IntervistaEdilizia e insegnamenti innovativi, la ricetta di Anna Ascani per salvare la scuola

La viceministro all’Istruzione del Pd non commenta le gaffe del ministro Fioramonti, preferendo concentrarsi sui problemi concreti. E sullo strappo di Renzi ricorda che l’ambizione del Partito democratico è sempre stata quella di superare la sommatoria dei partitini

Mentre il dibattito pubblico sull’istruzione si impantana sulle dichiarazioni del neo ministro grillino Lorenzo Fioramonti – dalla tassa sulle merendine al crocifisso in aula; giusto l’altro ieri sono saltati fuori nell’ordine il figlio alla scuola inglese, gli scheletri nell’armadio social e la storia a mo’ di Trono di Spade – pare che ci si sia dimenticati di quelli che sono i veri problemi della scuola. Fra precariato, stipendi bassi e crolli strutturali, però, gli ultimi rapporti – Education at a Glance dell’Ocse da un lato, Cittadinanzattiva sull’edilizia scolastica dall’altro – regalano un quadro a tinte fosche, che richiederebbe di essere guardato con attenzione. Linkiesta ha raggiunto al telefono Anna Ascani, 32 anni questo mese, vicepresidente del Pd e oggi viceministro del Miur, per parlarne. La vice mette le mani avanti: «L’unica cosa su cui non rispondo sono le polemiche su Fioramonti», dice.

Possiamo almeno chiederle come si sta trovando con il ministro? È positiva sulla possibilità di una collaborazione fruttuosa?
Per ora abbiamo fatto bene, raggiungendo un buon accordo con i sindacati sui precari qualche giorno fa. Stiamo lavorando alla stesura del decreto che andrà in Consiglio dei ministri. Poi la capacità di collaborare si misura sulle cose che si fanno, non sulla simpatia reciproca. In questo momento stiamo lavorando insieme e qualche risultato sta arrivando.

A proposito di simpatie, aveva già dichiarato che questo governo non sarebbe stato la sua scelta preferita …
So bene che questo governo nasce come soluzione di emergenza e che siamo forze politiche che sono e restano diverse, ma so anche che abbiamo il dovere di dimostrare nel concreto che questo governo ha un senso: i cittadini aspettano i fatti, sulla scuola e su tutti gli altri temi all’ordine del giorno.

Il nuovo rapporto Ocse sulla scuola ci ha messo nuovamente sotto gli occhi una fotografia impietosa: abbiamo una classe docente anziana, poco pagata, pochi studenti vanno all’università e sono in aumento i Neet, quelli che non studiano e non lavorano. Nei prossimi dieci anni avremo oltre 1 milione di studenti in meno e metà degli insegnanti andranno in pensione. Si tratta di fattori di contesto importanti. Ora si è dichiarato che la scuola non subirà tagli in legge di bilancio, ma considerando che siamo già tra quelli che spendono meno in istruzione (il 3,6% del Pil su una media Ocse del 5%), come si convince un Paese che la scuola è un investimento e non una spesa?
Anzitutto dobbiamo tenere presente che dal 2007 in avanti la scuola ha subito tagli almeno fino al 2015, quando la tanto vituperata legge 107 ha avuto almeno il merito di restituire al mondo della scuola 4 miliardi più 10 miliardi per l’edilizia scolastica. Evidentemente paghiamo un deficit di lungo periodo, aggravato dal fatto che nel momento della crisi economica più pesante dal secondo dopoguerra, gli altri paesi hanno investito in istruzione e ricerca, mentre l’Italia ha tagliato, quindi recuperare quel deficit diventa davvero complicato. In più, noi stiamo costruendo una legge di bilancio che parte da -23 miliardi, quindi il primo obiettivo di questo governo naturalmente era trovare le risorse per evitare un aumento dell’Iva. Io sono molto contenta che per una volta non si siano cercate le risorse nel mondo della scuola, dell’università e della ricerca, e che ci siano piccoli ma simbolici finanziamenti anche al mondo dell’istruzione. Li vedremo dettagliati nella legge di bilancio, che arriverà intorno al 20 di ottobre, ma sarà un messaggio assolutamente positivo per questo mondo. Per il resto, c’è molto da fare. Il Paese credo sappia perfettamente che quello sulla scuola è un investimento, il problema è quanto se ne rende conto la politica. L’investimento sulla scuola non produce un effetto immediato, perché è rivolto alle generazioni che non votano. Si discute tanto del voto ai 16enni, ma dare ai nostri ragazzi un sistema educativo all’altezza dei loro talenti dovrebbe essere la nostra priorità, più ancora che dare loro il voto. Credo che ci sia un grande lavoro da fare, ma penso anche che questo governo non debba essere un governo degli slogan e degli annunci, ma quello che si impegna innanzitutto a non tagliare, a spendere i fondi che ci sono – io personalmente ho una delega sull’edilizia scolastica e vedo quanti fondi ci sono e sono bloccati, lì non c’è bisogno di spendere di più, ma di spendere meglio. E poi naturalmente bisognerà reperire altre risorse per restituire alla scuola quello che le è stato tolto in questi anni. L’Ocse ci dice un’altra cosa importante, cioè che la demografia di questo paese peserà moltissimo anche sulla qualità del sistema di istruzione e formazione. Questo è il problema che dobbiamo porci in due sensi: il primo è politico nei termini di un incentivo per la natalità e le famiglie, l’altro è il tema dell’integrazione, perché mentre le famiglie italiane “di nascita” fanno meno figli, quelle che arrivano in Italia da altri paesi invece hanno una prole molto più numerosa, con il risultato che nelle nostre classi ci sono più bambini stranieri che hanno bisogno di attenzione, di essere integrati, di un percorso educativo che naturalmente parta anche dalle loro difficoltà, e questo cambia in parte anche la missione della scuola.

