Quarantasei Stati americani su cinquanta hanno aderito all’inchiesta dell’Attorney General di New York sulle ripetute violazioni antitrust da parte di Facebook, in particolare sui rischi che corrono i dati personali dei cittadini, le scelte dei consumatori e la libera concorrenza di altri operatori. L’impatto potenziale dell’inchiesta di New York e degli altri Stati americani non è da sottovalutare, anzi come sostengono i giornali americani potrebbe addirittura costringere Mark Zuckerberg a cambiare il modello di business della sua creatura.
Contemporaneamente, è successa un’altra cosa: questa volta nell’insolita, anche se non inedita, parte del gigante buono e socialmente responsabile, Facebook ha smantellato quattro network di hacker antiamericani, uno russo e tre iraniani ma infiltrati da Mosca in un’operazione di controspionaggio che ricorda quelle raffinate d’altri tempi, che fingendosi di essere account Facebook e Instagram statunitensi conducevano una campagna di propaganda e di diffusione di fake news a favore di Donald Trump e contro i principali candidati del Partito democratico, Joe Biden, Elizabeth Warren e Kamala Harris alle primarie presidenziali (la suddetta propaganda era anche a favore del candidato socialista Bernie Sanders).
Su Facebook un lato si gioca la battaglia per i nuovi diritti umani del XXI secolo e dall’altro si scontrano le democrazie occidentali e gli agenti del disordine internazionale che scorrazzano sui social per diffondere il caos
Le due notizie apparentemente non sono collegate, ma in realtà lo sono perché sulla piattaforma digitale di Zuckerberg da un lato si gioca la battaglia per i nuovi diritti umani del XXI secolo e dall’altro si scontrano le democrazie occidentali e gli agenti del disordine internazionale che scorrazzano sui social per diffondere il caos. Nel primo caso, Facebook è accusato di violare i diritti digitali dei cittadini mentre nel secondo caso è il poliziotto che ha smontato i tentativi di manipolazione straniera del processo elettorale americano.
Il punto non è stabilire se Facebook sia colpevole o innocente, né se l’impero di Zuckerberg sia un problema per la società come crede la pubblica accusa di New York o addirittura parte della soluzione contro l’ingerenza straniera nei processi democratici come si è visto con lo smantellamento dei quattro network ostili. La questione è più generale, ma non meno cogente: la regolamentazione delle attività dei social network nella vita democratica dell’occidente è uno dei temi decisivi della nostra epoca e non la si può lasciare ai magistrati o alle buone azioni di Facebook, e men che meno ai nemici della società aperta che pensano di avere individuato la falla per imbarazzare il mondo libero. I social hanno reso vulnerabile il sistema democratico e liberale, sarebbe il caso di occuparsene seriamente.