A prendere sul serio la scelta di Matteo Renzi ci ha pensato una popolosa frangia politica. Folta, ma in realtà neanche troppo. Perché in fondo si sa, far promesse è gratis, mantenerle invece costa molto, e la nuova “casa” dell’ex premier sembra tanto quella di paglia o legno della fiaba di James Orchard Halliwell-Phillipps dei I tre porcellini: regge fintanto che non si alza il vento. La scossa tellurica, comunque, si è sentita, e coloro che lo definiscono bradisismo, forse, lo fanno per timore. «Alla lunga può far molto male al Pd, se quest’ultimo non si riorganizza, riassumendo un’identità. E questo non vuole certo dire rinchiudersi in una ridotta di sinistra, per carità, ma significa a mio parere avere un momento in cui si ristabilisce le idee prioritarie», spiega Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana.
Le partite locali da giocare sono tante e il fiato comincia a scarseggiare. La nuova linfa del Pd zingarettiano ha lunga tenuta ma, per il momento, poco sprint. C’è bisogno di una coalizione, se non con Renzi, a obtorto collo con il Movimento. Con il quale, specifica Rossi, si parla solo di collaborazione in quanto «non penso a una visione comune, troppe cose ci differenziano a cominciare dall’idea di democrazia, di crescita e di sviluppo del Paese. Gli stessi temi di giustizia, dalla centralità del lavoro rispetto a quella del Reddito, che invece mi pare affascinare i pentastellati».
Enrico Rossi, a quasi quattro mesi dal suo rientro, come ha trovato questo nuovo Pd?
Intanto un cambiamento nei metodi, questo senz’altro. Penso che il segretario Zingaretti sia in grado di ascoltare anche opinioni diverse e di unirle, ed è un passaggio non da poco. Il partito è una comunità dove può e deve stare anche chi porta idee e punti di vista differenti, dove ai pensieri cui viene riconosciuta dignità e, detto francamente, ti senti un po’ come a casa tua. Questo è frutto di uno stile nuovo, anche più mite, il che non significa senza fermezza: la forza politica incide, quasi sempre, quando è accompagnata proprio da un sentimento di decisione.
La scelta di Renzi, in termini politici, credo che da un lato ci sia una pulsione di tipo personale, ben nota, per cui vale la legge “o Cesare, o niente”; in secondo luogo, sono certo che ci sia un fattore più profondo e serio, ovvero quello di perseguire e seguire in Italia un modello Macroniano
Come giudica la scelta di Matteo Renzi?
Non penso di dover dare un giudizio etico. In termini politici, invece, credo che da un lato ci sia una pulsione di tipo personale, ben nota, per cui vale la legge “o Cesare, o niente”; in secondo luogo, sono certo che ci sia un fattore più profondo e serio, ovvero quello di perseguire e seguire in Italia un modello Macroniano che punta a costruire una forza di centro di stampo liberale.A chi farà più male questa scissione?
Alla lunga può far molto male al Pd, se quest’ultimo non si riorganizza, riassumendo un’identità. E questo non vuole certo dire rinchiudersi in una ridotta di sinistra, per carità, ma significa a mio parere avere un momento in cui si ristabilisce le idee prioritarie, sia sul versante della protezione, sia sul versante della crescita.Questo presuppone un contatto rinnovato con l’elettorato?
Deve essere, pertanto, stabilito un riferimento sociale, più chiaro e netto di quanto sia stato finora, penso esplicitamente alla classe operaia, a ceti medi produttivi, intellettuali. Come allo stesso tempo trovare una struttura organizzativa nuova e lontana da quella attuale.Adesso noi collaboriamo con i 5stelle, ma non penso a una visione comune, troppe cose ci differenziano a cominciare dall’idea di democrazia, di crescita e di sviluppo del Paese
Elementi che sarà difficile far emergere durante questo governo, vista la convergenza di pensieri così distanti tra loro…
Non la vedo così. Non mi pare che ci siano i presupposti. Adesso noi collaboriamo con i 5stelle, ma non penso a una visione comune, troppe cose ci differenziano a cominciare dall’idea di democrazia, di crescita e di sviluppo del Paese. Gli stessi temi di giustizia, dalla centralità del lavoro rispetto a quella del Reddito, che invece mi pare affascinare i pentastellati. Per quanto riguarda i valori, non sono poi così incompatibili per un programma di governo, che per la sinistra, nel caso non dovesse essere attuato, sarebbe un colpo esiziale. Ero contrario a questa scelta, tuttavia, come si suol dire: cosa fatta capo ha.A margine proprio di questi problemi e senza il collante Renzi, c’è il rischio di una crisi imminente?
