Ingombrante. È questo il giudizio che, sia dentro che fuori dal Movimento Cinque Stelle, su Rocco Casalino, portavoce del Presidente del Consiglio. Un giudizio che pare una condanna: se a Giuseppe Conte è riuscito il miracolo di succedere a se stesso con una maggioranza diversa, la stessa impresa potrebbe non riuscire all’ex factotum di Lele Mora. In poche parole: Conte-bis sì, Casalino-bis forse. O con più probabilità, no.
Il destino del portavoce forse non sarà fondamentale per le sorti del Paese, ma è una perfetta lente di ingrandimento che aiuta a decifrare i codici di potere di questa nuova e strana maggioranza giallorossa, e lascia intravedere sommovimenti che restano celati ai più.
Conte, da avvocato sconosciuto, è riuscito a trasformarsi in funambolo che danza tra maggioranze diverse mantenendo la carica. A Casalino, sulfureo e onnipotente primo demiurgo di questa metamorfosi miracolosa, il colpo potrebbe non riuscire. Anzi. Suo malgrado si trova ora a essere una pedina al centro di una guerra sorda che si combatte su piani diversi. E la novità è che, con i nuovi assetti, anche lui è diventato sacrificabile. Rimane il premier, ma è difficile che rimangano anche i cantori della comunicazione dei governi precedenti.
Con una complicazione in più: Casalino non è mai stato davvero il capo della Comunicazione del Movimento Cinque Stelle. Era semmai il portavoce di una sua parte, quella dei capi: Davide Casaleggio e Luigi Di Maio. Chi riusciva a entrare in questo inner-circle molto ristretto poteva aspirare a una maggiore visibilità mediatica.
Seguendo questo filo di episodi si può ricostruire il percorso che ha portato all’abbraccio con l’odiato nemico di sempre, il Pd
Durante il primo governo Conte, dopo aver inzeppato di amici l’ufficio comunicazione del Movimento, Casalino si cimenta nell’impresa di tenere, lui solo, i fili di tutto il meccanismo: è portavoce di Palazzo Chigi, presenzia alle riunioni per la stesura del contratto di governo con la Lega, gestisce la comunicazione del Movimento e dei suoi esponenti più in vista (primo tra tutti, appunto, Di Maio). Qui però l’operazione comincia a mostrare i suoi limiti: Di Maio, che non lo ha mai amato (i più maligni dicono, anzi, che lo abbia temuto), lo accusa senza mezzi termini di lavorare in modo esclusivo alla costruzione della leadership di Conte, e non per lui.
È seguendo questo filo di episodi, cioè lungo la spaccatura che si apre nel Movimento e che Casalino cerca di cavalcare a suo favore, che si può ricostruire il percorso che ha portato prima alla débacle mediatica del Movimento e poi all’abbraccio con l’odiato nemico di sempre, il Pd.
Il primo passaggio è l’elezione di Nicola Zingaretti alla segreteria del Partito Democratico. Conte, nelle ore seguenti, lo chiama per congratularsi. Di Maio, colpito dal gesto insolito, parte all’attacco di Casalino: «Per chi lavori tu?», gli grida. La furia del ministro coinvolge tutto il gruppo di comunicazione del Presidente del Consiglio, ma il portavoce si difende. «Non sono stato io a suggerirlo a Conte», avrebbe detto. L’allora ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico però non gli crede.
Tre mesi dopo, cioè nel giugno 2019, Casalino lancia un altro importante segnale comunicativo: in occasione di un incontro informale per discutere sulle nomine europee, il portavoce riesce a sedersi allo stesso tavolo con Conte e i grandi d’Europa, cioè la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron. L’immagine che rimbalza tra gli organi di stampa è imbarazzante (per il governo) ma parla chiaro: Io, Casalino, sto con il presidente. E sono al tavolo con i leader.
