Precari di domaniInutile resistere: l’automazione stravolgerà il mondo del lavoro. Ecco come cambiare (per non morire)

Dopo la Postdemocrazia, il sociologo e politologo britannico Colin Crouch guarda al futuro delle professioni: saremo tutti rimpiazzati da macchine? O ci sarà sempre uno spazio di inventiva per mantenere viva l’attività (e il guadagno)? La risposta dipende da ciò che saremo in grado di decidere ora

John MACDOUGALL / AFP

Una ragione importante del perché il reddito di base abbia di recente acquisito rilievo è che lo sviluppo dell’automazione e dell’intelligenza artificiale sta inducendo molti osservatori a credere che alla fine non ci sarà abbastanza lavoro per tutti, neanche a livello precario.

Gli economisti in genere danno per scontato che gli esseri umani trovino sempre qualcosa da fare e da scambiare gli uni con gli altri e che, qualora le tecnologie rimpiazzino certe attività, le persone si inventino qualcosa d’altro, facendo uso proprio di quelle stesse tecnologie. Si tratta di quella che l’economista olandese Jan Tinbergen [1975] chiamava la «gara» fra tecnologia e istruzione, con quest’ultima in genere vittoriosa e in grado di consentire agli esseri umani di fare cose nuove, mentre la tecnologia rimpiazza quelle che essi facevano in passato.

Spesso si obietta che questa volta è diverso, perché con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale è proprio il lavoro altamente specializzato che viene colpito. È davvero una novità? Almeno in parte è il risultato di come vediamo retrospettivamente quelle competenze che la tecnologia sostituisce.

L’arte di produrre elaboratissime copie di testi religiosi che caratterizzò il lavoro di tanti monaci nei secoli precedenti l’invenzione della stampa oggi ci sembra un processo piatto e ripetitivo. Ma all’epoca era una delle attività più specializzate in una società dove pochissimi sapevano leggere e scrivere, meno che mai produrre magnifici testi con mezzi molto semplici. Lo stesso si potrebbe dire della straordinaria abilità degli architetti medievali, che dovevano calcolare la portata e la tenuta di materiali senza le conoscenze scientifiche che ne avrebbero fatto una routine, prima utilizzando manuali e poi, dalla fine del secolo XX, con l’aiuto dei computer. Mentre possiamo tranquillamente dire che solo di rado sono stati uguagliati i risultati estetici dell’architettura gotica e rinascimentale, in nessun modo l’avvento degli standard ingegneristici scientifici ha dequalificato l’occupazione. Si potrebbe fare un elenco di esempi analoghi nel corso dei secoli.

Piuttosto che i livelli di competenza, sono i tipi di lavoro a essere diversamente colpiti dalla tecnologia. In generale, le mansioni che richiedono una certa qualità di rapporto umano faccia a faccia per essere svolte, come quelle degli psichiatri o dei camerieri, si rivelano più resistenti a fronte sia della sfida digitale sia della delocalizzazione nelle economie in via di sviluppo rispetto a quelle che richiedono operazioni manuali ripetitive o anche forzo intellettuale, ma senza molto bisogno di capacità di contatto o creatività umana [Blinder 2009; Blinder e Krueger 2013].

Spesso si obietta che questa volta è diverso, perché con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale è proprio il lavoro altamente specializzato che viene colpito. È davvero una novità?

Certi osservatori vedono un declino generale del lavoro e una polarizzazione che crea una crescente disuguaglianza, mentre la tecnologia offre nuove opportunità a piccoli numeri di individui molto specializzati e relega grandi numeri a impieghi nei servizi di bassa professionalità [Autor e Dorn 2013; Autor et al. 2003]. Conclusioni un po’ diverse sono raggiunte da Frey e Osborne [2013], la cui ricerca li porta a sostenere che l’attuale tendenza verso la polarizzazione del mercato del lavoro giungerà a un punto finale, con una computerizzazione relegata soprattutto nelle occupazioni a bassa professionalità e bassa retribuzione. I lavoratori non specializzati tenderebbero quindi a ricollocarsi in mansioni non suscettibili di computerizzazione. Ma queste mansioni richiederanno un’intelligenza creativa e sociale e i lavoratori dovranno acquisire abilità rilevanti.

È chiaro che andremo incontro a un considerevole sconvolgimento mentre il progresso tecnologico distruggerà i vecchi mestieri e ne creerà di nuovi. Non c’è nulla di inedito in tutto ciò, ma gli episodi precedenti – come quelli della rivoluzione industriale – furono accompagnati da notevole disagio e conflitto, e questo si ripeterà. Inoltre, ci si dovrà aspettare che il cambiamento sia sempre più veloce, con il susseguirsi di ondate di crisi.

La digitalizzazione continuerà lungo questa strada e la tecnologia informatica metterà sempre più potere di monitoraggio, controllo e sorveglianza nelle mani dei gestori della manodopera. Le caratteristiche dei lavori, come dovranno essere svolti e con quali competenze, saranno sempre più definite da questi gestori. Questa tendenza facilita il controllo manageriale dei cosiddetti non-dipendenti e quindi della gig economy. Inoltre, sebbene ci si possa aspettare che nuovi mestieri sostituiscano quelli vecchi, si verificheranno dei prolungati momenti di transizione dove ci sarà eccedenza di manodopera. Questo acuirà la piega dello squilibrio di potere nei rapporti di lavoro a favore di datori e capitale. Ancora, le aziende nei settori in cui la tecnologia informatica è parte centrale dell’attività continueranno la loro attuale pratica di localizzarsi fiscalmente sotto le giurisdizioni più benevole. Visto che questa tecnologia si sta diffondendo in sempre più attività e settori, saranno sempre più le aziende che si comporteranno in quel modo, innescando crisi fiscali che renderanno difficoltoso sostenere il welfare. La digitalizzazione sta producendo un mondo di aziende che non hanno una localizzazione fisica e non assumono le persone che lavorano per loro. Questo rompe la continuità di sistemi fondati sull’antica convinzione che spettassero ai datori i costi non salariali del lavoro, come le pensioni e la sicurezza sociale [van het Kaar 2008].

Per evitare questa distopia, bisogna far sì che l’ingegno umano continui a trovare attività remunerative per tutti da realizzare attraverso i costanti progressi di professionalità e istruzione, migliorando il valore aggiunto di quanti più lavoratori possibile nell’economia. Significa anche facilitare l’assunzione nei servizi in cui il rapporto faccia a faccia sia richiesto e non sia facilmente sostituibile da una macchina. Questo vuol dire sostenere ed espandere tanti servizi di cura e istruzione, che non possono essere garantiti dal mercato e richiedono un welfare state forte e modalità di giusta retribuzione per il lavoro di cura svolto in seno alla famiglia.

da: Se il lavoro si fa gig, di Colin Crouch, Il Mulino (2019) pagg. 186, euro 13,00

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