Contrordine: il malvagio Sfera Ebbasta è un tipo a posto. Ormai l’abbiamo visto coi nostri occhi e capito, stando attenti ai particolari. È sveglio, furbo, determinato. Ma è anche disincantato, piuttosto romantico, spiritoso, molto veloce. Soprattutto, smentendo mesi di turbolenze mediatiche, ufficialmente non è un mostro: è un artista brillante con un’inconsueta capacità di connettersi col pubblico – il suo, ovvero quello che già lo adorava e si sentiva in risonanza con la sua storia personale e coi suoi racconti musicali incentrati sul tema del riscatto, e quello che inaspettatamente adesso scavalca pregiudizi rocciosi, cedendo alla simpatia di un 25enne che ce l’ha fatta e non perde l’occasione di rappresentarlo, per se stesso, ma anche per chi lo guarda e l’ascolta.
«Sei un bravo ragazzo» gli ha detto senza convenevoli la veterana Maionchi, in coincidenza con la prima apparizione insieme nella giuria di “X-Factor”. È stato l’inizio della liturgia di redenzione dell’immagine di Sfera, ormai destinata a essere benignamente riammessa nell’arena del mainstream, andando a sedere a fianco del suo predecessore, quel Fedez che per biografia e comportamenti appartiene a una generazione precedente, ma che ha percorso una parabola di assoluzione e reintegrazione non troppo diversa dalla sua.
Sulla vicenda vigila l’occhio strategico della tv: Sky stavolta ha puntato sulla scommessa declinata un anno addietro, quando al culmine del brivido moralistico che percorreva i media italiani dopo le accuse di molestie rivolte ad Asia Argento da Jimmy Bennett, l’aveva scaricata malamente, assoggettandosi alla richiesta di gogna e rinunciando a quella che si stava rivelando la nuova protagonista di uno show come X-Factor, che vive della verve del suo collegio giudicante. Per gli scherzi della sorte, o per l’abilità di pescare personaggi capaci di destare controversie, l’affare si è ripetuto con Sfera, prima bollato dalla stampa benpensante di natura demoniaca tout court («Sfera Ebbasta? Ho letto il testo di una sua canzone e mi sono messo le mani nei capelli: Dietro messaggi simili c’è Satana», sentenziava ai microfoni Rai l’esorcista don Antonio Mattatelli), poi trascinato dentro una tragedia assurda come quella di Corinaldo, nella quale non aveva oggettivamente responsabilità, ma che l’ha investito con la furia massimalista dell’emozioni assolute, in un paese cattolico ossessionato dalla denuncia della colpa. Ne è uscito stordito, stupito lui stesso dall’incapacità di esprimere non tanto un’estraneità ai fatti, ma lo sbigottimento per esserne stato coinvolto. A quel punto la procedura di segregazione a cui Sfera sembrava condannato ha assunto tinte cupe: lui, con le sue 6 stellette tatuate sulla faccia, i suoi fans a proteggerlo come lo sfortunato messaggero della loro condivisa incomprensione, i suoi accusatori, scatenati davanti alla flagrante dimostrazione che ogni grande peccato genera un castigo altrettanto esemplare.
Quando ha preso sottobraccio Mara, la nonna che non ha mai avuto, quando s’è messo ad ascoltare educatamente dei novizi che cantano una musica che l’annoia, quando ha cominciato a dispensare sorrisi abbaglianti e surreali, è divento il manga vivente della trasmissione
Poi c’è stato un disco, “Rockstar”, di colpo stranamente maturo, calmo, malinconico, teatro di un vero esperimento di cantautorato trap autobiografico, riaggiornando parametri desueti della nostra canzone. Un album bello, di sconcertante descrizione di uno stato d’animo deflagrato, dilaniato da soddisfazione e pentimento, uno sguardo vitreo su una vicenda esistenziale incredibile e fulminea, com’è quella della resurrezione di un ghetto boy dell’hinterland milanese, proiettato come un missile sul sedile di un jet privato, con una boccia di Moet sul tavolinetto. A coronamento di questa contraddizione vivente è arrivato l’“all in” di X-Factor, il “o la va o la spacca” per la sua carriera, che poteva dimostrarsi più effimera e dimenticabile di quanto siamo portati a considerarla adesso, appena un paio di mesi più tardi. C’è chi da sempre sostiene che questo è il potere della televisione, che sarà stantio e così XX secolo, ma che continua a saper masticare ogni cosa normalizzandola, risputandola digerita e anestetizzata, comunque aggregata al suo patrimonio rappresentativo, dunque consumabile, controllata, parte del meccanismo.
Per Fedez o per Guy Pequeno, altri irregolari sbrigativamente irreggimentati dalla tv nel volgere di un talent musicale, era stato un gioco da ragazzi: il rap è buono, il rap è espressione, i ragazzi sono vivaci ma al momento buono sanno diventare grandi. Con Sfera l’azzardo era più grosso, e forse per questo motivo è stato sposato da Sky, alla ricerca dello choc che levasse “X-Factor” dal limbo del programma “generazionale”. A quel punto, quando si sono aperti i microfoni ed è cominciato lo show, Sfera è rimasto da solo ad affrontare la sua partita, la più difficile. E qui è emerso il genio del personaggio, la sua caratura non banale. Quando ha preso sottobraccio Mara, la nonna che non ha mai avuto, quando s’è messo ad ascoltare educatamente dei novizi che cantano una musica che l’annoia, quando ha cominciato a dispensare sorrisi abbaglianti e surreali, è divento il manga vivente della trasmissione.
Gli indici di X-Factor hanno traballato, ma hanno perlomeno mostrato una certa vivacità e Sfera ha giocato una partita tutta sua, vincendola seccamente in due set. Chi può ancora definirlo “maledetto”, dopo averlo visto in scena per un paio d’ore di “audizioni”? Chi può bollarlo come “cattivo esempio” di fronte all’interpretazione di una simile operazione-simpatia? Ovvio, c’è molto di prefabbricato nella rinascita di una star. Ma c’è anche la stoffa di uno che dimostra di sapere come si fa a comunicare e come si amministra la flessibilità del proprio personaggio. Per cui la notizia, oltre quella assodata che Sfera è in gamba e che non c’è da aver paura se nostro figlio lo ascolta su Spotify, è che anche lui, come diceva un sapiente elisabettiano, ha saputo “umiliarsi per conquistare”, ovvero ha saputo stare al gioco, ha capito che c’è un tempo per essere selvaggi e dissacranti, e uno in cui tutto si ricompone. Che non ci sono mai davvero delle vere rivoluzioni. E che quelle che abbiamo agognato, tutto al più possono andare in scena solo dentro di noi.