L'interno del partitoChe fine ha fatto Zingaretti?

Poco clamore, molto lavoro di retrovia, limitate comparsate in tv, attività social al minimo. Altri sembrano indicare la via al posto suo. Ma questa è la cifra del segretario Pd, e non è detto che sia sbagliata

Miguel MEDINA / AFP

Nazareno, abbiamo un problema? Chi pensava che la fuoriuscita di Matteo Renzi e dei suoi più affezionati sodali potesse finalmente liberare il campo per far spiccare il volo alla leadership di Nicola Zingaretti, al momento, è rimasto deluso. Anzi, da quando si è consumata la “scissione di palazzo” ad opera dell’ex rottamatore, il segretario del Pd sembra essersi rintanato nella penombra del circo politico.

Il segnale, in effetti, era arrivato ben chiaro a tutti fin dal giorno della prima Direzione post-scissione (ed anche la prima della nuova era politica giallo-rossa), in cui – cosa mai successa da quando è nato il Pd – la relazione introduttiva non è stata declamata dal leader, ma dal suo vice, Andrea Orlando. “Una cosa del genere non s’è mai vista”, dicevano attoniti i delegati in sala. “Sicuramente ha tenuto qualche annuncio forte per le conclusioni”. E invece, niente, la replica finale fu una vaga dichiarazione di intenti, con rinvio di una nuova riunione a data da destinarsi.

Questo episodio spiega bene il modo in cui Zingaretti sta esercitando la sua leadership. Poco clamore, molto lavoro di retrovia, comparsate in tv limitate e selezionate, attività social relegata al minimo sindacale. Chi conosce bene il governatore del Lazio sa che questa è la sua cifra, la direttrice che ha sempre seguito dal momento in cui ha cominciato a fare politica e che, va riconosciuto, gli ha permesso di affermarsi sempre a livello elettorale.

Ma in questa fase l’atteggiamento di colui che a Roma chiamano il “Sor Tentenna” o “Er Saponetta” (per la sua propensione a sfuggire dalla ribalta e, dicono i maligni, dalle responsabilità) sta creando non pochi grattacapi allo stesso Pd. “Ora che me ne sono andato, il Pd non ha più alibi e potrà portare avanti la propria linea”, ha spiegato Renzi qualche giorno fa. Il problema – si ragiona in ambienti dem – è che la linea non si capisce, o quantomeno non è il segretario a dettarla.

Il passaggio da baricentro della scena politica a ininfluente stampella è molto breve. E al Nazareno l’hanno già sperimentato sulla propria pelle più di una volta

Al governo il plenipotenziario è Dario Franceschini. Al partito è in atto da mesi una “guerriglia” sotterranea tra i fedelissimi del cerchio magico romano e i dirigenti chiamati da Zingaretti a provare a riorganizzare – finora con scarsi risultati – una macchina ingolfata dal punto di vista gestionale e, soprattutto, economico. E i gruppi parlamentari che, tolto il macigno di Renzi, si sarebbero dovuti stringere intorno al leader, continuano a muoversi in ordine sparso. Il correntismo che tutti criticano a parole, poi viene praticato in maniera ossessiva nei fatti. È dell’altro ieri la nascita dell’ennesima “area politica”, questa volta sotto il controllo di Anna Ascani.

E così, sui grandi temi che stanno accompagnando queste prime settimane della nuova esperienza di governo la voce di Zingaretti arriva sempre molto debole. Dallo Ius soli alla giustizia, dalla manovra alle questioni fiscali, in primis la partita dell’aumento dell’Iva, il segretario dem si è limitato, da una parte a registrare le tante sfumature con cui si sono espresse le diverse anime del Pd, dall’altra a subire i diktat volutamente mediatici degli alleati, Di Maio e Renzi in primis.

La sensazione è dunque quella di una barca in balia delle onde che si alzano di continuo dentro e fuori il partito, con il leader che, invece di indicare la rotta, si limita a seguire quella tracciata dagli altri. Forse per senso di responsabilità, forse per evitare di farsi trascinare nella polemica quotidiana, forse per favorire (e cavalcare) quella pluralità di idee di cui il Pd si è sempre fregiato (salvo poi trasformarla in una patologica forma di litigiosità), Zingaretti ha scelto di fare della “non scelta” la caratteristica principale della sua azione politica. In questo senso non tradendo quella che è la sua storia.

Solo il tempo dirà se questa strategia sia quella giusta. O se non sia un modo per condannare il Pd ad un ruolo di subalterno esecutore delle volontà altrui, vittima della sua stessa litigiosità e di un’inconsistenza politica preoccupante. Il passaggio da baricentro della scena politica a ininfluente stampella è molto breve. E al Nazareno l’hanno già sperimentato sulla propria pelle più di una volta.

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