Ricorda il caso del papà marocchino che tolse il figlio dalla classe perché i compagni erano tutti stranieri. La scuola è ad oggi un motore di integrazione per i bambini stranieri?
Chi frequenta le nostre scuole vede che le classi, soprattutto di scuola primaria, sono fatte di bambini nati in diverse parti del mondo, che però parlano la stessa lingua, gli stessi dialetti. La scuola è nei fatti un motore di integrazione e questo le andrebbe riconosciuto maggiormente, cosa che tendenzialmente non succede. Giorni fa ho parlato con il preside di una scuola professionale di Modena, dove purtroppo un professore era stato aggredito da due ragazzi in difficoltà, il quale mi ha raccontato che lì il 30 per cento degli studenti sono stranieri e che c’è bisogno di un supporto anche ai docenti. Il problema è aiutare i docenti con la formazione, con il sostegno, anche pagandoli di più, ma non si tratta solo di questo, non è così che ci si lava la coscienza. Noi abbiamo bisogno di accompagnare i docenti in questa nuova sfida, perché spesso sono docenti, come ci dice l’Ocse, molto in là con l’età, che per la prima volta si trovano ad affrontare situazioni che non avevano mai affrontato prima, che hanno a che fare con ragazzi che vengono da altre parti del mondo, i quali hanno una cultura di provenienza differente e famiglie diverse alle spalle. In questo vanno accompagnati. Noi sulla formazione docenti avevamo ripreso ad investire a partire dal 2015, ma molto si può fare per una formazione seria, perché lavorare per l’integrazione è un compito arduo, ma i docenti sanno di averlo e lo esercitano quotidianamente a prescindere dall’attenzione che si dà al tema. Se noi riuscissimo a dare loro un supporto in più, sicuramente faremmo un buon servizio per il Paese.

Tamponare l’emergenza mettendo in cattedra già dal prossimo anno 25mila insegnanti, a cui poi speriamo di aggiungerne altri 25mila del concorso ordinario, significa ridurre le supplenze di quasi della metà

