Contrordine, compagni. Dopo essersi guadagnati la medaglia al valore democratico – rifiutandosi di alzare il culo per esaudire gli schiribizzi estivi di Matteo Salvini – i parlamentari italiani sono tornati a essere quello che sono sempre stati negli ultimi vent’anni: uno spreco di denaro pubblico da tagliare al più presto. Il lieto annuncio lo ha dato ieri Luigi Di Maio, affermando che al contrario di quel che dicono i leghisti (ovvero, che «questo governo è nato per mantenere le poltrone»), sarà proprio questo governo a tagliare «trecento quarantacinque poltrone». Non per dare una nuova forma alle istituzioni repubblicane (per esempio, superando il bicameralismo perfetto). Si taglia il numero dei parlamentari perché – nell’ottica delle legge – i parlamentari guadagnano troppi soldi e non danno nulla in cambio ai cittadini che gli pagano lo stipendio. Sono, cioè, delle pure macchine succhia denaro. Perciò, via.
Il voto – l’ultimo, quello decisivo – è stato fissato per il 7 ottobre. E la novità è che dopo aver detto per tre volte no, voterà sì anche il Partito democratico. «Siamo persone serie e manteniamo la parola», ha detto Graziano Delrio. Intendendo la parola che hanno dato al nuovo alleato di governo, firmando l’atto di nascita del Conte Due. Non quella che avevano manifestato in aula, ripetutamente. Obiettando, da ultimo il 9 maggio scorso, al momento della dichiarazione di voto finale in aula, che la riforma voluta dai 5 stelle era solo «un taglio casuale numerico», «uno spot elettorale», perché è mancata la «volontà di affrontare i nodi strutturali».
Ora, il Partito democratico voterà invece sì, per fedeltà allo spartito della nuova maggioranza giallorossa. E nessuno, nemmeno Beppe Grillo issato sul palco del V-day di Bologna, nel pieno del suo furore anti casta, avrebbe potuto prevedere che, per vincere, l’antipolitica avrebbe avuto bisogno del sostegno dei più professionisti tra i professionisti della politica. Che magia.
L’unica certezza era che il Partito democratico sarebbe stato sempre dall’altra parte della barricata. E invece il rischio è che ora i Dem siano ormai entrati nelle fauci del mostro dell’antipolitica
La genesi è Tangentopoli. Quando prende piede l’idea che i politici scelti dai partiti siano per natura – anzi, per formazione – portati alla corruzione, al malaffare, al ladrocinio, al parassitarismo. Perciò, li hanno chiamati sanguisughe, avvoltoi, vampiri, spudorati. Fino al punto che essere parlamentare è diventata una vergogna da nascondere anche in famiglia, se necessario.
L’alternativa è stata immaginare che la classe politica sia sostituita con uomini scelti dalla società civile. I quali possono sia guadagnare di meno, sia essere in numero inferiore. Poiché, sia lo stipendio dei politici, sia il loro numero, non è determinato da esigenze pratiche della democrazia, ovvero l’autonomia e la rappresentatività del rappresentante del popolo, bensì dall’interesse del ceto politico.
Dal popolo dei fax, si è passati ai girotondi, sino ad arrivare all’uno vale uno dei nostri giorni. Ogni volta, è cresciuta la volgarità e l’intensità dei proclami, sino al “vaffanculo” puro e semplice. Il Partito democratico è sempre stato dall’altra parte. A differenza di uno dei suoi predecessori, il Pds, che invece credette di poter cavalcare l’onda anti politica di Tantentopoli. Mentre solo una parte del popolo e della classe dirigente piddina ha continuato a mobilitare questi umori. Mai vi aveva ceduto completamente, però, come sta avvenendo oggi. Peraltro, in nome di un’alleanza di governo giustificata dall’eccezionalità della situazione italiana. Non da una scelta strategica.
Così, nata per sbarrare la strada alla “deriva” salviniana, la maggioranza giallorossa rischia di aprire la strada alla deriva grillina. I segni si scorgono anche a livello locale, dove si sta sperimentando il paradigma della convergenza strutturale tra Pd e 5 stelle. In Umbria, la prima regione in cui si voterà, l’accordo si è trovato sulle parole d’ordine scritte da Luigi Di Maio in una lettera a La Nazione: «Le forze politiche facciano un passo indietro». Il Partito democratico ha detto subito sì. Sottoscrivendo l’idea che si possa fare politica senza politici. Nella convinzione che si possa democratizzare il vaffa. Dare un volto umano alla bestia anti politica. Sebbene, le statistiche dicano che, una volta entrati nelle fauci del mostro, non è così facile uscirne vivi.