In Italia solo un bambino su dieci ha accesso all’asilo nido pubblico. Mentre soltanto uno su quattro usufruisce dei servizi integrativi per l’infanzia. Nonostante l’irrisorio numero di posti disponibili, nessun governo ha fin d’ora stanziato le risorse che servirebbero a garantire a più famiglie l’accesso alle strutture pubbliche. Persino il governo giallorosso che ha subito annunciato di volere assicurare gli asili nido gratuiti, in sede di approvazione della Nadef (nota di aggiornamento al documento di economia e finanza) si è limitata a confermare per il 2020 il bonus nido e il bonus bebé – misure una tantum, per un costo complessivo di circa 500 milioni di euro – scegliendo di tacere invece sul potenziamento dei nidi.
«Con una base d’investimento di circa due miliardi di euro, l’Italia dovrebbe investire prima nelle infrastrutture, aumentando l’offerta dei posti disponibili e poi continuare con gli aiuti alle famiglie più povere», afferma Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’infanzia di Save The Children.
Con marcate differenze territoriali, soprattutto per quanto riguarda la spesa media sostenuta dai Comuni – si va da appena 88 euro all’anno per un bambino residente in Calabria a 2mila euro nella Provincia autonoma di Trento – anche l’ultimo censimento realizzato dall’Istituto Nazionale di Statistica conferma che i posti disponibili nelle strutture pubbliche e convenzionate riescono a coprire ancora poco più del 20 per cento delle richieste. La situazione più preoccupante nel Mezzogiorno: dove con Calabria e Campania in testa l’offerta di servizi socio-educativi è pressoché assente.
Settima in Europa per spesa sociale, l’Italia destina solo il 5,4 per cento del Prodotto Interno Lordo alle politiche per la famiglia. A rivelarlo è l’Eurostat che oltre a fotografare un Paese gravato da una bassa natalità e un preoccupante tasso d’invecchiamento, svela carenze importanti nei servizi per la prima infanzia. L’ultimo rapporto stilato da Save The Children “Il miglior inizio”, pubblicato all’inizio dell’anno scolastico, mostra un’Italia in ritardo. Ancora lontana dal cosiddetto “Obiettivo Lisbona”, fissato dall’Unione europea, che prevede che almeno il 33 per cento dei bambini residenti, da zero a tre anni, possa accedere al nido e usufruire dei servizi integrativi per l’infanzia.
Per il 2020 il governo conferma gli aiuti una tantum alle famiglie economicamente svantaggiate, ma solo il 20 per cento continua ad accedere agli asili nido pubblici, a causa della scarsità di posti disponibili
Sono 354mila i posti nei nidi. Appena poco più della metà sono pubblici. Perché l’Italia possa avvicinarsi a questo obiettivo, ribadito anche nell’ultima riforma della “Buona scuola”, il governo dovrebbe spendere dunque 2,7 miliardi di euro. L’ufficio di valutazione d’impatto del Senato, che a luglio 2018 ha pubblicato un dossier “Chiedo Asilo: ecco perché in Italia mancano i nidi”, ha calcolato oltre 300 mila bambini da zero a tre anni tagliati fuori dalle strutture pubbliche e convenzionate. Per garantire loro l’accesso servirebbero 162 mila posti nuovi.
«Pur essendo contenti della proposta avanzata dal Governo, dobbiamo ancora capire quanto finirà effettivamente nella legge di bilancio», continua Inverno. Negli ultimi dieci anni, come confermano i dati dell’Istat, non solo le risorse pubbliche sul territorio si sono più che dimezzate, rimanendo sostanzialmente stabili, ma sono aumentati anche i nidi gestiti dai privati che, se da una parte, hanno permesso ai Comuni di abbattere il costo medio per bambino, dall’altro, ha comportato un calo degli iscritti nei nidi comunali e convenzionati, soprattutto, nel Mezzogiorno.
«Confidiamo che, come è stato annunciato, dal fondo coesione si riesca a tirare fuori delle risorse per le infrastrutture, è necessario che si chiuda con la stagione delle misure una tantum, misure palliativo, che non sono efficaci per risolvere la questione degli asili nido», precisa Inverno. Un investimento serio nella prima infanzia ha un impatto sociale duraturo, perché combatte la povertà educativa in adolescenza e previene l’abbandono e la dispersione scolastica. Oltre a permettere alle donne di potere lavorare.
Come ricorda Inverno, anni fa lo Stato è stato in grado di fare una scelta di campo sulla scuola materna, tanto che ad oggi la copertura dei bambini residenti da tre a sei anni è alta, il 90 per cento, in linea questa volta con gli obiettivi europei. E lo ha fatto valorizzando la materna, che pur non essendo scuola dell’obbligo come il nido, è oggi sotto la gestione diretta del ministero dell’Istruzione. Per questo, quanto promesso dal governo, sebbene tenti di rispondere, almeno nelle intezioni, alle iniquità presenti ancora nel nostro Paese, senza un piano d’investimenti serio e prioritario, non porterà a nessun concreto beneficio per le famiglie.