Di recente è stato siglato l’accordo tra Miur e sindacati per cercare di risolvere il problema del precariato nel sistema scolastico. I sindacati, però, sono concordi che non sarà un provvedimento singolo a risolvere quello che è un problema ancestrale. Quali sono i prossimi passi da intraprendere?
Non abbiamo l’ambizione di pensare che un decreto possa risolvere un problema che ha radici così profonde. Però pensiamo anche che tamponare l’emergenza mettendo in cattedra già dal prossimo anno 25mila insegnanti, a cui poi speriamo di aggiungerne altri 25mila del concorso ordinario, significhi ridurre le supplenze di quasi della metà. Quest’anno c’è stata un’esplosione, Bussetti ci ha lasciato in eredità l’anno dei record negativi, dimostrando la pessima gestione delle questioni dell’istruzione. Bisogna avere un piano strategico nel tempo e soprattutto serve che i concorsi siano organizzati regolarmente, perché dal 1999 al 2012 in Italia non se ne sono fatti, poi ce n’è stato uno nel 2012, uno nel 2016 e adesso l’obiettivo è di bandirli ogni due anni. Se si riuscirà a organizzarli con regolarità e ad evitare il contenzioso, si potrà ridare alla scuola la normalità. Poi certamente c’è ancora la parte delle graduatorie ad esaurimento di coloro che hanno maturato il diritto di entrare a scuola che deve essere esaurita, ma credo che sia soltanto con la normalizzazione che si può risolvere questo problema, non con provvedimenti spot o inserendo nuove regole che di solito finiscono solo per complicare il quadro. In questo caso si aggiunge il concorso straordinario perché sappiamo di dover tamponare un’emergenza che l’Europa più volte ci ha detto che dobbiamo risolvere, ovvero coloro che, dopo aver lavorato per 36 mesi, non hanno ancora una cattedra. Su questo daremo una risposta attraverso il concorso straordinario. Importante è anche che il concorso sia bandito sul fabbisogno, cioè che si faccia una reale stima dei posti vacanti e disponibili, in modo che non restino scoperte le cattedre.

Sull’edilizia scolastica, su cui lei ha la delega, l’ultimo rapporto di Cittadinanzattiva delinea un quadro preoccupante, in media un crollo ogni tre giorni. Sono stati sbloccati dei fondi e ne sono stati aggiunti altri, quali sono le priorità ora?
Ieri al ministero abbiamo riconvocato l’Osservatorio per l’edilizia scolastica, cosa che non succedeva da un anno ed è gravissimo. Mettendo insieme gli enti locali, i ministeri competenti e le associazioni, questo ci consente di avere una condivisione dei dati e delle strategie operative. Adesso proveremo a riunirlo ogni 45 giorni, in modo da avere un aggiornamento in tempo reale di quello che succede. È emersa l’esigenza di istituire una task force del ministero che sia di accompagnamento agli enti locali, ma che possa anche avere un potere sostitutivo nei confronti degli enti locali inadempienti o dove se ne facesse richiesta. Da un lato ci sono ritardi dovuti a delle inadempienze, ma molto più spesso capita che i comuni, soprattutto quelli piccoli, non abbiano capacità di progettazione, e quindi si bloccano i finanziamenti stanziati di fronte al fatto che i comuni in difficoltà economica e con personale ristretto non sono in grado di progettare e dare avvio ai lavori. In questo senso il ministero deve dare un supporto fattivo, magari anche con la possibilità di spostarsi sul territorio: è un impegno che il ministro si è assunto fin dal primo giorno e che io cercherò di tradurre in concreto. Poi serve un impegno maggiore per l’efficientamento e la sostenibilità; noi abbiamo applaudito i ragazzi che sono scesi nelle piazze a dirci che dobbiamo fare di più per salvare il pianeta, e io credo che il nostro obiettivo nel lungo termine debba essere un Miur a impatto zero. Non semplicemente il palazzo di viale Trastevere, ma tutti gli edifici che abbiamo sul territorio, sia quelli che vengono ricostruiti da zero che quelli che ristrutturiamo, devono mirare ad un efficientamento che ci consenta di dire che le scuole danno il buon esempio, diventando un punto di riferimento. Peraltro questo riduce anche i costi per gli enti locali: sappiamo bene che una delle grandi voci di spesa sono il riscaldamento, la luce, spesso le province fanno fatica a pagare. Il terzo aspetto è fare in modo che non capiti più che così tanti fondi restino bloccati nelle casse del ministero. I governi Renzi e Gentiloni avevano stanziato circa 10 miliardi per l’edilizia scolastica, molti di questi sono arrivati e hanno dato vita a scuole nuove e a ristrutturazioni importanti, però molti fondi sono ancora bloccati, e questo non deve capitare, perché la situazione è ancora drammatica, lo sappiamo non solo da Cittadinanzattiva ma anche dall’anagrafe dell’edilizia scolastica, che adesso è in aggiornamento e che abbiamo deciso di pubblicare in un nuovo formato di sito web che sia più facilmente consultabile ed anche comprensibile al cittadino, per dare maggiore trasparenza e capacità di accesso alle famiglie e a chi volesse monitorare lo stato dell’arte.

