Londra nel caosBrexit, Boris Johnson si è accorto che il suo piano per salvare il Regno Unito è una boiata pazzesca

Il piano del premier inglese per sostituire il meccanismo del backstop coprirebbe solo una piccola quota delle merci che dovrebbero essere controllate alla frontiera. Bojo ha tempfino al 30 settembre per trovare un’alternativa credibile o sarà troppo tardi. L'uscita senza accordo è sempre più vicina

LUDOVIC MARIN / POOL / AFP

Mancano 42 giorni alla scadenza della Brexit e Boris Johnson ha appena scoperto che il suo piano speciale per risolvere lo stallo nelle trattative con l’Unione europea è una boiata pazzesca. Secondo l’ultimo retroscena succoso rivelato ieri dal Financial Times, Johnson avrebbe fatto una figuraccia nell’incontro in Lussemburgo di lunedì con l’attuale presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il capo negoziatore Michel Barnier.

Il quotidiano inglese racconta che Boris avrebbe esposto a pranzo il suo piano geniale per superare il problema del backstop. Ovvero il meccanismo inserito nell’accordo siglato da Theresa May con la Commissione europea per evitare il ritorno delle dogane nel confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. Johnson vuole toglierla, per Bruxelles è imprescindibile. L’idea del premier inglese è quella di sostituire il backstop con un piano di misure sanitarie e fitosanitarie, chiamato Sps, che consentirebbe all’Irlanda del Nord di attenersi alle norme comuni dell’Ue in materia di alimenti e bestiame per evitare code alla frontiera. Ma dei funzionari Ue hanno fatto capire a Johnson che il piano non basterà a impedire i controlli doganali sulla stragrande maggioranza delle merci che attraversano il confine irlandese ogni giorno. Secondo la fonte del Ft, Johnson si sarebbe girato verso il principale negoziatore della Brexit per Londra, David Frost, e Stephen Barclay, Segretario di Stato per l’uscita dall’Unione europea, dicendo: «Quindi mi state dicendo che il piano Sps non risolve il problema doganale?». A più di tre anni dal referendum del 2016, il principale promotore della Brexit non aveva ancora capito la scala di controlli e problemi che ci sarebbero tra Irlanda e Irlanda del Nord senza un accordo. Signore e signori, ecco a voi Boris Johnson: l’improvvisazione al potere.

Dopo aver detto per settimane che la negoziazione con Bruxelles era a buon punto e si stavano facendo dei passi in avanti, Johnson si è scontrato ancora una volta contro la realtà. E il tempo stringe. Già al G7 di Biarritz la cancelliera Angela Merkel aveva dato un ultimatum a Johnson: presentare un piano alternativo entro il 30 settembre o l’accordo non sarebbe mai stato cambiato. Non stava scherzando. A ricordarlo agli inglesi ci hanno pensato ieri il premier finlandese Antti Rinne e il presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron. Subito dopo il loro incontro a Parigi i due hanno pubblicato una dichiarazione congiunta in cui invitano Johnson a presentare entro fine settembre una proposta scritta per superare lo stallo. Cosa c’entra Rinne? La Finlandia è presidente di turno del Consiglio, l’organo dell’Unione europea che riunisce i vari ministri dei 28 Stati membri in base al dossier da affrontare. E l’urgenza di avere una risposta entro 11 giorni è dettata proprio da un’esigenza tecnica. Il 2 ottobre, e poi il 9, si riuniranno i rappresentanti del Coreper, ovvero il comitato dei rappresentanti permanenti. Tradotto i delegati dei 28 Stati che lavorano costantemente tra Bruxelles e le rispettive capitali per preparare tutti i dettagli prima degli incontri istituzionali. Se non arriverà la proposta di Johnson non avranno il tempo tecnico per discutere tutti i dettagli entro il 15 ottobre, quando si riuniranno tutti i ministri degli affari europei nel Consiglio presieduto dalla Finlandia.

La Brexit si è impantanata più volte nei codici e codicilli, ma Johnson non ha ancora imparato la lezione. Un difetto comune tra i sovranisti

La proposta alternativa per gestire le migliaia di beni che passeranno da una parte all’altra della frontiera nord irlandese non è una chiacchiera da bar. I leader dei 27 Stati membri che si incontreranno al Consiglio europeo del 17 ottobre dovranno avere tutte le carte già analizzate nel dettaglio prima di dare il via libera alla modifica dell’accordo. Quindi se da Londra non arriveranno letterine entro il 30 settembre, Johnson non riuscirà a strappare un accordo dell’ultimo minuto perché i leader non avranno avuto il tempo di analizzare la fattibilità della proposta. Alla fine è sempre una questione di metodo: la macchina burocratica di Bruxelles non ammette accordi da caminetto dell’ultimo minuto. Mentre Johnson con spavalderia e disprezzo per Theresa May ha sempre fatto capire che sarebbe bastata un’idea geniale e una stretta di mano per risolvere la questione del backstop. Non è così. E anche se Boris riuscisse a strappare un accordo dell’ultimo minuto al Consiglio europeo del 17 ottobre, l’accordo dovrebbe essere ratificato dal parlamento inglese e quello europeo. Lo ha ricordato ieri anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli durante una telefonata con Johnson in cui ha accettato di andare a Londra per parlare col premier. La Brexit si è impantanata più volte nei codici e codicilli, ma Johnson non ha ancora imparato la lezione. Un difetto comune tra i sovranisti.

Una mano al governo inglese ha provato a darla ieri il Parlamento europeo. L’Aula di Strasburgo ha approvato a maggioranza una risoluzione (544 sì, 126 no) per estendere la scadenza della Brexit oltre il 31 ottobre. Ma per concederla servirà una richiesta motivata da parte del governo inglese. E non basterà una letterina. Anche l’Europarlamento chiede un piano scritto nero su bianco le soluzioni alternative «pienamente funzionali» per risolvere il problema delle ispezioni dei prodotti che entreranno e usciranno dal confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. Una soluzione che eviti anche in futuro problemi legali tra Regno Unito e Unione europea. Londra potrà chiedere un rinvio per cinque motivi: evitare un’uscita senza accordo, elezioni anticipate, revocare l’uscita, più tempo per ratificare l’accordo o un nuovo referendum. Non è un caso che ieri il leader del partito laburista Jeremy Corbyn abbia promesso in un’intervista al Guardian di voler indire un secondo referendum sulla Brexit se vincerà le elezioni anticipate.

C’è un altro aspetto interessante della risoluzione. Il Parlamento europeo chiarisce che se ci sarà un’uscita del Regno Unito dall’Ue senza accordo, non ci saranno negoziati commerciali in futuro finché i problemi di fondo non saranno risolti. L’Aula di Strasburgo ha così tolto l’asso nella manica di Johnson che fin dal primo giorno ha assicurato di voler realizzare la Brexit il 31 ottobre, con o senza accordo, convinto che il caos alle frontiere convincerà Bruxelles a trattare dopo l’uscita. Ma se Londra non troverà un’alternativa al backstop e soprattutto non pagherà la sua quota di budget Ue, non ci sarà alcun accordo commerciale post Brexit. Un’altra porta in faccia all’idea di accordo mordi e fuggi.

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