Il ferro batte la gomma su tutti i fronti: efficienza, consumi, costi, emissioni. La rivoluzione italiana avvenuta negli ultimi 5 anni nell’alta velocità è una realtà. Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente, in occasione della presentazione all’Expoferroviaria Milano dell’ultimo rapporto “Una cura del ferro per le città italiane”, conferma i risultati ottenuti finora e si concentra sugli spostamenti nelle città nel 2030, “quando dovremo spingere i cittadini a lasciare la macchina a casa e offrire ai giovani un servizio metropolitano notturno”. E la soluzione è semplice: «se vogliamo migliorare la qualità del servizio vanno acquistati 1500 nuovi mezzi fra tram, metro e treni regionali”.
«Sono cambiate molte cose dal 2015 – continua Zanchini – da quando in Italia l’età media dei treni regionali era 18,6 anni – oggi scesa a 14,5 – e noi lanciammo una sfida ambientale e industriale: nuovi treni». Una sfida che sembra essersi rinnovata, considerata la crescita esponenziale della popolazione nelle aree urbane, la quale ha però faticato a trovare nelle linee metropolitane un servizio sempre all’altezza della domanda.
I 247 km complessivi di binari urbani in Italia sono una miseria se confrontati ai 464 km della tube di Londra, ai 292 km di Madrid e ai 219 di Parigi
I 247 km di binari urbani in Italia sono una miseria se confrontati ai 464 km della tube di Londra, ai 292 km di Madrid e ai 219 di Parigi. La peculiarità di questo settore, in cui si annida la speranza di un cambiamento, è che l’offerta crea la domanda: «Più treni dai, più li riempi » afferma Maurizio Manfellotto, Ceo di Hitachi Rail Spa, che ha una certezza: «quello che è successo con l’alta velocità succederà con i regionali e i metropolitani». I comuni, infatti, non dovranno più farsi carico di raccogliere enormi capitali per comprare i tram, «ma si affideranno ai leasing, con i quali sapranno già l’ammontare della spesa, che potrà essere aumentata o diminuita in base alle entrate».
Un’altra questione cruciale risiede nella valorizzazione del ferro già presente. Non si tratta di arrendersi alle spinte sovversive dei No-tav o rassegnarsi alla ricchezza archeologica nostrana, pronta a emergere ad ogni colpo di badile
Un’altra questione cruciale risiede nella valorizzazione del ferro già presente. Non si tratta di arrendersi alle spinte sovversive dei No-tav o rassegnarsi alla dittatura della ricchezza archeologica nostrana, pronta a emergere ad ogni colpo di badile, all’occasione trattenuto dalla Sovrintendenza ai beni culturali. L’obbiettivo sarà aumentare la frequenza di arrivi e partenze grazie a una nuove flotta di treni, senza rinunciare a trasformare le stazioni in punti di riferimento per l’erogazione di servizi essenziali, considerati i 18 minuti di permanenza media per ogni viaggiatore. La futura crescita di passeggeri sarà un’occasione per trasformare le fermate in veri e propri punti di aggregazione e non solo in luoghi passaggio.
Se il traporto commerciale su rotaia ha nel proprio Dna la mobilità sostenibile, bisogna però contabilizzare anche l’impatto della costruzione di una nuova struttura ferroviaria nell’ambiente che la circonda. Le nuove linee del metro a Milano saranno ecosostenibili solo una volta terminate, ma durante gli svariati e incalcolabili anni di lavori, le deviazioni causano e causeranno ingorghi e quindi un aumento evidente delle emissioni dei veicoli a motore. Dunque ai nuovi investimenti nel trasporto su ferro andrebbero affiancati progetti che tengano conto della massiccia presenza degli spostamenti su gomma, deprecabili per la loro scarsa ecocompatibilità, ma la cui esistenza rimane comunque impossibile da ignorare.