Nuovi narcisiDroga, alcol e armi: Roma e le altre città in balia delle baby gang

Girano in branco spesso sotto effetti di stupefacenti. Sono colmi di rabbia ma pronti a socializzare il crimine di giornata. Le bande giovanili sono un problema in continua ascesa, sopratutto nella Capitale. Ma non solo

Lo sballo costa poco e dura ancora meno, tanto accessibile da rendere leffetto quasi scontato e ridondante. Così per scaricare ladrenalina di una pasticca o di un tiro di cocaina, si impugna un arma, un ferro, rintracciato con la stessa facilità dello stupefacente. Troppo spesso sono giovani, poco più che maggiorenni; troppo spesso si tratta di cosiddetti “cani sciolti”; troppo spesso questi elementi si coalizzano per formare una banda: le baby gang.
Questo fenomeno criminale sembra aver preso con il tempo una preoccupante cadenza: si sfoga negli adolescenti come il morbillo, di cui possiede la stessa forza contagiante ma non le stesse accessibili cure.

Chi dice baby gang dice Napoli, nonché stese (agguati sui motori) e Camorra. Non è più così, o meglio, non solo. È di un mese fa l’aggressione da parte di una banda di minorenni nei confronti di un’autista dell’Atac a Roma, picchiato al volto con pugni e calci. Salendo di altitudine, un 16enne è stato arrestato dai Carabinieri di Bologna accusato di essere un capobanda e di aver commesso reati di rapina, tentata rapina e lesioni personali ai danni di alcuni coetanei. A Modena invece dietro a un gruppetto di ragazzi dai 16 ai 17 anni è stato scoperto un giro di droga, estorsioni, minacce e aggressioni, capace di fruttargli più 25 mila euro. C’è poi l’efferatezza con cui un branco di 30 ragazzini, di età compresa dai 13 ai 18 anni, ha colpito e mandato all’ospedale tre bagnini in un lido di Jesolo lo scorso 30 giugno, o episodi dove giovani di neanche 25 anni vengono freddati tra l’indifferenza della movida napoletana.

A capo dei branchi ci sono ragazzi problematici, fuori dai circuiti della malavita ma allo stesso tempo promotori di uno stile di vita da banda latina: tra armi, musica rap, droga e tatuaggi. Ragazzi come Valerio Del Grosso e Paolo Pirino, i due ventunenni presunti responsabili dell’omicidio di Luca Sacchi, il giovane romano morto in ospedale a Roma giovedì notte

«Quello delle baby gang è uno dei fenomeni che sta conoscendo una diffusione a macchia d’olio, per tutte una serie di fattori. Ci possono essere cause sociologiche, per la classe di provenienza, o di natura economica», spiega il sociologo Nicola Ferrigni. A capo dei branchi ci sono ragazzi problematici, fuori dai circuiti della malavita ma allo stesso tempo promotori di uno stile di vita da banda latina: tra armi, musica rap, droga e tatuaggi. Il tutto in diretta social. Ragazzi come Valerio Del Grosso e Paolo Pirino, i due ventunenni presunti responsabili dellomicidio di Luca Sacchi, il giovane romano morto in ospedale a Roma giovedì notte. Della stessa specie di Daniel Bazzano e Lorenzo Marinelli, condannati per aver sparato dopo uno scambio di persona al nuotatore Manuel Bortuzzo, rimasto poi paralizzato.
Soggetti che raramente lavorano in proprio: i dati dell’Osservatorio Nazionale sull’Adolescenza notifica come il 6-7% degli under 18 vive esperienze di criminalità collettivo e, come riporta il Ministero della Giustizia, il trend sembra in ascesa vertiginosa. I ragazzi affidati all’Ufficio di servizio sociale per i minorenni, infatti, sono al 15 giugno 2019 circa 18 mila, contro i 21.268 totali del 2018, e i 20.466 nel 2017. La percentuale vede delinquere maggiormente i minori italiani (13 mila) di quelli stranieri (4.651), con una prevalenza di genere tutta al maschile.

Se i criteri di collocazione limitano le entrate negli Istituti penali per i minorenni, in favore di comunità pubbliche e private, facendo del modello italiano un esempio virtuoso, il numero dei reati commessi da minori e giovani adulti in questa prima parte dell’anno aggrava lo spessore dell’emergenza: sono 46.802 tra omicidi volontari (106), sequestri di persona (173), violenze sessuali (940), spaccio di stupefacenti (5.494) e via dicendo.
A gonfiare i bilanci ci pensa anche la presenza sul bilanciere della quota partenopea, nelle cui zone, le immagini di Gomorra sono romanzate solo in parte, cresce come una pianta infestante il seme della baby-camorra. Anche se, nella classifica delle città-nido per giovani criminali, spicca su tutti Bologna, poi Roma, Catania, Palermo, Bari e infine Napoli.
«L’ultimo episodio che abbiamo visto a Roma, conferma la destrutturazione dell’organizzazione stessa: non ci sono soltanto i contesti di origine ormai noti, come ad esempio Scampia, bensì la tendenza a scimmiottare le mafie o le altre organizzazione criminali può nascere con superficialità per ingrassare una parcellizzazione delle baby gang che sfugge al controllo e diventa una cellula a se stante», commenta il sociologo.

L’effetto branco, appannaggio di cosche e mafia, viene fomentato da like e commenti, e la distorsione di un atto di bullismo, o peggio ancora di violenza efferata, suscita fama nei simili, come per chi ai tempi sapeva meglio sparare con la lupara

A guidare la devianza di queste bande è l’abuso di sostanze stupefacenti, in primis la cocaina. L’Istat ha stimato 6,2 milioni di utilizzatori di cannabis, un milione quelli che usano cocaina e 285mila gli eroinomani. Il consumo di droga fra i minori è quadruplicato, arrivando tra sul podio europeo in termini di record negativi. L’Italia è il terzo Paese del Vecchio Continente dove si consuma più cannabis: il 33,1% l’ha usata almeno una volta nella vita. Nel 2017 il 34,2% degli studenti ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nella vita, nel 2018 il 26% (670mila ragazzi). Fa paura invece i ragazzi che hanno sperimentato la cocaina almeno una volta: circa 88mila (3,4%).

Ci vuole poco per capire che chi fa uso di cannabinoidi non scende da una macchina con una pistola e apre il fuoco, non entra nella casa di un anziano e lo massacra di botte per diletto: il crollo dei prezzi allo spaccio di cocaina e pasticche formano il perfetto humus di violenza. Al resto ci pensano i social network. «Il web in questo caso ha la funzione di normalizzatore. Nel momento in cui si posta un’immagine o un video, per quanto violento e virale possa essere, questa lascia in poco tempo spazio a un altro contenuto. Il pubblico dei social così facendo favorisce questa realtà e la sua affermazione», conclude l’accademico.
Leffetto branco, appannaggio di cosche e mafia, viene fomentato da like e commenti, e la distorsione di un atto di bullismo, o peggio ancora di violenza efferata, suscita fama nei simili, come per chi ai tempi sapeva meglio sparare con la lupara. Scorciatoie normative o interventi repressivi difficilmente possono arginare l’emorragia: urge un intervento alla radice, alla base del processo di inquinamento, ovvero nelle scuole e in quei spazi di crescita al momento luogo per riti di affiliazione.

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