“Orgoglio italiano”La nuova marcia su Roma di Salvini per riprendersi l’Italia

Il predellino leghista si inaugura oggi, tra percentuali (di sondaggi) notevoli, e grandi speranze. Il guaio, per Matteo, è che per come è concepita la “cosa” leghista, rischia la fine della Le Pen: non governare mai

Miguel MEDINA / AFP

A Roma, a Roma! Matteo Salvini avrà il suo predellino nella Città Eterna, sabato 19 ottobre (il giorno-clou della Leopolda, e non è un dettaglio). Non sarà una manifestazione della Lega. Non sarà una manifestazione del Centrodestra. Sarà l’atto di nascita di una nuova Cosa, la Cosa salviniana: «L’atto fondativo di un progetto di allargamento a forze diverse», spiegano gli organizzatori all’AGI. Il copione e la piazza sono gli stessi del lontano 2006, quando Silvio Berlusconi per ricompattare il suo popolo dopo la sconfitta elettorale e l’insediamento del secondo Governo Prodi, si pigliò San Giovanni e la riempì di un paio di milioni di persone (secondo lui, per la Questura erano 700mila: comunque moltissime). Fu il debutto ufficioso del Popolo della Libertà, che infatti si formalizzò come federazione pochi mesi dopo. Ed è impossibile non riconoscere una simmetria politica tra quell’antica operazione e quella predisposta dal Carroccio per la prossima settimana.

Stavolta lo slogan sarà “Orgoglio Italiano” e la scenografia prevede un implicito passaggio di consegne tra il vecchio capo e il nuovo: il Cavaliere infatti non sarà sul palco, al suo posto ci sarà una delegazione guidata da Antonio Tajani, che avrà la parola alla pari dei molti altri soggetti invitati (compreso lo scissionista Giovanni Toti col suo “Cambiamo”). Niente bandiere, né per loro né per gli altri. L’unico vessillo ammesso sarà il tricolore, e c’è da scommettere che se il servizio d’ordine sarà clemente con i Leoni dorati del Veneto o con le effigi di Alberto da Giussano, per forzisti e Fratelli d’Italia non saranno fatte eccezioni. L’obbiettivo comunicativo è ovvio: grandi titoli sulla “piazza di Salvini”, requiem per le aspirazioni protagoniste di tutti gli altri.

Oggi che l’alleanza Pd-M5S rischia di marginalizzarlo nel ruolo dell’estremista, si riaccosta ai vecchi amici, ne assorbe le preoccupazioni e i timori, si offre come loro garante e campione in cambio della cessione di quote di sovranità politica all’interno del campo del centrodestra

Il leader della Lega marcia su Roma con la forza di sondaggi travolgenti nonostante la lontanza dal potere (gli ultimi piazzano il Carroccio al 31,5, sempre primo partito) e della indubbia sottomissione dei suoi alleati a cotanta vitalità numerica. Persino Fratelli d’Italia, che pure cresce costantemente nelle rilevazioni, sembra aver delegato al Capitano la primogenitura nella Capitale, dove la destra-destra ha sempre tagliato la strada a chiunque ne insidiasse il ruolo di forza di riferimento. In parallelo con l’operazione-San Giovanni la Lega ha infatti attivato da tempo una campagna di livello contro la sindaca Virginia Raggi, imponendosi come soggetto forte dell’opposizione al governo grillino. È cominciata il 4 ottobre con l’improvviso blitz di Salvini in persona sotto il Campidoglio. È proseguita la settimana dopo con il sopralluogo in diretta Fb alla “Terra dei fuochi” romana di Fonte Laurentina e al fatiscente Stadio Flaminio. Culminerà il 19 con il lancio di una petizione popolare per chiedere le dimissioni della sindaca, che sarà poi portata in modo capillare nelle strade cittadine a ogni week-end.

Insomma, Salvini batte banco anche nella roccaforte di Giorgia Meloni, proponendosi come king-maker della prossima battaglia per il Campidoglio, con un evidente cambio di strategia e di passo. Fino a ieri quel che contava era essere padrone a casa sua, libero di scegliere intese a dispetto dei tradizionali alleati e scarsamente preoccupato dei loro mugugni per il doppio registro tenuto a livello nazionale e locale. Oggi che l’alleanza Pd-M5S rischia di marginalizzarlo nel ruolo dell’estremista, si riaccosta ai vecchi amici, ne assorbe le preoccupazioni e i timori, si offre come loro garante e campione in cambio della cessione di quote di sovranità politica all’interno del campo del centrodestra. Il leader della Lega sa perfettamente che senza i contrappesi moderati di quel che resta di FI e i collegamenti di Fratelli d’Italia con i conservatori europei potrebbe fare la fine di Marine Le Pen: votatissima, amatissima, influentissima, ma circondata da un “cordone sanitario” che le impedisce di aspirare a posizioni di governo. Quindi, dentro tutti. L’importante è che comandi lui. E su questo nessuno sembra al momento sollevare obiezioni.

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