Non c’è che dire, Nicola Zingaretti queste giornate d’agosto se le ricorderà per molto, molto tempo. Da quando è diventato segretario del Pd, nel marzo di quest’anno, non ha avuto tregua. Prima la campagna per le elezioni europee “più importanti della storia”, poi la formazione di un governo costruito attorno ad una maggioranza parlamentare composta da due partiti che fino a qualche settimana fa neanche si parlavano. Un accordo difficile, delicatissimo, dopo la crisi aperta da colui che – sempre fino a qualche settimana fa – sembrava il padrone indiscusso del Paese, Matteo Salvini.
Ebbene, Zingaretti si è trovato, nei primi mesi della sua segreteria ad essere accusato, dal fronte interno che fa riferimento a Matteo Renzi, prima di eccessiva ambiguità proprio nel rapporto con i grillini e poi, nelle ore della crisi, di non volere l’accordo con gli stessi grillini, caldeggiando il ricorso alle urne per mero tornaconto personale. Un cortocircuito politico che in altri tempi avrebbe mandato al tappeto qualsiasi velleità di unità all’interno del Pd. E invece va riconosciuto al leader dem un risultato che nell’ultimo lustro è sempre parso un miraggio: aver portato tutto il partito sulla sua linea, che si può riassumere nel concetto del “governo sì, ma non a tutti i costi”. Una linea che, tra l’altro, ha avuto il merito di erodere la leadership di Di Maio all’interno del Movimento e di aver fatto esplodere tutte le contraddizioni nei Cinque Stelle.
Eppure la giornata campale inizia nel peggiore dei modi possibili. Già dalle prime ore del mattino si percepisce che la possibile rottura è dietro l’angolo. Tra il Nazareno e i palazzi del potere (dove alloggiano i Cinque Stelle, non avendo una sede propria) è stallo. L’incontro delle 11, previsto per dare seguito a quello interlocutorio della sera prima, viene fatto saltare. Il Pd incolpa il Movimento, che ribatte con una dichiarazione di Di Maio: “Se non riconoscono Conte come premier allora è inutile andare avanti”.
I dem non ci stanno, parte il fuoco di fila. Si susseguono dichiarazioni via social e agenzie di stampa. Il problema non è Conte, ma il ruolo di Di Maio. Ai fedelissimi di Zingaretti si uniscono, in un inedito fronte comune, anche i renziani più duri. Il messaggio è chiaro: non siamo disponibili ad accettare qualunque cosa chieda il capo politico pentastellato. In particolare, per i dem, è irricevibile la richiesta di Di Maio di mantenere il ruolo di vicepremier e di andare a succedere a Matteo Salvini al Viminale.
invece va riconosciuto al leader dem un risultato che nell’ultimo lustro è sempre parso un miraggio: aver portato tutto il partito sulla sua linea, che si può riassumere nel concetto del “governo sì, ma non a tutti i costi”. Una linea che, tra l’altro, ha avuto il merito di erodere la leadership di Di Maio
Dopo il vertice mattutino con i big del partito, dalla sede del Pd escono i capigruppo Andrea Marcucci e Graziano Delrio, che ributtano la palla nel campo dei Cinque Stelle: “Nessun veto su Conte, non capiamo il motivo per cui la trattativa si sia bloccata”. La verità è che il M5s è una polveriera. Di Battista è pronto a guidare la fronda anti-accordo, ma non raccoglie il seguito sperato.
Le fonti grilline smentiscono che Di Maio voglia fare il ministro dell’Interno, cominciano ad alzarsi voci di protesta contro il leader. Roberta Lombardi dice di non credere che Di Maio “anteponga i suoi interessi a quelli del Paese”. Intanto il capogruppo grillino alla Camera Francesco D’Uva giudica “un’ottima notizia il fatto che cada il veto su Conte”. Sono tutti segnali che al Nazareno vengono colti come distensivi.
Ma si aspetta ancora qualcosa di più. La “cabina di regia” dem è convocata per le 16 “per ragionare sull’evoluzione della situazione alla luce della cancellazione dell’incontro della mattina”. Prima di quell’ora Zingaretti attende qualcosa che vada oltre i criptici lanci d’agenzia. Alle 15,30 tutte le agenzie battono dichiarazioni di Conte che smentisce, ancora una volta, “che in sua presenza sia mai stato fatto il nome di Di Maio per il Viminale”. Intanto il capogruppo al Senato Patuanelli riporta la questione su Conte. “Il Pd dica chiaramente che è il suo il nome che verrà fatto al Quirinale in sede di consultazioni”.
Il M5s è una polveriera. Di Battista è pronto a guidare la fronda anti-accordo, ma non raccoglie il seguito sperato
Intanto nella sede del Pd tornano tutti i big, dopo aver lasciato il presidio ai fedelissimi di Zingaretti, da Antonio Misiani a Marco Miccoli, da Furfaro a Giorgis, da Provenzano a Martella, oltre che ai franceschiniani Zanda e Pinotti, a Maurizio Martina e a Debora Serracchiani. Si affaccia anche Roberto Gualtieri, plenipotenziario dem a Bruxelles e uno dei nomi più caldi per il ruolo di commissario. Con il segretario si riuniscono il tesoriere, i capigruppo, il presidente Paolo Gentiloni e i vicesegretari Andrea Orlando e Paola De Micheli, la vicepresidente Anna Ascani. Marcucci fa il suo ingresso al Nazareno parlando di “passi avanti”.
Pochi secondi dopo arriva, finalmente, il segnale definitivo del disgelo. In una nota battuta dalle agenzie alle 16 in punto, il Movimento 5 Stelle dice di “accogliere positivamente le parole di apertura di alcuni autorevoli esponenti del Partito Democratico sul ruolo del presidente Giuseppe Conte. Sì al dialogo sul programma e sui temi, il M5s vuole innanzitutto parlare di soluzioni per il Paese”. Al Nazareno la nota viene accolta con cauta soddisfazione, visto che fino a poche ore prima erano proprio i dem ad accusare i grillini di non voler parlare di temi, ma solo di poltrone.
È evidente che l’accordo è vicino. Ed è altrettanto evidente che il boccino della trattativa, in campo grillino, è ora in mano a Giuseppe Conte, che si sente più volte con Zingaretti. A dispetto del tentativo di Di Battista e delle continue avance di Salvini e di personaggi minori della Lega come il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, il forno con la Lega è chiuso. Il segretario dem, fino a quel momento asserragliato nel suo ufficio, esce sorridente per l’incontro con i big del Pd. La strada per la formazione del governo, che lui stesso ha subito, sembra finalmente in discesa.
E la conferma arriva dalla convocazione di un nuovo vertice tra Pd e M5s, fissato per le ore 18. Il primo in cui il Movimento fa esplicito riferimento ad un “documento condiviso con il Partito Democratico”. Un incontro corredato di fotografia social di rito, che scrive finalmente la parola fine sulla clandestinità con cui i pentastellati avevano approcciato alla trattativa. Restano alcuni nodi, che verranno sciolti nei prossimi giorni, anche con l’aiuto del Quirinale. Resta agli atti un percorso politico che potrebbe segnare un’inaspettata svolta nel Partito Democratico. I prossimi giorni, le prossime settimane, saranno decisive per capire se si tratta solo di un altro abbaglio estivo di questo pazzo agosto italiano.