Chiunque abbia mai messo piede in un negozio di chitarre negli ultimi 40 anni sa benissimo cosa non bisogna mai suonare per non farsi prendere a calci dai commessi. Esatto, Stairway To Heaven. È una sorta di codice non scritto. Quella canzone non si può fare. Basta. Ci hanno provato tutti e forse sarebbe il caso di lasciarla riposare lì nella leggenda e rimetterla su Spotify ogni volta che qualcuno ne ha voglia. Ce lo insegna pure Fusi di Testa: Stairway è vietata. Ascoltando Always There viene da pensare che i Greta Van Fleet (la band dei giovani fratelli Kiszka autrice di un premiatissimo disco, From the Fires, salutato da tutto il giro di appassionati del “vero ruooock” come un ritorno alla buona vecchia musica di una volta quando in realtà si tratta di vergognosi plagi dei Led Zeppelin cui pure Robert Plant non sa cosa rispondere se non allargando le braccia dicendo «in effetti sono Led Zeppelin I») in un negozio di strumenti musicali non ci sono mai stati.
Il loro infatti è l’approccio alla musica di chi è cresciuto con i video tutorial su YouTube (“Come scrivere una canzone alla Led Zeppelin”) dopo essersi innamorata della musica con gli mp3 del fratello più grande — con la copertina di IV tirata giù da internet e stampata (male) — e aver comprato gli strumenti su Amazon senza aver mai affrontato un commesso esausto da tonnellate di sfigati con capelli troppo lunghi e giubbotti di jeans con toppe degli Iron Maiden intenti a rovinare le corde delle Epiphone Les Paul provando a fare quel primo maledetto arpeggio. Anche perché confrontarsi con chi da certe parti ci è passato ha sempre permesso di avere un rapporto più sano e costruttivo con le proprie influenze. Del resto, è da dopo l’esordio dei Led Zeppelin che la gente prova a rifarsi a Page, Plant, Bonham e Jones. Solo che se negli anni ’90 l’influenza era instradata nella voglia di fare qualcosa di personale (e quindi ecco i Jane’s Addiction, i Black Crowes o i Soundgarden) e negli anni zero c’era comunque un approccio rispettoso ma non privo di guizzi (i Wolfmother o gli Audioslave), negli anni dieci abbiamo assistito al totale asservimento all’estasi dell’influenza.
La cosa terrificante è che i Greta Van Fleet, appunto, funzionano. Hanno vinto dei Grammy. Suonano in tutto il mondo. Hanno il loro pubblico. E c’è pure chi si lamenta dell’approccio un po’ critico che alcuni hanno dimostrato facendo notare che sì, dai, ragazzi, questa gente è ridicola
Always There è una ballata senza nessun tipo di pathos, una canzone priva di qualsiasi elemento sexy, che non vibra e, anzi, infastidisce dal primo momento in cui entra la voce — che si rifà a Plant in un modo così ridicolo e manierista da sembrare un latrato — di Josh Kiszka. Cerca di frullare insieme tutti i pezzi lenti dei Led Zeppelin mettendoci dentro accordi sincopati, cascate di mellotron e assoli talmente telefonati che sembra di rispondere all’ennesimo call center che ci propone di abbonarci a un servizio di suonerie personalizzate sui Led Zeppelin. Insomma, non c’è nessun motivo per ascoltarla a meno che non siate un giornalista che se ne deve occupare oppure un ascoltatore di Virgin Radio che non aspetta altro che sentire un po’ di buon vecchio e sano rock e ha lasciato l’abbonamento premium su Spotify nell’altro smartphone.
La cosa terrificante è che i Greta Van Fleet, appunto, funzionano. Hanno vinto dei Grammy. Suonano in tutto il mondo (quando invece, se le cose funzionassero ancora a dovere, non avrebbero dovuto mettere mai piede dentro uno studio di registrazione perché nessun A&R di una casa discografica avrebbe permesso loro di fare ulteriori danni). Hanno il loro pubblico. E c’è pure chi si lamenta dell’approccio un po’ critico che alcuni hanno dimostrato facendo notare che sì, dai, ragazzi, questa gente è ridicola. Come ha scritto giustamente Pitchfork (assegnando a Anthem of the Peaceful Army il mitologico voto di 1.6): «Suonano esattamente come se si fossero fatti una canna una sola volta, avessero chiamato la polizia e cercato di registrare un disco dei Led Zeppelin prima di arrestarsi da soli». Peccato non l’abbiano fatto. Perché ogni volta esce una loro canzone ci si dividerà tra chi penserà che il rock è vivo, e chi che il rock è morto. Quando le cose più interessanti per quest’anno — e per tutti gli altri anni: ne parleremo — capitano milioni di chilometri lontano da questa ridicola farsa che sarebbe potuta essere interrotta sul nascere se solo qualche commesso di qualche negozio di strumenti musicali avesse avuto modo di dir loro come stavano veramente le cose. Poi uno dice i danni di internet e dell’isolamento.