Alla legge della Buona Scuola cosa succederà?
Io non credo che il ministro Fioramonti intenda intervenire sulla legge 107, e questo lo condivido. Credo che quella legge abbia avuto il merito di dare un grande rifinanziamento alla scuola, in particolare attraverso il Piano nazionale scuola digitale, che ha prodotto investimenti in tantissime scuole italiane anche sull’innovazione didattica, su cui l’Italia era indietro di dieci anni. Anche lì si era cercato di affrontare il problema del precariato, con dei problemi che sono evidenti, e che però stiamo cercando ancora oggi di risolvere. Il decreto che arriverà in Consiglio dei ministri è un pezzo del lavoro in atto. Della legge 107 la parte più preziosa era quella delle deleghe, che sono state poi tradotte dalla ministra Fedeli e che credo rimangano assolutamente valide. Dal diritto allo studio allo 0-6, c’è ancora tanto lavoro da fare, penso alla questione delle mense, al trasporto, al costo dei libri. È vero che in questa legge di bilancio facciamo un grande passo in avanti con la gratuità dei nidi, ma sappiamo che sebbene la partecipazione alla scuola dell’infanzia in Italia sia più alta che nel resto d’Europa, sappiamo anche che pochi bambini hanno accesso al nido non solo per le rette alte, ma anche perché i posti sono pochi. L’impianto della 107 è valido, ma ci sono alcune cose che vanno implementate e altre che vanno sistemate sulla base di come sono state vissute nel mondo della scuola. Nessuno chiede più la revisione della 107 ormai, ma tutti chiedono di affrontare i problemi che nonostante la 107 sono ancora parte della vita quotidiana della scuola.

L’impianto della “Buona scuola” è valido, ma ci sono alcune cose che vanno implementate e altre che vanno sistemate sulla base di come sono state vissute nel mondo della scuola

E per l’università? Quali sono le priorità?
La prossima settimana sarò in rappresentanza del ministero a Dresda con tanti altri ministri dei paesi del G20 ad affrontare la questione della ricerca, della reciprocità, la capacità di attirare le intelligenze. Il primo problema è capire come si mette insieme il tema dei “cervelli in fuga” con la nostra incapacità di attrarre cervelli dall’estero. Dobbiamo ribaltare la visione del problema, la questione non è tanto e solo quanti dei nostri ragazzi se ne vanno all’estero, che comunque rimane un tema enorme e un costo enorme, ma il fatto che pochissime intelligenze dall’estero vengono in Italia a studiare e ancora meno ad insegnare. La nostra università è un sistema ancora troppo chiuso, che non favorisce il circolare delle intelligenze. C’è un tema culturale da porre anzitutto, stimolare le nostre università a fare di più e meglio, anche facendo leva sulla valutazione, e poi però dall’altra parte dobbiamo dare loro anche qualche segnale sulla burocrazia, perché spesso le nostre università sono diventate luoghi dove si accumulano carte, piuttosto che dove si fa ricerca e didattica. Sburocratizzare può servire alle università a fare meglio e a questo proposito daremo qualche segnale già con il decreto in Cdm. Il ministro Fioramonti ha in mente anche un’opzione sul reclutamento nelle università, su questo dobbiamo ancora confrontarci, ma sono certa che ci sarà modo di lavorare al meglio perché anche nell’università ci sono problemi strutturali – il precariato, la difficoltà di passaggio al ruolo di docente, la carenza degli ordinari – che meritano soluzioni strutturali.

