Fortezza Europa?Il Commissario alla “protezione dello stile di vita europeo” è una bufala (e l’estrema destra non c’entra)

La denominazione del nuovo commissario nella Commissione europea ha suscitato polemiche perché strizzerebbe l’occhio ai nazionalisti xenofobi. La verità è che si tratta di una discussione insensata: l’estrema destra non c’entra. Ma soprattutto, uno stile di vita europeo non esiste

KENZO TRIBOUILLARD / AFP

Due giorni fa la neo presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha presentato alla stampa il suo nuovo entourage di vicepresidenti e commissari. Il greco Margaritis Schinas, del partito di centrodestra Nuova Democrazia, ha preso il posto di Dīmītrīs Avramopoulos nella DG (Direzione generale) sulle migrazioni, con una novità: la denominazione è cambiata, e ora prende il nome di «Commissario per la Protezione dello stile di vita europeo». Apriti cielo, la polemica è subito scattata. La motivazione è che, accostando la competenza sull’immigrazione al termine “protezione” si strizzerebbe l’occhio all’estrema destra, rinsaldando la retorica xenofoba che vede nell’immigrazione una minaccia capace di minare le fondamenta della società europea.

Tra gli altri, anche diverse personalità istituzionali hanno preso una posizione netta. Il presidente uscente della Commissione Jean-Claude Juncker ha preso le distanze da von der Leyen, dichiarando «Non mi piace l’idea di uno stile di vita europeo da opporsi al fenomeno migratorio. Accettare chi viene da lontano fa parte dello stile di vita europeo». Anche David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, ha così commentato: «Mi auguro che, nella fretta di dare le denominazioni, siano state elaborate con leggerezza alcune denominazioni bizzarre e originali». Tagliente il giudizio di Enrico Letta, che in un tweet ha detto: «Con franchezza. La competenza della nuova Commissione Ue sulle migrazioni ridenominata proteggere il nostro modo di vivere, anche no. Semplicemente no. Ma proprio NO».

Quello che a prima vista sembrerebbe un grosso passo falso da parte della Commissione, però, è presto spiegato. A farlo ci ha pensato Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi, in un thread su Twitter: l’infelice uscita è semplicemente il frutto della spartizione e dell’accorpamento, nei giochi delle nomine, di diverse competenze fra i Paesi europei. In breve, all’atto di assegnazione dei commissari, sia Grecia che Svezia si sono contese la Direzione generale sugli Affari interni (che prevedono la delega all’immigrazione), avendo entrambe parecchio interesse sul tema: l’una perché «è stata al centro della crisi 2015-2016 e anche oggi continua a veder arrivare 50mila migranti irregolari all’anno», spiega Villa, l’altra perché «ospita un alto numero di rifugiati pro capite in Europa». Posto che la Svezia avrebbe perso l’importante DG Commercio, per non scontentare nessuno von der Leyen ha dunque deciso di affidare la DG degli Affari interni alla Svezia, ma lasciando comunque alla Grecia competenze sulle migrazioni, stabilendo che il commissario greco sia anche Vice Presidente, «poiché i Vice Presidenti hanno competenze più ampie, di supervisione e coordinamento». Così, Schinas vigilerà sulle DG Affari interni e Uguaglianza, con competenze anche su cultura, sport, istruzione e antiterrorismo. «In questo pastrocchio, che nome puoi dare a una Vice Presidenza che comprende temi che vanno da istruzione e cultura, a migrazioni e integrazione, ad antiterrorismo e protezione da minacce esterne? “Proteggere il nostro stile di vita europeo”. Et voila!», scrive Villa.

Destra o mica destra, xenofobia o meno, la verità è che uno stile di vita europeo non esiste

In base alla spiegazione, quella sul titolo del nuovo commissario appare quindi come una polemica sproporzionata, per quello che era il contenuto. E dire che ammicca all’estrema destra, quantomeno frettoloso. La Commissione, dal canto suo, ha difeso la propria decisione, senza spendersi in troppe spiegazioni. Ora, nei prossimi giorni il Parlamento europeo esaminerà e voterà sui candidati nelle commissioni competenti, ed è possibile che questo DG non riceva l’approvazione del Parlamento Ue.

