Con i capelli corti al vento e senza velo islamico. L’ultimo tweet della 24enne iraniana Yasaman Aryani è del 9 aprile scorso: nella foto postata si vedono lei e altre due ragazze con il capo scoperto e il rossetto rosso sulle labbra. Un gesto di ribellione nell’Iran dove, dopo la rivoluzione islamica del 1979, per le donne vige l’obbligo di indossare l’hijab e il divieto di truccarsi. Il10 aprile, per Yasaman e sua madre Monireh Arabshahi è scattato l’arresto. E il 25 aprile le manette sono arrivate anche per Moigan Keshavarz, che con loro aveva partecipato a una protesta pacifica nella metro di Teheran nel giorno della festa della donna. Da allora delle tre donne non si avevano più notizie. Fino all’inizio di agosto, quando la Corte rivoluzionaria ha emesso il verdetto: condannate a un totale di 55 anni e sei mesi per aver violato il codice di abbigliamento islamico con il “mancato rispetto dell’hijab obbligatorio”.
A far scattare l’arresto sarebbe stato video, diventato virale sui social, che mostra le tre mentre, senza velo, distribuiscono fiori alle donne nella metropolitana di Teheran durante lo scorso 8 marzo. «Verrà il giorno in cui le donne non saranno costrette a lottare», dice nel video Monireh Arabshahi. Mentre Yasaman Aryani consegna un fiore a una donna che indossa il velo, dicendole: «Spero di camminare fianco a fianco per strada un giorno io senza l’hijab e tu con l’hijab».
La protesta contro il velo obbligatorio da tempo coinvolge le donne iraniane. E molte di loro sono già finite dietro le sbarre. In altri video, si vede Yasaman aggirarsi per le strade della capitale iraniana con i suoi capelli corti, tinti di biondo o di rosso, sotto il sole e la pioggia, in adesione al White Wednesday, il movimento lanciato da Masih Alinejad, attivista iraniana in esilio a New York, che ha invitato le connazionali a inviare selfie e video a capo scoperto alla pagina My Stealthy Freedom. La sua casella di posta elettronica è stata inondata da centinaia di migliaia di foto senza il velo bianco dal capo. E su questa spinta, dal dicembre 2017, è nato il movimento Girls of Revolution Street, quando per la prima volta una giovane donna, Vida Movahed, ha rimosso il suo hijab bianco e lo ha sventolato su un bastone con un canto di protesta nella Revolution Street di Teheran. Il suo gesto, poi, è stato emulato e decine di donne hanno rimosso il loro hijab, mostrandolo su un bastone in pubblico, a Teheran e in altre città.
Una sfida. Ma anche un crimine per l’Iran di oggi. Vida Movahed lo scorso aprile è stata condannata a un anno di carcere. E altre donne che si unirono alla protesta contro l’hijab obbligatorio prima di lei furono anche arrestate e condannate al carcere.
L’agenzia di stampa semi-ufficiale Fars news qualche giorno fa ha riportato le parole del capo del tribunale rivoluzionario di Teheran, Mousa Ghazanfarabadi: «Coloro che filmano se stessi o altri mentre rimuovono l’hijab e inviano foto a questa donna … saranno condannati da uno a 10 anni in prigione». La donna a cui si riferisce è, appunto, Masih Alinejad.
https://www.facebook.com/StealthyFreedom/videos/480834255794971/
Quando le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in casa della famiglia Aryani, sono stati confiscati anche il computer e il cellulare di Yasaman. E prima di essere trasferita in prigione, la ragazza è stata detenuta per nove giorni in una cella di isolamento nel centro di detenzione di Vozara, dove sarebbe stata interrogata per ottenere una confessione sulle sue attività civili. Il verdetto per Yasaman, la madre Monireh e l’attivista Moigan Keshavarz sarebbe stato comunicato alle tre donne in assenza degli avvocati, secondo quanto riportato dalla agenzia stampa Hrana (Human Rights Activists News Agency). E anche gli interrogatori e le udienze sarebbero avvenute senza legali.
La condanna per le tre è a dieci anni di carcere per aver “incoraggiato e promosso la corruzione togliendosi il velo”, più un anno per “propaganda contro lo Stato” e cinque anni per “collusione e assemblea per agire contro la sicurezza nazionale”. Moigan Keshavarz è stato condannata ad altri sette anni e sei mesi di carcere per l’accusa di “blasfemia”.
Il giudice Mohammad Moqisseh, che le ha condannate, è noto per la sua intransigenza. Lo stesso che l’11 marzo ha condannato il noto avvocato iraniano e difensore dei diritti delle donne Nasrin Sotoudeh a quasi quarant’anni di prigione.
Ma non sono gli unici casi in Iran. Il 24 aprile 2019, una parrucchiera è stata arrestata per aver pubblicizzato il suo negozio di bellezza nella città di Babol, nel nord dell’Iran. La sua colpa: aver fatto una foto a una donna in posa davanti alla pubblicità del suo salone, pubblicandola su Internet. Troppo per la guida religiosa della città, che ha subito avvertito la polizia.