Accordi e disaccordiLa resa (con clausole segrete) di Forza Italia alla piazza di Salvini

Il day-after di San Giovanni è più all'insegna del dubbio che delle sicurezze. La foto unitaria consegnata agli elettori sul palco va bene per scaldare i cuori in vista delle elezioni dell’Umbria e dell’Emilia, ma nessuno è sicuro che possa risultare conveniente sul piano nazionale

Il day after di piazza San Giovanni è una sfilza di punti interrogativi: che accordo ha fatto Silvio Berlusconi con Matteo Salvini? Questa Nazionale Azzurra citata dal Cavaliere, questo “Orgoglio Italiano” stampato sulle bandiere, sono solo modi di dire o i nomi di una possibile lista unica prossima ventura? E, nel caso, chi avrà il privilegio di salire sulla carrozza, quale sarà la percentuale riconosciuta a Forza Italia?

Nel vecchio mondo del centrodestra a trazione berlusconiana, c’è un precedente che molti ricordano: l’accordo del febbraio 2008 che portò alle liste uniche del Popolo della Libertà, formalizzato dai negoziatori di Fi e An dopo un lungo dibattito con la stipula di un documento notarile che, riga per riga, sanciva regole economiche e statutarie, nonché i rapporti di forza in caso di elezioni. Si stabilì che le future candidature sarebbero state suddivise tra i due ex-partiti sulla base del rapporto 70/30: il calcolo matematico fu effettuato considerando i risultati delle politiche del 2006, dove Fi aveva preso 9 milioni di voti e Alleanza nazionale 4 milioni. Tutto molto chiaro. I patti vennero rispettati nel voto anticipato della primavera successiva, nessuno ebbe da lamentarsi.

Oggi le cose sono alquanto diverse. Se un’intesa Berlusconi-Salvini c’è (e tutti giurano che ci sia, la presenza del Cavaliere a San Giovanni ne è la riprova) nessuno ne conosce i dettagli. È ben difficile che si basi sui numeri del 2018, che fissarono Fi e Lega rispettivamente al 14 e al 17,4 per cento: sono totalmente superati dal voto delle europee nonché dai sondaggi ed è ovvio lo stress dei deputati, dei dirigenti e delle loro corti, più o meno tutti convinti che salire a bordo del listone sarà un privilegio riservato a pochi, pochissimi, un numero che si potrà contare sulla punta delle dita. In sostanza, il timore diffuso è che nel comizio romano si sia celebrato non tanto un passaggio di consegne tra il vecchio federatore delle destre e Matteo Salvini ma una resa con clausole segrete che si scopriranno solo quando il Paese tornerà alle urne. Esultano quelli convinti di restare in sella, tremano i moltissimi che si sentono già fuori.

La foto unitaria consegnata agli elettori sul palco va bene per scaldare i cuori in vista dell’Umbria, dell’Emilia, forse delle tornate in Campania e Calabria, ma nessuno è sicuro che possa risultare collettivamente conveniente sulla scena nazionale

Giorgia Meloni, che è più furba ed è a capo di un movimento in crescita, dopo il comizio ha messo i puntini sulle “i”, ringraziando Salvini per la bella piazza ma facendo presente che il leader della Lega finora non ha mostrato particolari capacità di fare il leader di una coalizione, perché «ha preferito fare il capo del suo partito». Anche lei ha un sospetto, e lo sbandiera con chiarezza nelle interviste insistendo per la firma del cosiddetto patto anti-inciucio: vai a vedere che, incassato il risultato nelle Regioni, Salvini riapra il forno con Di Maio e ci freghi tutti ricacciando il centrodestra nella dimensione di alleanza territoriale?

Insomma, il day-after di San Giovanni è più all’insegna del dubbio che delle sicurezze. La foto unitaria consegnata agli elettori sul palco va bene per scaldare i cuori in vista dell’Umbria, dell’Emilia, forse delle tornate in Campania e Calabria (e già li ci sono problemi), ma nessuno è sicuro che possa risultare collettivamente conveniente sulla scena nazionale.

E si capisce perché Matteo Renzi insista nel corteggiamento, apparentemente impossibile e fin qui rifiutato, del mondo forzista: fiuta la possibilità di un big bang, l’eventualità che l’arretramento di Silvio Berlusconi nel cantuccio del “vecchio saggio” scombini i giochi, liberi forze, induca a nuove avventure pezzi di territorio o forse anche figure nazionali. L’evocazione dell’elezione del prossimo presidente della Repubblica – uno dei dati centrali del discorso della Leopolda – è servita anche a questo: a indicare un tipo di cimento destinato fatalmente a dividere le scelte di moderati e sovranisti, come è successo sulla presidenza della Commissione Ue e su tante altre decisioni di livello.

Così, è probabile che ci ricorderemo il comizio del 19 ottobre come l’atto d’inizio di un processo che deciderà il futuro politico dell’area moderata, incarnata per un ventennio da Forza Italia, perno del nostro sistema dal fatidico anno della discesa in campo fino ad oggi. Finirà come la Dc, sopravviverà per mutazione, in forme diverse, sotto differenti bandiere, contaminando altre case con la sua tradizione e il suo modo d’essere? Oppure riuscirà l’operazione salviniana di annettersi la sua eredità in via esclusiva, per concessione del suo anziano leader? Vedremo, manca ancora molto alla fine della storia.

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