Al di là di come andrà a finire, però, il tema rimane interessante da analizzare: perché destra o mica destra, xenofobia o meno, la verità è che uno stile di vita europeo non esiste. Pensateci: viviamo in un continente storicamente solcato da profonde differenze, culturali e non solo. Il nostro “stile di vita” è tutto fatto di influenze straniere, quando andiamo al cinema per guardare blockbuster americani, quando siamo fuori a cena e si va dal cinese, dal libanese o dall’indiano. E poi il corso di yoga, gli acquisti su Amazon e il viaggio di nozze alle Maldive. Chiamatela pure globalizzazione, ma a meno che non siate dei sovranisti pure delle vacanze, si viaggia anche perché è bello lasciarsi contagiare dalle cose del mondo. Tanto più che ci sono un sacco di fattori che hanno cambiato la società europea dal di dentro senza che ce ne rendessimo conto. Piuttosto, ad accomunarci sembrerebbero essere più gli storici, immortali luoghi comuni con cui ci identifichiamo vicendevolmente: i freddi danesi e gli ubriaconi spagnoli, i francesi snob e gli avvenenti svedesi, gli italiani “pizza Salvini e Bunga bunga (questa la versione evoluta, ma la pizza ci entra sempre) i precisetti tedeschi e i portoghesi villosi. Chi parla di radici cristiane, poi, vada a vedere alla voce “crisi delle vocazioni” e si faccia un giro nelle migliaia di chiese vuote, e poi ne riparliamo. Da decenni gli accademici tentano di capire se un’identità europea esista davvero e in cosa consista. Superfluo dire che, ad oggi, manca ancora una definizione condivisa.

L’Europa così come era stata concepita dai padri fondatori a Ventotene è in buona parte rimasta un sogno

Perché, argomentazioni spicciole a parte, l’Europa così come era stata concepita dai padri fondatori a Ventotene è in buona parte rimasta un sogno. Nord e Sud, Ovest ed Est, lungo tutte le traiettorie del continente permangono differenze sociali che non solo ci classificano come paesi di serie A o di serie B sulla carta, ma che condizionano drasticamente e nel concreto i modi di vita delle persone. No, in Finlandia non si vive come in Bulgaria, in Belgio come a Malta. E se il tentativo è quello di muoversi in quella direzione, siamo ancora molto lontani dall’obiettivo. Tassi di scolarizzazione, di occupazione, di benessere economico, di servizi, persino di diritti variano in maniera sostanziale tra uno Stato e l’altro. Differenze di oltre 20 punti percentuali si trovano tra i Paesi migliori (Svezia) e i peggiori (Grecia) in termini di occupazione. Nel 2016 in Europa le persone a rischio povertà in Bulgaria erano il 40%, in Francia il 15%. A Cipro le persone in difficoltà a riscaldare casa durante l’inverno erano il 24%, in Austria il 2%. In Grecia oltre il 10% delle persone non può curarsi perché la sanità costa troppo, in Finlandia lo 0,1%. La lista potrebbe andare avanti all’infinito, dai livelli di istruzione al Pil pro capite, dall’efficienza dei mezzi di trasporto ai salari.

Perché l’Europa, in fondo, è ancora questo: grandi città dove fervono la cultura e i servizi e campagne dove ancora si stenta ad avere la copertura della rete o anche solo uno straccio di collegamento in termini di viabilità. Un continente fatto di giovani Erasmus che parlano cinque lingue come di paesini dove la gente è a malapena uscita dai propri confini nazionali. Una realtà dove lobbisti in giacca e cravatta sfrecciano veloci, valigette in mano, al fianco di chi vive per strada, frugando nei cassonetti e morendo assiderato d’inverno. Di quale “stile di vita europeo” parliamo esattamente? Si potrà forse parlare di diversità a volerla vedere in positivo, ma l’Europa è anche fatta di tante contraddizioni, e a dirla tutta sembra che ad unirci siano molto più aspetti come l’ondata nazionalista che altro: dall’Italia alla Francia, dall’Olanda all’Ungheria, gli xenofobi e i sovranisti si assomigliano tutti. Se c’è qualcosa da cui dobbiamo proteggerci, sono loro.

Nel frattempo, converrebbe a tutti farsi un bell’esame di coscienza. Perché, in fondo, la crisi migratoria non ha fatto altro che riportare alla luce un tema irrisolto da sempre: dobbiamo ancora decidere cosa sia Europa. E chi pensa di costruire muri altro non fa che evidenziare l’ipocrisia di chi invece le porte sembrerebbe volerle spalancare, ma allo stesso tempo chiude gli occhi sui fallimenti che avvengono all’interno dei propri stessi confini. E nel frattempo arriva a finanziare chi commette violazioni di diritti umani purché quei migranti se li tenga. Se è vero che sull’immigrazione si gioca la partita più importante, è anche ora di finire di giocare questa partita. Il senso dell’Europa, metaforicamente, si riduce a come risponde alla questione immigrazione: se finora non abbiamo fatto molta strada, qui in futuro si determinerà la sua ragione di essere.

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