Corsa alla presidenzaDivisi e litigiosi, ecco come gli industriali lombardi stanno perdendo l’occasione di rilanciare Confindustria

Mancano alcuni mesi all’elezione del successore di Vincenzo Boccia, ma gli industriali lombardi sono divisi tra Carlo Bonomi e Giuseppe Pasini. Se non ci sarà un candidato comune, gli imprenditori valuteranno profili alternativi, come quello di Edoardo Garrone

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Un quarto del sistema Confindustria. Basterebbe questo per capire quanto è strategico che la Lombardia si presenti unita alla corsa per il post Boccia, alla presidenza della più importante associazione di categoria del Paese. La galassia confindustriale lombarda conta dieci associazioni territoriali – più mamma chioccia, Confindustria Lombardia appunto – a cui sono iscritte circa 13mila imprese, che a loro volta danno lavoro a quasi 800 mila persone. Nonostante questi numeri e il buon nome della regione come fiore all’occhiello dell’industria italiana in Europa, i primi a non cogliere l’importanza della posta in gioco sembrano essere proprio gli industriali lombardi.

A cosa son serviti infatti questi tre mesi di fughe in avanti? Quanto è tornato utile al presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi, tracciare una strada prima dell’estate, un programma di presidenza fatto e finito, senza che poi ne seguisse una candidatura esplicita? E che dire di Giuseppe Pasini, leader degli imprenditori bresciani, che con il suo outing non ha fatto altro che sollevare chiacchiere e alimentare congetture?

Dalla Blitzkrieg si è passati presto a una guerra di trincea, con annesso logoramento dei tempi lunghi – il futuro presidente di Confindustria si eleggerà solo a maggio del prossimo anno – e fluidità delle manovre di combattimento. Milano accelera perché si sente onnipotente. Creativa, solidale, europea, olimpionica! Purtroppo non le stanno dietro le sorelle minori. Anzi, Brescia fa la gelosa e le si mette di traverso. Pasini vs Bonomi. Ma non potevano mettersi d’accordo prima? Così c’è chi sta a guardare: Como, Varese e Bergamo per esempio. Chi si fonde con il più forte. Vedi Pavia, prossima ad accorparsi con Assolombarda. E chi invece ha scelto il fronte opposto: Lecco-Sondrio ha già espresso il suo amore per Pasini.

Da sola la Lombardia, nel Consiglio generale di Confindustria, porta 175 voti su 607 totali. Al momento però né Bonomi né Pasini possono vantare e tanto meno sperare il sostegno unanime dei propri colleghi interni alla regione, figuriamoci altrove

Ma la faccenda non si risolve come se stessimo guardando il tableau di un Risiko cui partecipano troppi competitor. Il presidente di Confindustria si elegge a suon di voti. Numeri, nel più rigoroso rispetto dei conteggi che si fanno in azienda. Numeri, come in una chiassosa assemblea di condominio. Da sola la Lombardia, nel Consiglio generale di viale dell’Astronomia, porta 175 voti, su 607 totali. Presentandosi compatta, il suo candidato – uno qualsiasi – avrebbe ottime possibilità di vittoria. Al momento però né Bonomi né Pasini possono vantare e tanto meno sperare il sostegno unanime dei propri colleghi. Interni alla regione, figuriamoci altrove. Ok, se l’aggregazione Milano-Pavia va in porto, Bonomi può contare su 82 voti. E i restanti 93? Pasini, tra Brescia e Lecco, ha 27 voti. Briciole, cui aggiungere l’endorsment di Federacciai, di cui il presidente di Feralpi è stato number one per ben undici anni. I restanti 66 voti sono da spartirsi tra Legnano, Cremona, Mantova, ma soprattutto sono in mano all’artiglieria pesante del manifatturiero made in Italy: Como, Varese e Bergamo.

Tutto chiaro? Certo. È chiaro che la regione che produce oltre il 20% di tutto il Pil nazionale, la più popolosa d’Italia, una delle quattro locomotive dell’industria europea meriti di più. È chiaro che queste divisioni di contrada non portano a nulla. Al contrario – e ne è consapevole Marco Bonometti, alla guida di Confindustria Lombardia – questi fuochi incrociati tra unità che dovrebbero essere parte dello stesso esercito fanno soltanto il gioco degli avversari. Ovvero di chi non vuole trovarsi un lombardo a Roma. Ma che può fare Bonometti? Quando anche Pasini, un bresciano come lui, si è messo a rovinare le cose. Magari perché spinto da un terzo bresciano, Aldo Bonomi – nulla a che fare con Carlo, ma anche l’omonimia ci si mette a complicare le cose – predecessore alla presidenza dell’Associazione industriali bresciani, prima di Bonometti e con quest’ultimo (pare) non in rapporti idilliaci. Bene, che si può fare di fronte a un garbuglio tanto ingarbugliato?

In questi ultimi anni, la cronaca dell’industria italiana appare lastricata di investimenti bloccati e negati. No Tav, No Ilva, plastic tax e via dicendo. Se c’è una voce che dovrebbe essere unita, per contrastare in maniera razionale e con dati alla mano, l’ideologia antindustriale, è proprio quella degli imprenditori. Invece no

Semplice, un estraneo ai fatti, un industriale non lombardo andrebbe a votare altrove. Magari un Edoardo Garrone, che di cose di Confindustria ne mastica da quando era giovane, che sta facendo ordine al Sole 24Ore e che ha saputo trasformare la sua Erg da leader degli idrocarburi – brutta e cattiva – in un’azienda modello in fatto di energie rinnovabili, con specializzazione nell’eolica. Roba trendy. Garrone sì. Quello noto più per i trascorsi calcistici – i tifosi sampdoriani lo vorrebbero morto, senza eufemismi, ma questa è un’altra storia – oggi potrebbe diventare il cavallo vincente in una partita in cui Confindustria si gioca l’immagine come lobby davvero influente in un processo di crescita economica del Paese in cui l’industria deve confermarsi protagonista.

Che peccato però. La Lombardia, la regione più industrializzata d’Italia, non capisce che queste cose fanno male a tutti? In questi ultimi anni, la cronaca dell’industria italiana appare lastricata di investimenti bloccati e negati. No Tav, No Ilva, plastic tax e via dicendo. Se c’è una voce che dovrebbe essere unita, per contrastare in maniera razionale e con dati alla mano, l’ideologia antindustriale, è proprio quella degli imprenditori. Invece no. Loro litigano, si dividono e fanno il gioco di chi gli vuole male.

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