CapitaleRoma è un disastro, ma non ingovernabile: i partiti scelgano i candidati in grado di salvarla

Mancano due anni al voto, ma non sappiamo ancora che cosa succederà dopo l’esperienza dadaista della sindaco grillina. Non è una battaglia persa, basta evitare pigri e incapaci

TIZIANA FABI / AFP

Ma di Roma, carissimi, che cosa ne vogliamo fare? Per la quinta volta in tre anni è saltato il Consiglio di Ama, la municipalizzata dei rifiuti: tutti dimissionari in polemica con la sindaca Virginia Raggi e con le diatribe interne che impediscono dal 2017 di approvare i bilanci. Nelle stesse ore è stata cancellata con un tratto di penna Roma Metropolitane, la società del Comune responsabile del faraonico progetto della Linea C, in costruzione dal lontano 2005: fallita, morta, kaput, coi dipendenti fuori a menarsi con la polizia (e il povero Stefano Fassina travolto e portato via in ambulanza).

Ad Ama è arrivato un fedelissimo M5S, Stefano Zaghis, competenze nel settore pari a zero. A Roma Metro ci penserà il tribunale, è sepolta dai debiti, vedremo. E tuttavia sembra incredibile che la politica – tutta, maggioranza, opposizione e chi sta a metà – non senta l’esigenza di dire: beh, è ora di metterci le mani, non possiamo fregarcene della Capitale d’Italia, della più grande metropoli del Paese, trattarla come se fosse Frascati o Buccinasco.

Dateci un nome, dateci un progetto, dateci una voce alla quale associare una possibile speranza. Roma è stata il trampolino di lancio di grandi leadership nazionali, il punto di partenza o di ri-partenza di figure che hanno marcato la politica italiana. Francesco Rutelli era il coordinatore di un partitino verde del 3 per cento: la scalata al Campidoglio lo trasformò in star di prima grandezza. Walter Veltroni recuperò grazie a Roma una carriera che sembrava sepolta dal disastro delle elezioni 2001, col “suo” Pd precipitato al 16,6 per cento rispetto al 21 per cento raccolto cinque anni prima dal Pds. Gianfranco Fini era un impresentabile, rinchiuso nel ghetto minoritario delle destre post-fasciste: la corsa a sindaco gli aprì un’autostrada e pure i cancelli di Villa San Martino. Nessuno che voglia riflettere su queste esperienze, mettersi in gioco, candidarsi fin d’ora a rappresentare il dopo-Raggi, giocarsi qui la sfida per diventare “qualcuno”?

Ma di Roma che ne vogliamo fare? Si vota tra due anni, non c’è nessuno disposto a candidarsi fin d’ora, il momento di costruire un percorso che salvi la città è questo

A Roma si vota tra due anni ma il momento di costruire un percorso che salvi la città è questo. I nomi pescati alla lotteria dell’ultimo momento non funzioneranno. Non dopo undici anni di montagne russe tra sindacature di ogni colore – destra, sinistra, grillini – tutte nate all’insegna del Grande Cambiamento e tutte finite nel fango degli scandali o dell’inefficienza. Alla città serve un soggetto che adesso, subito, cominci a costruire un disegno credibile e riempia il vuoto di politica in cui ogni cosa sta sprofondando.

Faccia una chiamata alle armi, qualche energia ancora c’è. Smitizzi ridendo la favola di Roma ingovernabile, è una leggenda costruita dagli incapaci e dai pigri. Chieda per prima cosa un favoloso aumento di stipendio: ma a voi sembra normale che l’amministratore di un bilancio a nove zeri guadagni 4.500 euro al mese? Presenti un programma dichiaratamente copiato da Berlino, Madrid, Parigi, tutti posti dove i trasporti, la raccolta rifiuti, la gestione del verde, i servizi anagrafici funzionano benissimo.

L’alternativa è andare avanti così, con rattoppi precari (anche detti, guarda caso, “romanelle”) che spezzeranno gli ultimi fili che collegano i cittadini all’amministrazione del territorio, già decisamente laschi. L’incuria privata, le auto in doppia fila, gli autobus o la metro presi senza biglietto, l’orrenda tracotanza che si vede ogni giorno agli sportelli pubblici o ai semafori, sono figli del disconoscimento di massa di ogni autorità e supervisione – “voi ve ne fregate, noi ce ne freghiamo” – e non a caso si moltiplicano di pari passo con le foto su Fb dei cassonetti strabordanti, dei poveri alberi capitozzati senza criterio, della giungla di erbacce e rifiuti che ormai accompagna pure le grandi arterie del centro. Si può lasciare così, la Capitale d’Italia, abbandonata alla sua anarchica autogestione, oppure nel disastro si può intravedere un’occasione e tentare di sfruttarla. Scegliete voi, ma fate in fretta.

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