Parte della stampa glorifica il portavoce e prova a difenderlo dalle critiche che gli piovono addosso: lui parla tedesco, ecco perché era lì, dicono in sintesi. Ma Linkiesta ha potuto verificare che si trattava soltanto di una scusa, perfino poco accorta: a quel tavolo non si parlava tedesco, bensì inglese. La significativa presenza di Casalino in quel contesto, allora, appare inspiegabile soltanto per chi non lo conosce: il portavoce è abilissimo a infilarsi nelle stanze dei summit. Per lui non c’è soglia che sia inaccessibile: cosa che del resto si era già vista in occasione dell’incontro tra Renzi e Grillo del 2014, in cui Di Maio era testimone sorpreso.«Mi ha lasciato spiazzato». Con queste parole Davide Casaleggio ha commentato il video in cui Conte si schierava a favore del Tav, tradendo uno dei principi fondamentali (e identitari) del Movimento. Davvero non ne sapeva nulla, dal momento che il video-maker di Palazzo Chigi, cioè Dario Adamo, era un suo ex-dipendente? Anche stavolta Casalino ha dovuto togliersi d’impaccio: era a conoscenza della mossa di Conte ma non la condivise con nessuno. Possibile?
Nei prossimi mesi c’è da sciogliere un nodo fondamentale: decidere circa 400 nomine governative. Alcune di queste interessano da vicino proprio Casaleggio
Sì, era possibile. Da quel momento lo sganciamento di Casalino diventa un fatto pubblico. A quel punto Di Maio si impone e chiede come portavoce Augusto Rubei. I parlamentari, in piena crisi di governo, chiedono la sua testa – anche nei colloqui con Conte. E Grillo, che da anni si era allontanato dal suo vecchio pupillo (lo aveva sponsorizzato lui a Casaleggio senior), non si fa vedere. Davide Casaleggio, in tutto questo, viene tenuto fuori dai giochi.
Il risultato di questo scontro è che (quasi) tutti gli uomini e le donne di Casaleggio sono usciti da Palazzo Chigi. E in questa situazione di scontro e riposizionamento comincia la fase più rischiosa per Conte e la sua leadership: nei prossimi mesi c’è da sciogliere un nodo fondamentale, cioè decidere circa 400 nomine governative. Alcune di queste interessano da vicino proprio Casaleggio – a partire dal Garante della Privacy, il cui ufficio al momento è vacante.
Proprio su questa nomina all’interno del Movimento si combatte da tempo una guerra senza quartiere. Da un lato c’è chi spinge per un nome gradito al titolare della srl, avallando così un palese conflitto di interessi, visto il core-business della Casaleggio Associati. Dall’altro chi, invece, vuole sottrarsi a questi diktat e rivendicare autonomia. Ad aprile Di Maio entra in rotta di collisione con Casaleggio proprio sulle nomine: «Davide mi dà il tormento», si lamenta.
Ormai bruciati i ponti con il Movimento e la sua leadership, Casalino e sempre di più a fianco del suo Presidente.
Il quale, però, a poche ore dal giuramento si è trovato obbligato a mettere un freno alle smanie del suo portavoce. Casalino aveva chiamato alcuni ministri del Pd per chiedere di allineare con lui la loro comunicazione, rivendicando dal nulla un ruolo di coordinatore che nessuno gli aveva dato. Un atteggiamento che ha sollevato molte proteste, tanto da aver fatto pensare di affiancargli qualcuno per tenerlo sotto controllo.
Anche perché Casalino, sempre bravo a promuovere se stesso, è riuscito a innervosire lo stesso Conte: quando è uscito il tweet di Trump che “endorsa” il Conte-bis, è uscita anche la notizia che la comunicazione è stata il frutto di un lavoro certosino svolto tra l’Ufficio stampa di Palazzo Chigi e la Casa Bianca. Una balla, certo, che non è piaciuta al presidente del Consiglio.
Queste sue iniziative fanno sorridere (e preoccupare) anche gli esponenti del Pd. «Il presidente è Conte. Fino al 2020, c’è Trump. Al limite, se serve, chiamiamo Casaleggio». E Casalino? «Lui può stare sereno. Di lui non abbiamo bisogno», dicono. Ingombrante, sì. Ma anche inutile.