ScismiScissione Renzi-Pd? Ecco perché sarebbe un disastro per entrambi (e per il governo)

Troppo alti i rischi di questa operazione, sempre ammesso che si faccia. Sarebbe un pericolo enorme non solo per il governo, ma anche per gli stessi democratici, oltre che per il “senatore semplice” Renzi

Sconcerto. Così sono state accolte al Nazareno le due interviste di due dei più importanti collaboratori politici di Matteo Renzi, il nuovo sottosegretario agli Esteri Ivan Scalfarotto e il vicepresidente della Camera Ettore Rosato. Un’offensiva chiaramente concordata con il leader, in cui i due pezzi grossi del renzismo hanno agitato lo spettro della scissione in maniera mai così concreta. Entrambi hanno parlato apertamente di “separazione consensuale” (espressione mai utilizzata in precedenza) ed hanno fatto esplicito riferimento alla Leopolda, che si svolgerà a Firenze dal 18 al 20 ottobre, come punto di non ritorno.

Parole che pesano come pietre nel dibattito interno al Pd, rese ancora più significative dalle affermazioni dello stesso Renzi, che ha annunciato che alla kermesse di casa sarà “chiaro come mai stato prima” sul destino suo e del Partito Democratico. La strada, insomma, sembra ormai tracciata. La formazione di gruppi parlamentari autonomi – che rappresenterebbero una forma embrionale del tanto sbandierato nuovo partito centrista – è il percorso scelto per affrontare questa nuova avventura politica. Si parla di una ventina di deputati e una decina di senatori pronti a seguire il leader, che avrebbero anche una rappresentanza governativa, composta dalle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, dalla viceministra Anna Ascani e, appunto, dal sottosegretario Scalfarotto.

Quanto può durare l’esecutivo se le fibrillazioni nella maggioranza fossero destinate a crescere esponenzialmente, con Renzi da una parte e i Cinque Stelle dall’altra pronti a scannarsi un giorno sì e l’altro pure?

Tutto fatto, dunque? Al quartier generale del Pd non tutti ne sono convinti. Subito dopo aver letto le interviste di Scalfarotto e Rosato, il segretario Zingaretti ha fatto un giro di telefonate con tutti i colonnelli della maggioranza, da Dario Franceschini a Paolo Gentiloni, fino al leader della corrente Base Riformista, Lorenzo Guerini, che guida l’ala dei renziani cosiddetti moderati, quelli che non vedono nell’ennesima scissione una prospettiva da perseguire. La linea è quella di fare il possibile per tentare di convincere Renzi a evitare quello che lo stesso Zingaretti ha definito lo “scisma”. Troppo alti i rischi di questa operazione, a dispetto di ciò che afferma uno dei riferimenti politici ed intellettuali del segretario, Goffredo Bettini, che da mesi parla proprio di “separazione consensuale”.

Il primo a rivolgersi direttamente a Renzi, non a caso, è stato Dario Franceschini che da Cortona, dove ha riunito la sua corrente Area Dem, ha parlato del Pd come “casa di tutti noi, a cominciare da Matteo”. Non un caso, si diceva. Già, perché Franceschini è il dirigente dem più impegnato in queste settimane a portare avanti il nuovo piano di posizionamento politico del Pd ed è anche il capo delegazione dem al governo. Quella che, infatti, viene definita dai “turborenziani” un’iniziativa che “allargherebbe la maggioranza” (guardando a chi, in Forza Italia, non vuole morire sovranista), viene considerata dai maggiorenti dem la possibile pietra tombale sul futuro del governo. “Quanto può durare l’esecutivo se le fibrillazioni nella maggioranza fossero destinate a crescere esponenzialmente, con Renzi da una parte e i Cinque Stelle dall’altra pronti a scannarsi un giorno sì e l’altro pure?”, si chiede un parlamentare dem vicino a Zingaretti.

Poco, è questa la risposta che arriva dal Nazareno. “Evidentemente – prosegue la nostra fonte – non aveva torto chi diceva che Renzi ha aperto al governo con Grillo solo per avere più tempo per farsi gli affari suoi. Come potremmo spiegare una scissione così ai nostri militanti? Leggendo le interviste di Scalfarotto e Rosato, l’unica cosa che si capisce è che si sono sentiti offesi perché qualche nostro elettori, alla Festa de l’Unità di Ravenna, ha cantato Bandiera Rossa”. Quello della “svolta a sinistra” del nuovo Pd sembra davvero un pretesto per rompere. La verità è che Renzi vuole tornare al centro della scena politica, condizionando esplicitamente l’azione di governo e le future strategia del centrosinistra, nella battaglia contro Salvini.

Renzi vuole tornare al centro della scena politica, condizionando esplicitamente l’azione di governo e le future strategia del centrosinistra

A breve, d’altronde, ci sono due scadenze che determineranno il futuro del Pd e di tutta l’area: le elezioni regionali, con la possibile convergenza con il Movimento 5 Stelle, e la definizione della nuova legge elettorale che, se davvero volgesse ad una correzione verso il proporzionale puro, sconvolgerebbe il quadro politico. “Quel che Renzi non sembra calcolare – ci spiega un parlamentare che è stato un suo fedelissimo, ma che non è disposto a seguirlo nella nuova avventura – è che questa mossa così avventata potrebbe vanificare tutto, andando a rompere equilibri fragilissimi”.

Inoltre, non è detto che questo spazio, effettivamente, ci sia. Carlo Calenda, che è uscito dal Pd in netta discordanza con la scelta di aprire al governo con i grillini, la spiega così: “Il nostro progetto è all’opposto di quello di Renzi, si basa sulla coerenza e non sui tatticismi”. Traduzione: potremmo trovarci con due soggetti politici, in lotta tra loro, che si porrebbero l’obiettivo di occupare lo stesso spazio. Uno spazio che, tra l’altro, non è detto che trovi un riscontro tra gli elettori pari all’interesse che suscita sui giornali. E uno di questi soggetti – quello che farebbe capo all’ex segretario dem – nascerebbe su basi decisamente poco solide, che si possono riassumere così: militanti che cantano Bandiera Rossa, nessun toscano al governo e meno sottosegretari rispetto a quelli richiesti. Non un gran biglietto da visita.

“Sarebbe un suicidio in piena regola – prosegue il parlamentare dem – che avrebbe conseguenze gravi anche per il Pd”. E qui sta il vero cruccio di Zingaretti. Si è presentato come il segretario che avrebbe portato l’unità nel Pd (concetto fino a qualche settimana fa sconosciuto), ha fatto di tutto per portare a casa questo obiettivo, è riuscito a compattare i dem in uno dei passaggi più delicati della loro storia ed ora si trova a dover assistere, forse, all’ennesima, incomprensibile, scissione. Scissione che, come detto, avrebbe conseguenze disastrose anche per il Pd. È per questo che al Nazareno lavorano e lavoreranno fino all’ultimo per ricucire. “Anche restasse un solo un per cento di possibilità che rimangano dentro, Zingaretti ci proverà”, assicura il deputato vicino al segretario. La presidenza del partito è già stata offerta, i pontieri sono costantemente al lavoro. In ballo c’è la sopravvivenza del governo e del Pd.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter