«Hai controllato il locale su Internet?». Una frase comune che tutti avranno sentito almeno una volta. Quando viaggiamo o usciamo per un pranzo, una cena o un aperitivo è inevitabile: alla fine c’è sempre la fidanzata o fidanzato, figlia o figlio, amica o amico che controlla sui siti di recensioni la valutazione della meta prescelta. Un modo come un altro per essere sicuri della scelta, fidandosi del parere della comunità di internauti. Il passaparola virtuale ormai ha sostituito il passaparola reale, passato di moda. Tutto giusto, peccato che poi alla fine si resti spesso delusi dalla realtà, drammaticamente distante da quanto annunciato sul web. Non tutto è oro quel che viene recensito.
Secondo gli inglesi, che hanno analizzato 250 mila recensioni dei 10 più importanti hotel nelle destinazioni turistiche più importanti del mondo, su TripAdvisor una recensione su 7 è falsa
Eppure, qualcosa di nuovo c’è. Il 17 settembre TripAdvisor, sito leader nei giudizi di alberghi e ristoranti, ha pubblicato il primo report sulla Trasparenza delle recensioni. Una risposta mirata anche alle accuse dell’associazione inglese dei consumatori Which?Travel che pochi giorni fa aveva attaccato l’azienda statunitense, accusandola di immobilismo contro le false valutazioni. Secondo gli inglesi, che hanno analizzato 250 mila recensioni dei 10 più importanti hotel nelle destinazioni turistiche più importanti del mondo, su TripAdvisor una recensione su sette è falsa. Una percentuale non trascurabile. La risposta del gufo viaggiatore però non si è fatta attendere. Secondo i loro dati nel 2018 sono stati postati 66 milioni di recensioni e 155 milioni di foto: solo il 4,7% è stato respinto o rimosso e solo il 2,1% è stato giudicato falso. Numeri esigui, ma che significano ben un milione di falsi con cui TripAdvisor si è dovuta confrontare. È chiaro come il problema in questo contesto sia uno: quello delle recensioni a pagamento.
Pochi mesi fa è stata emessa a Lecce una sentenza storica contro chi vendeva false recensioni su Internet. La pena? 9 mesi di carcere
Una questione di non poco conto, certo, ma dove si segnalano interessanti novità. Per esempio, pochi mesi fa è stata emessa a Lecce una sentenza storica contro chi vendeva false recensioni su Internet. La pena? Nove mesi di carcere. Si spera che la punibilità penale sia utile per far capire il problema anche a chi finge di mettere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi. Google e Facebook finora hanno fatto finta di nulla, come se il tema non li riguardasse. E invece li riguarda: presto o tardi si dovranno esprimere e valutare se lasciare ancora carta bianca ad anonimi sconosciuti di esprimere i loro giudizi su hotel e ristoranti sia corretto oppure no.
Nel frattempo, come ci regoliamo? Per lo scrittore e sapiente di cibo e vino Camillo Langone è necessario un approccio critico al mondo delle recensioni. «Non si possono guardare le recensioni con spirito piatto, badando solo al rapporto qualità/prezzo, alle porzioni e fregandosene degli ingredienti e dell’estetica dei piatti e dei luoghi. Serve uno spirito più indagatore». Il contributo di TripAdvisor infatti è innegabile, e se usato bene può contribuire tantissimo. E tra tanti giudizi e valutazioni «sono le immagini che fanno la differenza. Solo con le foto del menù e dei piatti si può capire davvero l’anima del locale e valutarne la bontà». Di sicuro indietro non si torna, al tempo di «guide gastronomiche piene di marchette e recensioni false. Ormai sono il passato». La stretta sui falsi quindi è un bene? «Non necessariamente, perché i siti non hanno una credibilità assoluta ma solo relativa. Non sono loro a dover cambiare, ma gli utenti». Altrimenti nulla cambierà per davvero.