Miracolo a Milano, Pd e Italia Viva si parlano

Ieri sera il primo dibattito pubblico tra i Democratici e i renziani: l’occasione per riflettere insieme, con ammissioni di colpa, qualche rancore e l’esigenza di superare la scissione

Linkiesta

L’élite del Pd milanese si ritrova di lunedì al circolo della Pallacorda, in corso Magenta, a due passi dalla bella chiesa di Santa Maria delle Grazie. La serata è tranquilla, il chiacchiericcio in sala folto. L’evento prende il nome di “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, da un racconto di Jorge Luis Borges. Il giardino, si intende, è quello del centro-sinistra; da un lato la strada del Partito democratico, dall’altro quella di Matteo Renzi e del suo nuovo partito Italia Viva.

È il primo confronto tra esponenti dell’uno e dell’altro, la prima occasione per riflettere faccia a faccia, piuttosto che a distanza tramite dichiarazioni, interviste e post, sulle ragioni della scissione. Ospiti Lia Quartapelle, deputata del Pd rimasta nel Pd, Eugenio Comincini, senatore tra i tredici (Renzi compreso) passati a Italia Viva, e Carlo Cerami, avvocato ed esponente di riferimento della sinistra riformista milanese.

Una cosa è certa: c’è ancora molto da metabolizzare. E malgrado non si voglia «una sfida all’ultimo sangue», i partecipanti riconoscono che se il Pd era in difficoltà prima, la scissione ha accentuato ancora di più il problema. Una tacita domanda aleggia nell’aria: ma se Renzi se n’è andato, è colpa sua o del Pd? Difficile rispondere in maniera puntuale su quella che, di fatto, è ancora una ferita aperta.

«Io penso che quanto avvenuto dovesse accadere da tempo», inizia Comincini, «e la fotografia che è stata scattata prima di questo passo ha messo in luce le criticità che c’erano». «A me la scelta di lasciare un campo, quando c’è bisogno di unità, per contrastare Salvini e ritrovare il senso di una cultura progressista e riformista, sembra una scelta sbagliata», è invece la posizione di Quartapelle. Cerami, d’altra parte, già auspica ciò che parrebbe impossibile a questo punto: «Occorre rapidamente tornare insieme». Si scherza sulla possibilità di convincere Comincini a rientrare tra le fila dei democratici entro fine serata, ma la tensione effettivamente c’è: ci si chiede chi ha fatto bene e chi male, cosa serva al Paese, cosa serva al partito.

«I cambiamenti che hanno visto emergere la frattura sociale, l’aumento della distanza tra la upper class e le fasce più basse della popolazione meritano un ragionamento di fondo che un partito politico deve fare. Il problema è che la risposta delle destre è più convincente. Abbiamo un’analisi condivisa, ma non abbiamo la capacità di trasformarla in sogno», osserva Cerami.

Quali sono le basi culturali del Pd oggi? Non le abbiamo analizzate più di tanto, abbiamo lasciato che le leadership supplissero ad un problema indentitario


Lia Quartapelle, parlamentare Pd

Quello che il Pd agli occhi degli elettori non sembra saper più fare, a Matteo Renzi invece riesce con facilità: «L’elettorato oggi non cerca solo buoni progetti, ma anche una guida con cui identificarsi e a cui ispirarsi», dice Comincini. Le idee, insomma, non bastano più da sole. Matteo Renzi sta dando il via ad un partito femminista («detto da un uomo, mi fa venire la pelle d’oca», dice qualcuno in sala) e dove i giovani sono al centro – «io qui di giovani ne vedo proprio pochi, all’Umanitaria invece era pieno», osserva un altro – per cui «il Pd dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza», rimbrotta il senatore. «Ma le primarie Italia Viva le farà?», chiede una signora. Ancora c’è da stabilire tutto, la Leopolda sarà il momento per farlo, ma la speranza, almeno per gli ex piddini, è di sì. Del resto va bene la guida di un esponente forte, ma a lungo andare potrebbe monopolizzare il dibattito interno.

Se c’è una cosa che a Renzi non viene contestata è proprio l’abilità nella comunicazione e uno spiccato senso dell’intuizione politica. «Forse anche il Pd avrebbe bisogno di una leadership più forte», osserva Quartapelle. È il “la” di un lungo mea culpa dem che fa da sfondo alla serata: l’essersi allontanati dalle persone, dai territori, dai problemi quotidiani della gente. «Colpa anche di una legge elettorale che ha tolto rappresentanza al Parlamento», dice Quartapelle. Fatto sta che quella che doveva essere una mescolanza di culture politiche alla base del Pd, è diventata un continuo spaccarsi nelle sale del partito. «Quali sono le basi culturali del Pd oggi? Non le abbiamo analizzate più di tanto, abbiamo lasciato che le leadership supplissero ad un problema indentitario», dice ancora la deputata. «Non esiste una sinistra che non rappresenta i ceti popolari, non possiamo essere una forza progressista se dimentichiamo le parti deboli», aggiunge Cerami.

Anch’io sono per le correnti, però quando negli ultimi quindici anni le correnti sono servite ad elaborare un pensiero politico alternativo?


Eugenio Cominicini, senatore Italia Viva

Il rancore verso l’ex premier per aver abbandonato nel momento più duro, però, è forte è chiaro: «Sull’ipotesi elezioni eravamo spaccati. Abbiamo deciso di imbarcarci in un’operazione difficile, ma Zingaretti si è assunto una responsabilità a delle condizioni che non ci sono più. Il governo sarà estremamente difficile in ogni passaggio, ma noi stiamo restando leali a questa scelta». E se Comincini prima sdrammatizzava, «Sappiamo che il nemico è Salvini. Sovranismo ed europeismo, paura e speranza sono i temi dove si coagula il consenso», poi si infervora: «Anch’io sono per le correnti, però quando negli ultimi quindici anni le correnti sono servite ad elaborare un pensiero politico alternativo? Franceschini e Area Dem come hanno contribuito al valore culturale del Pd? Se il correntismo è piazzare le persone al momento giusto, mentre altri di valore rimanevano esclusi…».

Ci vorrebbe forse un modello all’americana, suggerisce Cerami, «dove prima si fa il dibattito interno, e poi si fa quadrato contro il candidato repubblicano. Quello è un modello di democrazia matura». Eppure, se Renzi si è sentito stretto, la responsabilità si può attribuire al partito fino ad un certo punto: «A me dispiace quando si dice che non gli è stato riconosciuto un ruolo. Ha vinto le primarie due volte, è stato presidente del Consiglio, non riconoscerlo è un errore», dice Quartapelle.

La rivalsa di Renzi, evidentemente, non poteva passare dall’interno del partito. Le strade si sono divise, e ora Italia Viva punta a intercettare tutti coloro che non si sono mai affiliati al Pd, ma che al tempo stesso non si riconoscono nella retorica salviniana. Da entrambe le parti c’è parecchio lavoro da fare. Al Pd serve soprattutto «un lavoro ampio, presenza più solida nei territori, rinnovamento nel partito, ripensamento di cosa non ha funzionato nelle regole interne», conclude Quartapelle. Ma per farlo sarà fondamentale superare il lutto: «Non mi sembra ragionevole un dibattito che indugia sulla responsabilità di quelle sconfitte e sulle ragioni delle vittorie. Non possiamo pensare di costruire il futuro continuando a rivangare il passato».

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