Cultural StereotypePer capire Roma bisogna comprenderne la sua anima oscura: Remoria

Chiunque viva sotto il Cupolone si chiede quando le cose hanno iniziato a degenerare. Valerio Mattioli, con “Remoria”, offre una lettura particolare che va cercata non nella ragione, ma nella storia e nell’anima nera della città

Su questo giornale ci siamo spesso occupati della situazione di Roma. Una città collassata, una Capitale che ha intrapreso un inesorabile processo di autodistruzione. Un luogo dove banalmente non funziona niente, cresciuta esponenzialmente a suon di speculazioni edilizie e attraverso quartieri che nascevano letteralmente dal nulla, a caso e in modo più o meno legale, enorme per dimensioni (l’area urbana di Roma è il secondo agglomerato europeo dopo Londra), che spinge le persone a un crescente nervosismo che si traduce anche nell’escalation di violenza che prima sembrava solo un espediente narrativo buono per l’ennesima variazione sul tema del romanzo criminale, poi è diventata quotidianità, come i recenti casi di cronaca nera ci insegnano e come anche ieri Flavia Perina ha ricordato facendo un po’ il punto degli ultimi mesi di ordinaria Follia Capitale.

Chi vive Roma è sospeso tra la cinica rassegnazione tipica del luogo, di chi fa spallucce dicendoci che “ormai va così”, e la spinta a chiedersi come mai la città sembra destinata a dover andare sempre peggio, come si sia arrivati a questo punto e, soprattutto, quando questo processo si è innescato. Qualcuno cerca di dare una motivazione razionale, politica e amministrativa; altri invece cercano di studiare il fenomeno andando a pescare lì dove le dinamiche non si possono spiegare con la ragione. È quello che ha cercato di fare il romano Valerio Mattioli (critico culturale e musicale, autore qualche anno fa di Superonda, monumentale storia “segreta” della musica italiana), che su Roma ha condotto una ricerca in cui cerca di legare l’idea della città al suo “doppio occulto” che vive e si anima nei meandri della sua enorme periferia. Remoria (minimum fax 2019) non è un “libro su Roma”, ma è una ricerca del significato profondo di una città che diventa ‘corpo non-morto’. Remoria è la città che sarebbe dovuta nascere se, secondo la leggenda fondativa, Remo avesse vinto la sfida con il fratello Romolo. Remoria è la città che è comunque nata ed è rimasta nei gangli di quel luogo assurdo che invece si è sempre cercato di ordinare secondo l’urbanistica quadrata, il confine e il limite. Remoria come ritorno di un rimosso che torna, non a caso, nel 1946, anno in cui iniziano i lavori del Grande Raccordo Anulare. Una costruzione elefantiaca ma inutile, non razionale secondo nessuna logica dell’epoca. Non necessaria per una città ai tempi senza auto. Il GRA qui però funziona come vero e proprio cerchio magico che — nella suggestiva lettura di Mattioli — si traduce in un rituale occulto che genera il ritorno del rimosso. Attorno alle curve e brutali forme del GRA, infatti, nasce quella che qui viene chiamata la “Borgatasfera”. Luoghi di gemmazione spontanea di nuove culture urbane, tenute lontane dal Centro — che diventa sempre più piccolo e inutile — e in cui nascono fenomeni che determineranno l’immaginario collettivo (e non solo) degli anni successivi — i punk e i raver; i dark e i coatti — e i comportamenti che saremo via via stati poi abituati a riconoscere con Roma: la violenza isterica, il nervosismo, il consumo di droghe come unico modo per reagire all’idea di mancanza di futuro.

Remoria non è un “libro su Roma”, ma è una ricerca del significato profondo di una città che diventa ‘corpo non-morto’.

Remoria è una vera e propria “città invertita” che nasce dove il Centro, l’urbanistica tradizionale e la politica non vogliono vedere. Tra la fondazione del GRA e l’omicidio di Pasolini (tra l’altro molto interessanti le pagine che vedono in Salò o le 120 giornate di Sodoma e non in Accattone il racconto perfetto della “Borgatasfera”), tra il racconto della gioventù “tossica” di Claudio Caligari alla sublime interpretazione anarco-futurista data da Stefano Tamburini in Ranxerox, fumetto brutale che anticipa il turbo-coatto della contemporaneità e ne determina i tratti fondamentali di violenza, prevaricazione e dominio fascistoide sul “luogo”.

Analizzando il libro su Il Tascabile, Francesco Pacifico ha notato come Remoria sia più vicina al culto che non all’analisi. E infatti Mattioli costruisce un racconto che vede nell’inspiegabile, nell’esoterico e — soprattutto — nel disfunzionale i centri fondamentali del discorso. Dove H.P .Lovecraft dialoga con il filosofo ‘eretico’ Luciano Parinetto e la cultura rave come movimento di liberazione di un corpo contratto e spaventato dalla violenza del coatto diventa rito catartico. Di sicuro è un modo diverso per guardare al delirio che oggi è Roma, ma è anche una spiegazione che si avvicina alla pratica di quel discorso teorico che spesso facciamo quando diciamo che ogni discorso “reale” è la manifestazione di un discorso “culturale”. Che sia vera o solo una suggestione, Remoria ci suggerisce che Roma — in quanto luogo che davvero vive di vita propria, e che quindi segue logiche che non possono essere visibili — non va aggiustata con le armi della ragione; e che comprenderla è uno sforzo che non molti sono disposti a fare.