Matteo Renzi è (come) una ragazza di Porta Venezia. Anzi, come La ragazza delle Ragazze di Porta Venezia, la prima, la capostipite, insomma Myss Keta, ed è questa la ragione per la quale, nello spot della Leopolda, esce da una porta chiusa.
Canta Myss Keta: “Keta non esiste”. E non significa che non c’è, ma che fa qualcosa di più: lei emana. Proprio come Renzi, che non solo c’è, ma emana, e a un certo punto appare, puf, ed esce dalle porte chiuse, e guarda il cielo, e fonda la casa che prima non c’era, e la fa descrivere al ministro Teresa Bellanova, nel suo stupendo giallo Lemonade (di Beyoncè, naturalmente): «Solida, ampia, accogliente, generosa». Anche Bellanova è una ragazza di Porta Venezia e sa che stare nel gruppo significa non tanto fare squadra (quella è una velleità per contiani) bensì fare famiglia, quella cosa che si fa riconoscendo, proteggendo, elogiando il capo senza nominarlo mai, così che ci si illuda che la gerarchia è un fatto di praticità e non di potere. Luigi Marattin, un’altra ragazza di Porta Venezia alla Leopolda, ha detto: «Un ragazzo di Rignano ci ha insegnato che c’era una generazione pronta a prendersi il futuro senza chiedere il permesso a nessuno. E quel ragazzo continua a insegnarcelo» – un po’ funereo, ma efficace.
Bellanova, poi, sempre in giallo Lemonade, con tutti che le cadevano intorno incantevoli e incantati, ha chiarito ancora meglio perché Renzi esce dalle porte chiuse. Ha detto: «Italia Viva è la casa di quelli che una casa non l’hanno mai trovata, non soltanto di chi ne ha lasciata una per trovarne un’altra». La porta chiusa dalla quale esce Renzi significa: in fondo in questa casa che era il Pd sono sempre rimasto sull’uscio, e non porterò via niente con me (a parte qualche parlamentare, ma non è il parlamentare che fa la posizione). Il post ideologico intelligente si fa in questo modo qui: restando leali ma non fedeli. E siccome “Keta non capisce, Keta non tradisce, onore, rispetto, pugnale nel petto, Keta ferisce”, Renzi ha pure fatto un appello a Zingaretti e Franceschini, chiamandoli amici: ragazzi, ricordate quando governavamo insieme e io ebbi un’idea più o meno bella e ve la proposi e mettemmo insieme 80 milioni di euro per far ristrutturare il luogo dove Altiero Spinelli e compagni scrissero il manifesto per gli Stati uniti d’Europa, e poi quelli che sono venuti dopo di me hanno bloccato il finanziamento di quel progetto che adesso se ne sta lì fermo come d’autunno sugli alberi le foglie, e allora su, i soldi ci sono, realizziamolo, anche se siamo in partiti diversi, facciamo vedere all’Italia che abbiamo ideali appassionanti che ci uniscono, sul resto saremo competitor.
Ha detto davvero così, con queste parole, e noi da casa in alcuni punti abbiamo chiuso gli occhi e abbiamo pensato che quando parla quest’uomo, quando carbura quest’uomo, viene voglia di restare incinta, o almeno di fare quella cosa che a volte fa nascere i bambini.
Dopodiché, siccome “Keta vuole, desidera, brama, pretende, Keta non attende, Keta non intende, decide, comanda, esige, domanda”, Renzi ha detto che «noi abbiamo alluvionato il governo di proposte» (noi vogliamo sposare soltanto uno che ci fa un’alluvione di proposte, sia chiaro, niente di più e niente di meno, non fa niente se poi non le mantiene, ma quanto sono belle le premesse quando sono dette bene, in fondo come tutte le cose). E poi ha detto Myss Keta, no scusate, Matteo Renzi, che non fa niente se per ora quelli di Italia Viva sono al 2 per cento: «Siamo esperti di maratone».
Keta vuole, desidera, brama, pretende, Keta non attende, Keta non intende, decide, comanda, esige, domanda
Ora. Sappiamo che è uno showman. Sappiamo che ha fatto una scissione tremenda. Sappiamo che sa essere uno stronzo. E che più che un capitano coraggioso è un comandante vanitoso. Sappiamo che non è di sinistra. Sappiamo tutte queste cose e molte altre e fidarsi è difficile.
Ma sapete, a Firenze c’erano le ragazze di Porta Venezia, mentre a San Giovanni, a Roma, c’erano quelli là che forse si riprenderanno il Paese, e sono saliti sul palco con Giorgia Meloni che sussurrava a Salvini «ma quanno me freghi», Bagnai che diceva «l’euro non è irreversibile, l’Ue è una prigione» (ma, diciamo, lui e Salvini per caso non si sono fatti «neanche una telefonata» in questi ultimi dieci giorni, non sa Bagnai che Salvini è diventato un europeista moderato?), e Berlusconi ormai vitreo. Ed erano tutti convinti che torneranno ancora, e forse è vero, soltanto che se succederà sarà perché non sono liberi. Questo dice il testamento che Battiato ha scritto nella sua nuova «Finché non saremo liberi, torneremo ancora».
E insomma, diciamo che tra Firenze e Roma, tra Piazza San Giovanni e Porta Venezia, ieri è stato più facile capire dove c’è più vita. O almeno più libertà.