Anche le sconfitte insegnano: dalle conquiste fondamentali non si retrocede mai. Il caso Google ne è un esempio: l’ultima sentenza della Corte di Giustizia UE dà ragione al colosso della Silicon Valley. Il diritto all’oblio non ha validità globale. Tranne che in Europa. Avrà pure tutti i difetti possibili e immaginabili ma, in materia di diritti, il Vecchio Continente si dimostra ancora avanti. La sentenza storica del 2014 che ha obbligato Google a deindicizzare i link su richiesta degli utenti ne è la prova. Infatti in 5 anni oltre 380 mila voci sono scomparse da Internet. E il famigerato GDPR, Regolamento generale sulla protezione dei dati del 2016, che ha reso il diritto all’oblio una realtà concreta in tutta Europa, lo dimostra. Altrove questo rimane pura fantascienza. Dovunque si facciano simili discorsi su questa prerogativa si viene subito tacciati di limitare la libertà di informazione. La vicinanza di Wikipedia alle posizioni di Google mostra plasticamente la divisione quasi ideologica presente tra chi sostiene questi diritti. Un compromesso è però possibile e il caso europeo ne è la prova.
La sentenza del 2014 non prevede possibili casi di navigazione dentro i confini europei, che si possono aggirare navigando con un server proxy o un VPN specifico, che elimina tutte le restrizioni legate alla geolocalizzazione della ricerca
L’ultima disputa con Google nasce proprio dalla storica sentenza del 2014. In Francia la Commissione nazionale informatica delle libertà (Cnil) aveva imposto alla società statunitense di rimuovere i riferimenti a una persona dai risultati di ricerca globali. Big G si è solo parzialmente attenuta, oscurando le ricerche solo a livello europeo. Il risultato è stato una multa di 100 mila euro per violazione del diritto all’oblio. Il ricorso di Google, che ha lamentato il mancato rispetto del diritto d’informazione, è finito prima davanti al Consiglio di Stato francese e infine in sede di giustizia europea. Su questo caso la Corte di Giustizia UE non ha potuto che constatare come i confini nella navigazione siano sempre più labili. Per questo i giudici europei hanno sferzato il gigante di Mountain View. Infatti la sentenza del 2014 non prevede possibili casi di navigazione dentro i confini europei che si possono aggirare navigando con un server proxy o un VPN specifico, che elimina tutte le restrizioni legate alla geolocalizzazione della ricerca. E tanti saluti al diritto all’oblio. Qui Google dovrà fare di più. La stessa Corte lo dice quando chiede un maggiore impegno «per impedire l’utilizzo di una versione extra UE del motore che permetta di visualizzare risultati altrove deindicizzati». Altro che vittoria: su questo aspetto Big G ha dovuto incassare in silenzio. L’Europa qui fa scuola.
Lo stesso giudice europeo sostiene infatti che in materia di diritto all’oblio servirebbe agire a livello mondiale
Altrove però la musica cambia. Lo stesso giudice europeo sostiene infatti che in materia di diritto all’oblio servirebbe agire a livello mondiale. Impossibile che possa accadere: troppo grandi le differenze da Paese a Paese. Allo stato attuale, pensare a una sola regola mondiale in materia è pura utopia. Ma qui sorgono inevitabili i dubbi. In un mondo interconnesso e dalle distanze (virtuali) sempre più ridotte che senso ha ragionare ancora sui confini? Se il diritto a essere dimenticati è valido da Lisbona a Helsinki, perché invece deve essere valido a Rio, Washington o Tokyo? La prerogativa a poter essere dimenticati nasce come possibilità di rendere inaccessibili su Internet informazioni che possono nuocere all’onore di una persona ed è quindi illogico che tale prerogativa rimanga valida solo entro un certo confine fisico. È tempo che l’Europa si faccia sentire. Il modello europeo, capace di bilanciare libertà di informazione e dignità personale, deve diventare globale.