Francesco Boccia dice che la piattaforma del Pd “è la rivoluzione del secolo”. E infatti sarà attiva, anzi operativa (come amavano dire certi renziani pre scissione, ai tempi del quaranta per cento) da ottobre, un secolo e due anni dopo la formidabile ottobrata rossa, perché tutto cambia ma a un certo punto, in un’altra forma, ritorna. Come il vento del cambiamento, che prima era bora e adesso è scirocco. Prima abbatteva e adesso riscalda.
L’inedito già molto edito che la Pd app metterà a disposizione degli italiani è un servizio di tesseramento online, più referendum (sempre online), più contenuti audio, video e varietà, più geolocalizzazione, più gaming, più archivio di tutto quello che è accaduto nel partito. E non dite che sembra Rousseau, non scherziamo, innanzitutto costa un euro al mese, cifra simbolica per senso politico, fine della gratuità, riprendiamoci la dignità della casta che costa, riaffermiamo con forza che i contenuti di qualità si pagano, altro che blog su cui chiunque può scrivere quello che vuole perché uno vale uno.
La Pd app mette a disposizione un servizio di tesseramento online, più referendum, contenuti audio, video e varietà, geolocalizzazione, gaming e archivio di tutto quello che è accaduto nel partito
Nella Pd app ciascuno vale per sé, uno per sé e il partito per tutti, e lo strilletto che è stato scelto per marcare questo abisso (una pozzanghera) di differenze è “Tu vali tu”, il verso che mancava a “Io sono bella” di Emma Marrone. Ha scritto La Repubblica che «con app Pd Zingaretti diventa il primo segretario che accetta una forma di controllo capillare e quotidiano della sua azione politica. Saranno contendibili e criticabili decisioni, dirigenti, parlamentari, segretari di sezione. Verrà messa in gioco la figura stessa del leader».
Cose che su Rousseau se le sognano, in un giro di rolex (con i comunisti col rolex), l’iscritto votante aspirante Cinquestelle ha fatto la fine del vecchio abbonato, quello che paga tantissimo un servizio che coloro che si sono abbonati dopo di lui ricevono gratis e con ventisette bonus in più. Davide Casaleggio ieri ha scritto su Facebook di essere assai contento ora che “sempre più persone, a prescindere dai colori politici, avranno finalmente la possibilità di utilizzare la rete per organizzarsi”, e non c’è bisogno d’essere femmine per leggere la stizza (ma guarda tu questi fuori corso che superano il docente), oltre al compiacimento (ehilà, questa correzione della democrazia l’abbiamo inventata noi, quando voi ancora televotavate noi legiferavamo su Tinder). Il nemico numero uno s’è levato il cappello e ha detto, bene, bravi, bis e – ha omesso di dirlo, ma l’ha pensato – finalmente avete capito anche voi, benvenuti, sapevamo che vi sareste convertiti, non ci aspettavamo che ci avreste superati, ma in fondo questo è il prezzo che pagano i filantropi, prima la gogna, poi la delegittimazione e infine il furto, mai un briciolo di riconoscenza, meno male che nostra sarà la legislatura. Pd app corona i sogni della democrazia diretta allo stalking, sogni che neanche i democratici diretti monodiretti dalla Casaleggio associati erano in grado di sognare, sogni che sono solide realtà in certe relazioni tossiche a distanza, dove lui chiede a lei di fotografarsi prima di uscire di casa così che possa dirle se è troppo scoperta, scollata, sexy e come rimediare, poi le chiede di fotografargli il pranzo, così che lui possa dirle se è troppo calorico, e così via di selfie in selfie, di consultazione in consultazione, di partecipazione in partecipazione, e di dolore in dolore – il dolore passerà?
Zingaretti appare come un Dibba ripulito che si dice disponibile a farsi frugare, indirizzare, cazziare da chiunque gli porti la garanzia minima d’essersi iscritto a un’app
Scaricheremo la Pd app e passeremo le serate a fare a Zingaretti quello che finora abbiamo fatto ai concorrenti di X Factor, lo tempesteremo di direct message su come avrebbe dovuto dire, vestire, fare, andare, amministrare, poi scenderemo in strada, ci geolocalizzeremo e vedremo quanti altri iscritti ci sono nelle vicinanze, al massimo tre chilometri e mezzo da noi, e chi lo sa se saranno una folla o se sarà troppo grande la città per noi e loro, un altro paio di timidi neo accoliti spaventati dall’ondata salviniana e pertanto iscrittisi a Pd app per fermare quella più che per fare la rivoluzione, e però pure, sotto sotto, per conoscere qualcuno, in fondo non si sa mai, metti che il neo piddino a pochi passi da me è caruccio, siamo o non siamo nel dating del partito, c’è già una scrematura affidabile, di certo non finiremo nelle mani di un nazista. Al dating la rivoluzione 2.0 di Zingaretti non ha pensato (molto male), ma ci penseremo noi, ci penserai tu, tu che vali tu, e che troverai forse l’amore inciampando in uno che come te sta cercando di cacciare il Pokemon di Enrico Letta (sogniamo che nel “gaming” di Pd app ci sia un Pokemon go dei democratici).
Chissà dove saremo, finalmente risolti, o forse già innamorati, forse ancora una volta.
Zingaretti è molto contento, in pochi giorni da uomo della ghiera (nessuno mi ha telefonato!) è diventato uomo delle app, e non pensa più che tra il dire e il fare debba esserci di mezzo il telefonare. Ieri era l’uomo del partito-comunità e oggi è l’uomo del partito-community. Ieri era il volto rassicurante del buon amministratore e del buon politico che sa che certi oneri non sono sottoponibili al vaglio popolare, che non tutto si sceglie per referendum, che bisogna togliere i pulsanti e i test a risposta multipla dalle tasche e dall’istruzione degli italiani, e oggi è un Dibba ripulito che si dice disponibile a farsi frugare, indirizzare, cazziare da chiunque gli porti la garanzia minima d’essersi iscritto a un’app da un euro al mese.
Non è trasformismo: è disperazione.