Li considerano degli scansafatiche, dei casinari, e dei criminali. Dicono che non si lavano e che rubano il lavoro. Li chiamano “terroni”, come se avere antenati o parenti contadini fosse un insulto. Non gli affittano le case anche se il loro vicino che conoscono da 40 anni ed è una “bravissima persona”, probabilmente è nato al Sud o ha i parenti meridionali. Sono i polentoni da macchietta, quei pochi italiani che pensano di essere più onesti, intelligenti, lavoratori solo perché vicino e nascono sopra il Po. Una branca di analfabeti funzionali che interpretano la realtà solo attraverso quello che gli capita attorno.
Due episodi solo nell’ultima settimana. Il primo a Forlì, dove una 53enne nata a Terrasini, in provincia di Palermo, è stata aggredita dal vicino di casa per un posto auto al grido di: «Sei terrona, puzzolente e mafiosa». Il secondo a Robecchetto con Induno, in Lombardia dove una signora, si fa per dire, ha detto a una 28enne pugliese di non volerle dare casa in affitto perché per lei «sono tutti uguali: meridionali, negri e rom». È il 2019, ma sembra il 1861. L’Italia è diventata una commedia di Natale. O forse lo è sempre stata. Ma al posto di Claudio Bisio e Alessandro Siani ci sono i vostri colleghi di lavoro, i compagni di scuola, gli avventori di un bar. Lo sfottò è diventato ideologia.
Ora che Matteo Salvini non è più ministro degli Interni, gli italiani hanno messo in congelatore il sovranismo. I nemici non sono più i migranti ma i terroni. Come se non ci fossero differenze tra un siciliano e un molisano, tra un barese e un cosentino, tra uno del rione Sanità e uno del quartiere Vomero, tra l’inquilino del piano di sotto o di sopra, tra chi vive in una stanza e quella accanto, tra un individuo e un altro. No, chi è del Sud Italia fa parte di un unico insieme geografico e culturale i cui confini sono quelli borbonici del Regno delle Due Sicilie. E il problema è che anche nel Mezzogiorno qualcuno ci crede.
Lo scrittore Pino Aprile, autore non a caso del libro Terroni, ha fondato il 24 agosto a Potenza il partito del Sud: Azione Politica Meridionale. Perché ancora peggio di quei pochi polentoni caricaturali ci sono i neoborbonici ancora convinti che mille camicie rosse e un re sabaudo abbiano rubato l’oro del Mezzogiorno per aiutare le fabbriche del Nord. Neanche fosse un film western con il tesoro dei confederati. Oppure sono convinti che ci sia ancora la nebbia a Milano (chi vi scrive non l’ha mai vista in tre anni) e che solo al Sud si mangi bene. Ecco, siccome odiate i polentoni, cominciate da quello straordinario piatto che è la “polenta e osei”, proseguite con la Cassoeula e finite con l’ossobuco alla milanese per rifarvi il palato. Per non parlare dei casoncelli di Brescia o i canederli trentini, questi ultimi la prova che esiste un ente non antropomorfo che ha creato il Mondo. E già che ci siete provate a dire “polentone” a un romagonolo, a un ligure o a un valdostano e vedete come strabuzzeranno gli occhi.
Perché ancora peggio di quei pochi polentoni ci sono i neoborbonici ancora convinti che mille camicie rosse e un re sabaudo abbiano rubato l’oro del Mezzogiorno per aiutare le fabbriche del Nord. Neanche fosse un film western con il tesoro dei confederati
E dire che in questi giorni qualcuno con l’abaco si è messo a contare quanti ministri fossero del Sud, e il fondatore di Libero Vittorio Feltri ha definito il governo uno “zoo pieno di terroni”. Come se un politico governasse in base al posto in cui è nato. Perciò dal ministro Vincenzo Amendola ci aspettiamo che si occupi dei problemi di Napoli e lasci stare gli Affari europei. O che la neo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese si occupi solo di mantenere l’ordine pubblico di Potenza. Per non parlare del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che sta ammassando tutto l’esercito a Lodi in attesa di attaccare la Kamčatka, come a Risiko.
A pensarci è un bene che ci siano tanti ministri meridionali perché il vero problema del Mezzogiorno non è la mentalità, ma la disoccupazione e la produttività sempre più bassa. Dovrebbe saperlo il ministro per il Sud Peppe Provenzano, vicepresidente dell’isituto Svimez che poche settimane fa ha pubblicato un rapporto implacabile: dal 2002 al 2017 oltre 2 milioni d’italiani sono emigrati dal Sud al Centro-Nord. Più o meno come se tutti gli abitanti della Calabria fossero scomparsi in 15 anni. Solo nel 2017 l’equivalente della popolazione di Salerno ha lasciato il sud: 132mila persone, di cui la metà è formata da giovani. Il 72% di chi lascia il Mezzogiorno ha meno di 34 anni. Ecco magari risolvere quei problemi non costringerebbe tanti giovani a lasciare il loro mare, i parenti e gli amici per prendere un tram di una città nella pianura padana. Così come hanno fatto per decenni i loro nonni e genitori.
Non sarà un articolo a risolvere lo scontro terroni e polentoni, ma fate in fretta perché mentre noi ci prendiamo in giro tra Esposito e Fumagalli, l’Italia è ultima per natalità, ultima per crescita del Pil, ultima per investimenti in cultura, terza per disoccupazione giovanile, ha il secondo debito pubblico più alto dell’eurozona ed è quasi sempre sotto la media europea in tutte le classifiche. Poi ci sarebbe anche un altro “popolo” che non è né del Sud, né del Nord. Ignorato dai mass media e dalla cultura pop, di cui si parla solo quando c’è un terremoto o si va in vacanza. Sono i centroitaliani che al sud si sentono del Nord e al nord si sentono del Sud. Ma meglio non parlarne, o inizierà un’altra faida.