ‘legge’ dovrebbe avere 218 parlamentari. Ne ha 230, quindi molto vicino al valore teorico. La Spagna ha 46,7 milioni di abitanti e 350 deputati. Il numero teorico suggerito dalla legge è 360, quindi di nuovo molto vicino. Quando la popolazione supera i 50 milioni la legge tende a perdere potere predittivo. L’Italia fa parte di un gruppo di Paesi (che include Francia, Germania e Regno Unito) con un numero di deputati nettamente superiore a quello predetto dalla legge. Per paesi di dimensioni molto grandi, come Brasile e Stati Uniti, la legge sembra invece funzionare male ma in senso contrario: il numero di deputati tende a essere nettamente minore della radice cubica della popolazione. Per esempio gli Stati Uniti, con una popolazione di circa 327 milioni, dovrebbe avere 689 deputati, mentre il numero reale è 435.

La dimensione della Camera dei deputati, purché resti all’interno di un intervallo ragionevole, non porta necessariamente a benefici dal punto di vista della stabilità del sistema politico

Cosa possiamo concludere da tutto questo? Non molto. La legge della radice cubica descrive semplicemente una correlazione empirica. Non è chiaro se ci sono buone ragioni che rendono ‘giusto’, in qualche senso da specificare, il numero stabilito dalla legge. È anche, come spesso accade nelle scienze sociali, una legge che non sempre funziona bene. Come abbiamo visto, con l’aumento delle dimensioni dei paesi la correlazione diventa più debole.

Infine è ovvio che la dimensione della Camera dei deputati, purché resti all’interno di un intervallo ragionevole, non porta necessariamente a benefici dal punto di vista della stabilità del sistema politico. La Spagna, che pure ha un numero di deputati molto vicino a quello predetto dalla legge, non ha certo brillato ultimamente per capacità di governo.

D’altra parte è anche vero che la riduzione del numero dei deputati a 400 non sembra portarci in territori sconosciuti con effetti imprevedibili. Al contrario, si tratta di un numero che sembra ben proporzionato alla dimensione della popolazione italiana. Molto improbabile quindi che la riduzione dei parlamentari possa generare grossi problemi. È, semplicemente, una riforma dagli effetti molto ridotti, se non nulli, che andrebbe sbrigata alla svelta.

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