Non so leggere il futuro, e credo che l’unico obiettivo per il Pd è quello di lavorare per attuare il programma. Sapendo che in questo nuovo contesto rimane il problema di essere alternativi e di combattere la destra estrema, cosa per la quale il Pd si può massimamente classificare. Perché senza il Pd non c’è un’alternativa alla destra; parallelamente, c’è una collaborazione con il Movimento che è necessariamente una collaborazione tra forze di ispirazioni distanti, che si riconoscono in un programma, e che dovranno far conto al nuovo rapporto di cooperazione e di competizione con la nuova realtà di Renzi, i cui valori di natura liberale non sono in contrapposizione con quelli dei dem, ma che non possono neanche convivere.Come si traduce tutto questo in termini programmatici?
Occorre in tempi rapidi definire un’identità su un programma fondamentale, che abbia due gambe: protezione, nella quale inserisco anche la questione ambientale, e crescita, ovviamente nel senso di crescita sostenibile. Anche perché non c’è protezione senza aumento della ricchezza.Renzi innanzitutto non deve fare il furbo: non può dire “io ci sono, faccio un partito, mi propongo di insediarmi nel territorio, però non mi presento alle elezioni, se perdiamo la colpa è del Pd” mentre lui costruisce un partito nuovo
Un programma che vede un dialogo con le istituzioni europee, alla quali il governo si è riavvicinato…
Mi pare che l’unica cosa certa di questo governo è il riallineamento dell’Italia nell’alveo della sue naturali alleanze: che sono quelle europee e quelle Nato. È sicuramente una novità positiva prodotta dal nuovo esecutivo, ma non perché questo governo sia stato voluto in Europa, bensì per le decisioni che ha avuto, dal sostegno alla von der Leyen alle prese di posizione del Movimento 5 stelle in Parlamento europeo, fondamentali per costituire una maggioranza diversa anche nel Paese. Diciamo che Salvini vince le elezioni europee, ma in realtà le perde: se vogliamo dare una sintesi razionale, nel bel mezzo di tutti i temporali politici dell’estate, il sovranismo non è predominante nella compagine europea.La partita delle regioni è alle porte. Quanto può pesare l’assenza di Renzi in una regione di rilievo come la Toscana?
Renzi innanzitutto non deve fare il furbo: non può dire “io ci sono, faccio un partito, mi propongo di insediarmi nel territorio, però non mi presento alle elezioni, se perdiamo la colpa è del Pd” mentre lui costruisce un partito nuovo. C’è bisogno di un’intesa, almeno per i prossimi tempi. Sono convinto che Renzi deve sì partecipare alle regionali, impegnandosi però in un’alleanza con il Partito democratico e anche con la sinistra civica e le altre forze democratiche, in uno schieramento ampio.Senza un’alleanza Pd-5stelle, questo buco elettorale rischia, però, di essere riempito dalla Lega…
Non si deve escludere nulla, anche se prima di parlare della Toscana bisogna vedere i movimenti nazionali, cosa succederà in Umbria e cosa in Emilia. La nostra possibilità di vincere è consistente, abbiamo fatto un buon lavoro di giunta, abbiamo riconquistato rapidamente Firenze, Prato e Livorno. E poi, scherzando ma non troppo, mi sono fatto l’idea che più viene Salvini in Toscana, più i cittadini di essa, come dire, annusano e intuiscono un profilo politico culturale con connotazioni fascistiche e scelgono di reagire. Sono preoccupato, pertanto, che in questi ultimi tempi si è visto meno.