Cultura significa anzitutto creare una coscienza civile, fare in modo che chi studia sia consapevole della dignità, ma soprattutto della società che lo circonda. Per l’ex Vicepresidente del Consiglio nel governo Prodi II, nonché presidente dell’Anica, Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali, Francesco Rutelli, tutto questo ha un nome ben preciso: diplomazia culturale. «La diplomazia culturale è una declinazione tipica dei poteri nazionali, ovverosia uno strumento della politica estera. Per l’Italia è un’opportunità enorme».
Andiamo con ordine: Rutelli, cosa intende per diplomazia culturale?
La diplomazia culturale può essere declinata in molti modi, ed è strettamente imparentata con un’idea che ha avuto grande diffusione, a partire dagli anni 90: il soft power. Ma sono diverse, e cercherò di spiegare perché. C’è stato un momento storico in cui la globalizzazione basata su democrazie liberali/economie di mercato si presentava come inarrestabile: una dottrina che appariva non solo vincente, ma irreversibile, sino alle teorie sulla “fine della Storia”. Qui si afferma l’importante studio del politologo Joseph Nye, che conia l’espressione soft power, in un mondo divenuto di fatto unipolare: l’America vincitrice della sfida con l’Unione Sovietica, secondo Nye, non si doveva comportare da potenza arrogante, usando solo l’hard power, quello militare, economico e finanziario, ma gli strumenti internazionali del dialogo, della cultura, di uno ‘stile di vita’ aperto.
Come si lega con gli interessi politici di ciascun Paese?
Oggi sentiamo molto più parlare di sovranità, o sovranismo, che non di globalizzazione. Dopo la crisi finanziaria del 2008, con la crescente affermazione di nuove polarità, a partire dall’Asia, con una vera e propria crisi di identità dell’Occidente, gli Stati Uniti che ripiegano nell'”America First” e l’Unione Europea in un’impasse strategica. Ma la globalizzazione esiste, eccome. Lo dimostra l’avanzata tecnologica digitale, assieme all’integrazione ineludibile di tutti i fattori di questo mondo: cambiamenti climatici e politiche energetiche; migrazioni e demografia; commercio, trasporti e logistica globali; conflitti a base religiosa o etnica che non restano chiusi nei vecchi confini. Qui si affaccia il tema della Diplomazia Culturale. Ovvero, una declinazione tipica dei poteri nazionali, che diventa uno strumento della politica estera di ciascuna nazione. Per l’Italia è un’opportunità enorme: riguarda certamente accordi e regole internazionali, ma per noi è soprattutto uno strumento per legare una visione del nostro posto nel mondo (non aggressiva, non ‘coloniale’, mai egemonica) agli interessi nazionali. Per il nostro Patrimonio culturale che ha un’attrattiva unica al mondo e deve diventare parte di una organizzazione industriale del Turismo e della promozione del Paese nel mondo; per la valorizzazione di asset tangibili e identitari – dal Paesaggio, ai centri urbani, alle tradizioni territoriali – e per la promozione competitiva delle nostre produzioni – tutte le industrie, ma in particolare Design, Moda, Cinema e Audiovisivo, filiera agroalimentare.
Oggi nell’universo digitale tutto è integrato: le politiche dei governi, delle grandi imprese, delle organizzazioni internazionali e di ciascun cittadino si misurano costantemente. Siamo tutti in un’unica piattaforma globale integrata della comunicazione digitale
Quali sono i pericoli che minacciano questo strumento?
Le trasformazioni tecnologiche e la democrazia digitale hanno cambiato tutto. Ovvero: se la Diplomazia Culturale è uno strumento degli Stati e dei governi, il soft power non è più un fattore aggiuntivo delle politiche di proiezione nel mondo – e della reputazione! – di governi e istituzioni. Ciascun cittadino è protagonista, le grandi e piccole aziende hanno bisogno del loro soft power. Le reti di relazioni sociali e di appartenenze non restano chiuse, ma sono istantaneamente condivise e moltiplicate nel web. Il che, come vediamo, apre la strada non solo a una nuova modalità di formare, o esasperare/polarizzare le opinioni. Diviene, attraverso la gestione degli algoritmi, anche una strategia potente per manipolare, per denigrare, o per controllare. Incluse le decisioni e i processi elettorali. Niente di nuovo, si dirà. Ma con modalità e intensità del tutto nuove. La grande finestra di opportunità della democrazia digitale ha aperto anche le porte perverse della manipolazione digitale contro la democrazia, come lo stesso ‘inventore’ di Internet, Tim Berners-Lee, ha denunciato più volte.Questi termini come sono declinabili nella realtà?
Ogni paese, in modi e con sensibilità ed obiettivi anche radicalmente diversi, usa la Diplomazia culturale per affermare i propri interessi. In parallelo, esistono soggetti industriali ed economici che hanno dimensioni finanziarie e interessi globali spesso superiori a grandi Stati-nazione, ed hanno sempre più bisogno del soft power: basti vedere com’è cambiata la classifica per capitalizzazione delle aziende quotate in Borsa, e non solo a Wall Street. Ciascuno di questi grandi gruppi, innanzitutto le Big Tech, costruisce una propria strategia che è fatta di reputazione, non meno che di penetrazione commerciale. E lo stesso, come posizionamento ed esercizio del soft power, vale per i grandi marchi, ad esempio della Moda: quanti guai, se non proprio disastri commerciali, si sono registrati negli ultimi anni a causa di prove di insensibilità propriamente culturali, verso i gusti, i linguaggi, le tradizioni di popolazioni che non sono più solo da intendersi come clientele da aggredire con facilità e superficialità! È evidente che diventa fondamentale, per accattivarsi simpatie, per convincere anziché mostrarsi arroganti, come per esercitare potere sull’arena internazionale, un nuovo modo di intendere ed esercitare sia la Diplomazia Culturale (degli Stati) che Soft Power (di moltissimi attori sulla scena del mondo).Può spiegarsi meglio?
