Gli arrivano più o meno due o tre lettere alla settimana. A volte anche pacchi. Eppure Arthur Rimaud è morto da ben 127 anni. Chi si occupa della sua posta, come si scrive qui, è il guardiano del cimitero occidentale di Charleville-Mézières, ai piedi delle Ardenne, dove il celebre poeta francese riposa da più di un secolo. “Sono il suo tutore”, scherza.
Lui non esiste più, ma la corrispondenza è tanta. C’è chi scrive poesie, chi invia sfoghi sentimentali, chi dedica idee e sentimenti. “Al mio Rimbange (crasi tra Rimbaud e ange, angelo), a te per tutta la vita”, dice uno. “Rimbaud: anche se non ci sei, sappi che ti amerò sempre”, confessa una seconda fan. Un’altra ancora promette al poeta “il cielo e l’alba”. E c’è chi si lascia andare e racconta i propri problemi esistenziali. Una certa Allison si lamenta: “Sono una tua fan ma non ho mai ricevuto risposte alle mie lettere. Comincio a spazientirmi”.
Cosa spinge le persone a scrivere lettere a un poeta morto da decenni? Di sicuro il mito, l’aura di ribelle prodigioso, la scomparsa prematura (ma non giovanissimo), lo spirito libero. E il fatto che fosse, tutto sommato, un Jim Morrison del XIX secolo.
Del resto, sono in tanti anche quelli che vengono a visitare la sua tomba, da tutte le parti del mondo, e si soffermano a parlare, a riflettere. Alcuni scrivono poesie, altri lasciano ricordi e regali per il poeta. Un vero e proprio culto, anche abbastanza recente.
Il rapporto tra Rimbaud e Charleville-Mézières del resto era complicato. Il poeta odiava la città, e la città di rimando ignorava il poeta. Poi, una volta che è stato fiutato l’affare, ha cominciato a trasformarsi in un vero e proprio centro di adorazione di Rimbaud. “Quando ho cominciato a lavorare qui, 37 anni fa”, spiega il guardiano del cimitero, “mi avevano detto che nessuno viene per vedere la tomba di Rimbaud”. Le cose sono cambiate.