La metafora delle separazioni tra coniugi non spiega affatto quale sia il significato della scissione di Italia viva dal PD. Ogni tentativo di confutare l’assunto secondo cui «la politica è un ramo specialistico delle professioni intellettuali» (D’Alema a Gargonza), lascia il tempo che trova.
Si tratta, con ogni evidenza, di una scena teatrale: chi l’ha negata, la fa; chi l’ha incentivata, la critica con severità. Si lascino da parte i sentimenti, anzi i risentimenti. E si metta davanti la politica, piuttosto. E quindi, si scoprirà che, al netto delle legittime ambizioni di conquista del potere che nessun politico serio può negare di desiderare, esiste un tema di fondo, l’idea di partito, che distingue da sempre il metodo Renzi dal metodo tradizionale.
Per Renzi è un cammino, fondato principalmente sul suo carisma, la sua passione, la sua forza attrattiva, la sua propensione ad esserne la guida. C’è tutta la sua storia, fatta di sfide vinte e perdute sempre giocandosi tutto. In un rapporto diretto con gli eletti, i militanti, il suo mondo. Alzi la mano chi non vede in questo una radice culturale cattolica di base, da sempre estranea al vissuto dei partiti tradizionali. Chi non vede come si inserisca nella crisi dei partiti che investe tutto il sistema politico liberale moderno. E anche chi non vede, in questo, un rischio di leaderismo cesarista, di autoreferenzialità.
Se proprio piace questa metafora delle separazioni, anziché cercare il colpevole, ognuno guardi dentro di sé, e farà passi avanti
Per i padri nobili e i seguaci del partito democratico delle origini, il rito, le forme organizzative, lo spirito di comunità che anima l’adesione al partito sono antecedenti alle scelte di indirizzo programmatico. Sono una adesione più religiosa, pur nella secolarizzazione che investe tutti. E alzi qui la mano chi non vede come questa forma organizzativa tenda a sclerotizzarsi, trasformandosi in oligarchia. Che muove le pedine preservando le leve, sino a che uno sfidante irriconoscente non rovesci il tavolo.
Questa è la storia degli ultimi anni, tutta dentro il riformismo italiano. I quarti di riformismo liberale e/o socialista e/o cristiano sociale, c’entran poco. Non si sono mai fatte tante riforme, laiche, come con Renzi. Non si scorge, nei nuovi sacerdoti della ditta, alcuna tentazione massimalista e nemmeno alcun superamento del metodo cooptativo, che però ha pur sempre dato in alcuni momenti buona prova di sé. Semmai, la divisione spinge gli uni (femminismo, accoglienza umanitaria dei migranti), sugli altri (congresso rifondativo, apertura alla società).
Sicché colpisce come gli analisti si diffondano alla ricerca delle conferme alle proprie abitudini mentali, novecentesche, scomodando i classici del pensiero politico. Se proprio piace questa metafora delle separazioni, anziché cercare il colpevole, ognuno guardi dentro di sé, e farà passi avanti.
Mi pare che il compito più complicato sia quello di capire quale idea di partito, di paese, di Europa, di mondo, invertendo l’ordine del discorso classico da comitato centrale (che adoro), dopo tutto quello che è successo e sta succedendo. Ma è solo per avvicinarmi alle preoccupazioni dei protagonisti. Che, invece, sarebbe meglio lasciare per ultime.