Oggi nell’universo digitale tutto è integrato: le politiche dei governi, delle grandi imprese, delle organizzazioni internazionali e di ciascun cittadino si misurano costantemente. Siamo tutti in un’unica piattaforma globale integrata della comunicazione digitale. Proprio per questo, simultaneamente, crescono la domanda e l’offerta del ritirarsi nei confini, forme di nazionalismo ‘sovranista’, declinazioni identitarie, protettive, semplificatrici e, soprattutto, capaci di riproporre sub-culture del “noi contro loro”. Così, torniamo indietro dopo decenni di crescita degli strumenti culturali del secondo Dopoguerra. Meno multilateralismo (perché le Nazioni Unite sono verbose e inefficienti?), rifiuto di concetti come quello di beni ‘Patrimonio dell’Umanità’ (l’Amazzonia è solo affare del Brasile? Un grande capolavoro d’arte resti in Patria, anziché essere goduto in un grande Museo all’estero?); crescita di antagonismi anziché rispetto, ed interesse, per la ricchezza delle diversità culturali.Viviamo in società sempre più plurali e molteplici, non vedo molti fronti compatti all’orizzonte. A mio avviso un terreno extra-polarizzazione come i temi legati alla cultura e alla conoscenza, anche rispetto ad altre culture, è molto prezioso
È quindi un’arma di contrasto all’ascesa dei populismi…
Diciamo che è una risposta da costruire, con pazienza e immaginazione creativa. Negli anni ’90 e primi 2000 si pensava che la storia fosse finita e che ci fosse spazio solo per le democrazie liberali occidentali e che tutti gli altri paesi del mondo dovessero soltanto adeguarsi; finché la crisi della globalizzazione, interpretata come strumento di potere di elite arroganti, ha fatto nascere risposte che si prospettano, in un mondo che è sempre più interdipendente, paradossalmente in modi molto più nazionalistici. Penso per questo che nuove concezioni del soft power – non più, ribadisco, strumento esclusivo degli Stati – e di Diplomazie Culturali di nuova generazione – da parte degli Stati – siano indispensabili, per aprire piazze e strumenti di dialogo, confronto e costruzione di soluzioni condivise e integrate. Attraverso la promozione della cultura (che crea lavoro, e buona occupazione) e il rispetto bene organizzato e condiviso delle diversità (che aiuta le società non solo ad essere aperte, ma vitali, e dalle prospettive meno instabili).Guardando sia ai movimenti della politica nostrana sia a quelli globali, nella sfida tra populismi e società aperta, quest’ultima non rischia di indebolirsi, mi riferisco anche al Pd e Italia Viva, perdendo la sua unità?
Viviamo in società sempre più plurali e molteplici, non vedo molti fronti compatti all’orizzonte. A mio avviso un terreno extra-polarizzazione come i temi legati alla cultura e alla conoscenza, anche rispetto ad altre culture, è molto prezioso. E, attenzione, le dimensioni scientifiche, quelle di discussione culturale, gli stimoli creativi e innovativi diffusi, l’amore per le tradizioni, sono anche strumento di crescita delle politiche nazionali. Paradossalmente, vedo qui un terreno di incontro possibile, se si sgombra il campo dall’odio politico, anche tra ‘sovranisti’ e ‘globalisti’; tra nuove destre e forze tradizionalmente democratiche. Con la Diplomazia Culturale, strumento di difesa e promozione dell’interesse nazionale, posta al centro dell’azione italiana.Chi deve farsi carico, in termini politici, di questa nuova sfida?
La Diplomazia Culturale ha bisogno di una cabina di regìa governativa, condivisa però dal Parlamento, e fortemente radicata nella società, nell’associazionismo, nello spazio pubblico della democrazia digitale. In parallelo, vedo la necessità che l’Italia partecipi a una rielaborazione internazionale, nei tempi nuovi, del concetto e degli strumenti del soft power, non più solo intesi come proiezione di una politica di potenza “gentile”, ma inclusivi, aperti al dialogo, collaborativi. Quanto alla Diplomazia Culturale, vedo una cosa nuova e positiva in questo nuovo governo: avere portato Commercio Estero e Ice dentro la Farnesina, ovvero la proiezione degli interessi italiani nel mondo sotto la guida della politica estera. C’è poi la promozione dele varie declinazioni del Made in Italy. Io mi auguro che il nuovo governo rilanci l’intesa, che fu stipulata da Franceschini con Gentiloni, per il potenziamento della cultura, della lingua e dei maggiori settori produttivi della Diplomazia Culturale italiana, tra Ministero degli Esteri – e, oggi, del Commercio internazionale – e della Cultura.