Che cosa dicono i report“Allerta 2” sulle sigarette elettroniche, ma per i produttori italiani è un problema solo americano

Dopo la diffusione della “polmonite chimica” negli Stati Uniti, l’Istituto superiore di sanità ha diramato l'allarme sullo “svapo” in un documento inviato al ministero della Salute. Roccatti (Anafe): «Da noi legislazione ferrea. Il problema non sono le e-cig ma i liquidi illegali venduti in America»

Dagli Stati Uniti, l’allarme sulle sigarette elettroniche ora arriva anche in Italia, in un documento diramato dall’Istituto superiore di sanità e inviato al ministero della Salute e agli assessorati regionali. Nel testo si parla di “un’allerta di grado 2” sulle e-cig, quella intermedia, con l’obiettivo di vigilare sulla diffusione della «grave malattia polmonare» e delle «gravi lesioni polmonari tra le persone che utilizzano prodotti per sigaretta elettronica» segnalate in diversi Stati negli Usa. La malattia incriminata è la cosiddetta “polmonite chimica” o Evali (dall’acronimo di “E-cigarette, or Vaping, product use Associated Lung Injury”), che ha già fatto registrare 1.300 casi negli Usa, uccidendo 26 persone. Tanto che anche Donald Trump ha promesso di vietare le e-cig. Finendo così per mettere sotto accusa in maniera semplificata tutto il mondo delle sigarette elettroniche da una parte all’altra dell’Oceano, senza che ci sia in realtà alcuna prova scientifica che la causa di questa patologia sia lo “svapo”. Anzi, tutt’altro: come i report delle agenzie pubbliche Usa dimostrano, il problema sono i liquidi contenenti Thc, spesso acquistati sul mercato nero, e non le sigarette elettroniche in sé.

«Il Cdc americano (Centers for Disease Control and Prevention, ndr) ha evidenziato come l’Evali derivi in realtà dall’uso di cartucce precaricate contenenti Thc, che sono legali negli Usa ma circolano anche molto sul mercato nero. È emerso che la maggior parte delle persone ospedalizzate avevano effettivamente acquistato cartucce illegalmente», spiega Umberto Roccatti, presidente di Anafe Confindustria, l’associazione che riunisce i produttori di fumo elettronico italiani. «Il problema non sono le sigarette elettroniche ma gli oli acetati di vitamina E utilizzati come solventi di estrazione. Lo dice chiaramente il report del Cdc, che invita a non comprare cartucce sul mercato nero, senza lanciare però nessuna allerta sulle sigarette elettroniche con liquidi contenenti nicotina, come quelle vendute nell’Ue».

Ma ci sono casi di Evali in Europa e in Italia?
No, è un problema interamente americano. In dieci anni di utilizzo delle sigarette elettroniche in Italia e in Europa non si è registrato nemmeno un caso di questo tipo.

Cosa dice la legislazione italiana in materia?
Dal decreto del 2016 in poi, la nostra legislazione è molto ferrea. La vendita è vietata ai minori di 18 anni e ristretta solo ai negozi autorizzati. Per di più esiste una blacklist delle sostanze che non possono in nessun modo essere utilizzate nei liquidi, tra cui Thc, caffeina e taurina. I liquidi, prima di entrare sul mercato, vengono analizzati, i dati vengono inviati al ministero della Salute e solo dopo sei mesi possono essere commercializzati. Ci sono 20mila prodotti notificati al ministero della Salute al momento. E in nessuno di questi prodotti sono presenti le sostanze che hanno causato la polmonite chimica americana.

Non ci sono prove che la sigaretta elettronica possa aver causato questa patologia?
Non c’è alcuna correlazione. Sarebbe come dire che è la siringa che uccide un tossicodipendente e non l’eroina. In Italia in dieci anni si contano solo 60 casi di svapatori che si sono rivolti al sistema sanitario nazionale per allergie ai liquidi: 60 casi su 1 milione e mezzo di utilizzatori.

In Italia in dieci anni si contano solo 60 casi di svapatori che si sono rivolti al sistema sanitario nazionale per allergie ai liquidi su 1 milione e mezzo di utilizzatori

Quali effetti hanno avuto sul mercato italiano le informazioni di allarme che arrivano dagli Usa?
Abbiamo registrato una contrazione del 25-35% delle vendite al pubblico. È un settore che ad oggi occupa 15mila persone direttamente e 45mila indirettamente. Non escludiamo che, se si continuano a demonizzare le sigarette elettroniche in maniera indiscriminata, siano a rischio anche molti posti di lavoro. In più si è instaurato un certo scetticismo nel consumatore, al quale si sta dicendo indirettamente di tornare a fumare le sigarette tradizionali.

Eppure l’Istituto nazionale tumori in Italia dà la medaglia di ex fumatore a chi rinuncia alle sigarette tradizionali e consuma unicamente fumo elettronico. E diversi Centri antifumo propongono la riduzione del rischio tramite le sigarette elettroniche. Cosa dicono gli studi scientifici sulle e-cig?
Il primo studio italiano risale al 2014, realizzato dalla Asl di Torino 2 e dall’Istituto superiore di sanità: la ricerca dice che in sei mesi, con il solo utilizzo delle sigarette elettroniche, il monossido di carbonio nel sangue di un ex fumatore torna ai livelli dei non fumatori. Da qui si sono susseguiti diversi altri studi, soprattutto in comparazione con la sigaretta tradizionale. Il più importante è quello realizzato dal Public Health England (l’equivalente britannico dell’Iss, ndr), che dice che la sigaretta elettronica riduce il danno da fumo del 95%. È un salto quantico nella riduzione della tossicità.

Ci sono però anche studi che dicono che fa male.
Bisogna vedere come sono condotti. Quello più famoso è uno studio che arrivava alla conclusione secondo cui le sigarette elettroniche modificano il Dna. Sa come è stato condotto? Hanno preso un topo e gli hanno dato in cinque giorni l’equivalente di uno svapo di 450 anni. È chiaro che così nuoce gravemente alla salute. In condizioni reali, è provato scientificamente che è del 95% meno dannosa.

È meno dannosa, ma non innocua.
Certo, non è innocua, va sempre paragonata alla sigaretta normale. Non diciamo di fumare se non fumi. Il nostro target sono i fumatori resistenti, quelli che no riescono a smettere. Se sei un fumatore, con la sigaretta elettronica ti intossichi di meno rispetto a quella tradizionale. Il problema sono coloro che fumano entrambe le cose. In Gran Bretagna, dove c’è un uso massivo di e-cig, si inizia a registrare una diminuzione del tumore al polmone. Tanto che è arrivato anche l’endorsement del governo.

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