Quali sono le sue personali priorità?
Io ho detto che chi entra in viale Trastevere deve prima di tutto occuparsi di quello che don Milani diceva essere il primo problema della scuola: i ragazzi che perde. Noi non abbiamo solo un problema di dispersione esplicita, cioè di ragazzi che abbandonano la scuola prima di arrivare in fondo al percorso, ma anche di dispersione implicita, cioè quella dei ragazzi che pur arrivando in fondo al percorso sono al di sotto del livello minimo di competenze, e quindi più esposti al fenomeno dell’analfabetismo di ritorno di cui le statistiche ci parlano. In questo bisogna fare un lavoro in più, attraverso l’innovazione didattica e il sostegno ai docenti, riducendo il numero di alunni per classe e facendo in modo che tutte le distorsioni del sistema non impattino sulla vita quotidiana dei ragazzi. Ma per combattere la dispersione scolastica servono anche altri ambienti di apprendimento: la nostra scuola non è attrattiva, è ancora costruita secondo la riforma Gentile, con cattedra e banchi. Nonostante la buona volontà di tante realtà dove si fa didattica innovativa, lo standard è ancora questo, e spesso è respingente per una generazione che invece è abituata all’interattività, alla condivisione, ad un rapporto diverso anche con l’autorità. Noi abbiamo mantenuto la cattedra pensando che questo desse più autorevolezza ai docenti, e invece abbiamo finito per minare l’autorevolezza dei docenti. Bisogna investire sia sull’edilizia, per costruire scuole più belle e funzionali, sia sull’innovazione didattica e sulla formazione dei docenti per aiutarli ad insegnare meglio come il sapere può essere utile a far emergere i talenti e a orientarsi nel mondo della complessità di oggi. Terzo ma non ultimo, la questione dello 0-6: i dati ci mostrano che i bambini che hanno accesso al nido, alla fine del percorso hanno risultati migliori. Quindi non dando a tutti accesso al primo step del percorso educativo noi stiamo in realtà generando disuguaglianza: in questo c’è bisogno di un investimento massiccio.

Una piccola digressione politica è d’obbligo: come vive il distacco di Matteo Renzi dal Pd?
Io ho sempre detto che il Partito democratico è casa mia e che ci sarei rimasta, ho 31 anni e ne ho passati 12 con in tasca la tessera del Pd, perché ritengo che quella sia la casa dei riformisti e debba continuare ad esserlo. Le ammucchiate di centro-sinistra che magari arrivano al governo, ma poi fanno fatica a trovare una sintesi su cosa si debba fare, le abbiamo viste, quindi rifiuto l’idea di una sommatoria di piccoli partiti. Credo che il sogno e l’ambizione del Pd nel 2007 fosse esattamente superare quel modello e credo che quell’ambizione sia ancora valida. Insieme a tantissimi in giro per l’Italia abbiamo costituito quest’area che si chiama Energia Democratica, che serve proprio a ribadire le ragioni del riformismo del Partito democratico. La mia sfida è far vivere le idee che abbiamo fatto camminare nei nostri governi all’interno del Pd e non fuori.

E a chi dice che la debolezza del Pd è nel correntismo cosa risponde?
Io credo che la debolezza del Pd sia nelle personalizzazioni, non nelle correnti. Nel momento in cui nel Pd c’è un pluralismo fatto di opinioni differenti, capaci di fare sintesi come si sta facendo in questi giorni in cui siamo al governo, credo che sia un arricchimento. Io non rinuncio ad un partito che discute, in cui ci si confronta, si vota, in cui si fa un congresso: il Partito democratico è l’unico in Italia in cui la leadership è davvero contendibile, in cui la maggioranza del partito cambia di volta in volta e genera politiche differenti. Questo è un genere di democrazia interna alla quale non dobbiamo rinunciare. Quando questo sfocia in personalismi è dannoso, ma non credo sia questo il caso. Penso che questa nuova fase del Pd invece darà piena cittadinanza a tutte le opinioni all’interno del Pd, privilegiando però la necessità di fare sintesi perché adesso siamo al governo e abbiamo bisogno di presentarci con una voce che sia un coro.

Con Energia democratica che cosa si promette di fare?
Di dare voce ai riformisti del Partito democratico, a quelli che credono nell’idea della vocazione maggioritaria, a quelli che pensano che il Pd non debba essere racchiuso nella rappresentanza di un piccolo mondo di interessi, ma che debba rivolgersi a tutto il paese, e soprattutto a tanti e tante ragazze che non sono ex di nulla, ai cosiddetti nativi democratici, quelli che come me hanno iniziato a far politica nel Partito democratico e sono stufi di sentire discussioni tra ex Ds, ex Margherita eccetera. Questo tipo di dibattito nel cosiddetto “Paese reale” non interessa più a nessuno.

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