Ignoranti o ribelli?I giovani sembrano analfabeti, ma c’è un perché

Le loro lacune linguistiche sono abissali. Ma la sociolinguista Vera Gheno è ottimista: incomprensione intergenerazionale dovuta a un meccanismo evolutivo, sono molto più in gamba di noi

Non sanno l’italiano, non leggono più, parlano una lingua inventata. Le invettive contro l’analfabetismo giovanile si sprecano dai tempi di Platone, spesso a ragion veduta. Sebbene Google Trends non fornisca alcun dato inoppugnabile sul numero di strafalcioni ed espressioni vacue, tra programmi televisivi, vox pop, rivelazioni di cantanti, tronisti e influencer basta un attimo per udire il rumore di affermazioni indecifrabili. Per esempio Greta Menchi, famosa youtuber italiana, pochi mesi fa ha annunciato a due milioni di seguaci su Instagram – l’equivalente dello share per il concerto di Baglioni su Rai Uno -, che era arrivato il “momento in my daddy’s icon tee + mega indizio notizie future”. In attesa dell’aggiornamento della Stele di Rosetta, la decrittazione resta appannaggio dei fan, veri interlocutori dei nuovi imprenditori del web nonchè coinquilini dello stesso lessico. Ma forse è questo che noi antichi 27enni ignoriamo: buona parte degli adolescenti si esprime in modalità poco ortodosse, ma per loro informative e feconde.

Vera Gheno, sociolinguista specializzata in Comunicazione mediata del Computer, docente universitario presso l’Università di Firenze e autrice del recente libro “Potere alle parole” edito da Einaudi, sostiene che “l’impoverimento del linguaggio giovanile non sia del tutto vero”.

La necessità dei ragazzi è quella di emanciparsi dai genitori, dai maestri, dai cosiddetti dinosauri, attraverso nuove forme comunicative.

La necessità dei ragazzi è quella di emanciparsi “dai genitori, dai maestri, dai cosiddetti dinosauri” attraverso nuove forme comunicative. Un meccanismo evolutivo onnipresente nella società umana, che in questa stagione di rivoluzioni tecniche e antropologiche ha assunto dimensioni impreviste, anche tra gli individui anagraficamente più maturi: “Com’è possibile che i 50enni su Facebook scrivano come i bimbominkia? Perché la sensazione è che non sia davvero un’operazione di scrittura. L’importante è capirsi”.

La reazione di molti tra i più anziani è comunque di repulsione e disapprovazione nostalgica, tutte negazioni comprensibili, che però “provocano un fraintendimento: che i giovani di una volta fossero più forbiti”. Tempi in cui al dibattito pubblico partecipavano “solo i membri di un’élite molto ristretta: intellettuali, scrittori, politici. Con l’avvento dei social network chiunque ha un megafono in mano”. In questi modo sono emersi livelli linguistici nascosti, che molti avrebbero preferito rimanessero tali.

Una famiglia su dieci non ha libri in casa. Quando sputiamo sui giovani dobbiamo ricordarci che siamo noi ad avergli fornito un certo modello di società.

La Gheno riporta un dato tratto dalle rilevazioni Istat 2019, spesso trascurato ma eloquente: “Una famiglia su dieci non ha libri in casa. Quando sputiamo sui giovani dobbiamo ricordarci che siamo noi ad avergli fornito un certo modello di società”.

È vero che collettivamente stiamo perdendo dimestichezza con il nostro patrimonio culturale e questo vale specialmente per i millennials “che hanno un lessico molto rarefatto nei campi definenti per noi adulti, infatti balbettano quando si parla di politica. Ma quando li ascolti parlare fra loro – di sentimenti, tecnologia e musica -, scopri che hanno un vocabolario amplissimo”. Le nuove leve affinano le proprie competenze più nella grammatica delle immagini che in quella testuale, esibendo abilità nel video editing superiori di anni luce rispetto ai propri genitori. Un caso unico nella storia.

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