Questa storia, questa cosa, questa idea, meglio, questa soluzione che, almeno secondo Beppe Grillo, i vecchi non dovrebbero avere più diritto alla scheda elettorale, ci penso da giorni, mi inquieta, di più, mi sembra foriera di pessime novità, pronte ad abbattersi su molti, come me, malcapitati anagrafici. Sì, soprattutto per noi giovani sessantenni saranno guai, noi, gli stessi che, sembra ieri, leggevamo sui muri delle città frasi rassicuranti e insieme colme di entusiasmi primaverili come “Dopo Max, aprile”, “Dopo Mao, giugno” o ancora meglio “No dreams, no future”. Si può ben dire che ci stanno accontentando. Già, i nostri figli. Parlo di noi giovani per definizione, lì fissi, certificati dalla canzone di un altro coetaneo infinito, Miguel Bosè, pronto a confermare le nostre certezze di felici immaturi, parlo dei ragazzi del ’56, anzi, “Tutti poeti noi del ’56”.
Fra molto altro, è davvero singolare, se non bizzarro, che a esprimersi in questo modo, immaginando una Rupe Tarpea anche per gli anziani, sia proprio, oggettivamente, un vecchio, un signore con capelli e barba bianchi, lo stesso che nell’ultimo suo video pubblico, travestito da Joker, metteva paura alla semplice vista, e ancor di più ne metterebbe agli ospiti, coetanei, di un ospizio. Se solo provo a immaginarmelo, Beppe Grillo, nella penombra al neon di un corridoio di nosocomio, reparto geriatrico, la semplice sensazione mi suggerisce l’immagine spettrale del Dottor Caligari, brividi da film espressionista inarrivabile. O forse sempre Grillo, con le sue parole, in questo caso ha perfino surclassato Nosferatu, l’uomo destinato alla stanchezza a causa di una vita destinata a perdurare nei secoli.
Intendiamoci, non è soltanto Grillo ad avercela con i “vecchi”, anche altri in verità, di recente, si sono espressi con altrettanta calda determinazione in favore del primato giovanile, Luigi Marattin, per esempio, parlamentare sex simbol di Italia Viva, da Dagospia definito “testosteronico”, rivolgendosi al non-giovane Leopoldo Mastelloni, inviato da Giletti alla Leopolda, a muso duro si è espresso all’incirca così: “Se devo investire non lo farei certo per quelli della tua età, semmai per i giovani”.
Ora, di fronte a queste parole così estreme e così convergenti con la determinazione dell’altro, la prima cosa che sorge in mente come destino e insieme ipotesi risolutoria è un titolo di Louis- Ferdinand Céline, scrittore francese emicranico e dall’aspetto, si sappia, mai giovanile, destinato a un saggio di riflessione circa la sovrappopolazione, diciamo, sociale: “Per eliminare la disoccupazione uccideremo forse i disoccupati?”
I giovani ritengono che i vecchi debbano essere generosi nei loro confronti, ma i vecchi non sanno di essere vecchi. Da allora, i vecchi hanno fatto progressi, al punto da sapere benissimo d’essere tali, salvo poi incarognirsi, giurandola ai giovani
Magari, sì. Punto. La nostra riflessione potrebbe concludersi con queste essenziali, esiziali parole. Qui, d’altronde, la lotta titanica fra i vecchi e giovani data qualche anno, ed è stata perfino oggetto di contemplazione letteraria. Non penso a Pirandello, no, personalmente, dimenticherò mai un articolo illuminante di decenni fa a firma Alberoni, nel quale si diceva che “i giovani ritengono che i vecchi debbano essere generosi nei loro confronti, ma i vecchi non sanno d’essere vecchi”. Testuale. Pensandoci bene, grazie al tempo trascorso da allora, i vecchi hanno fatti progressi, al punto ormai da sapere benissimo d’essere tali, salvo però incarognirsi, giurandola ai giovani.
Così come i giovani sanno di essere giovani, ma con un accessorio in più: il coltello tra i denti. In ogni caso la guerra tra vecchi e giovani mica riguarda unicamente l’aspetto materiale, il pensiero di una pensione-chimera, no, la questione mostra ben altro. Nel senso che, al di là delle sortite di Beppe Grillo, fuori classifica per un dato oggettivamente anagrafico, dietro all’assalto all’esistenza stessa dei vecchi si agita innanzitutto una forma di implacabile risentimento culturale.
Intanto però chiariamo un punto: quando parliamo di vecchi nella situazione storica attuale, certo non ci riferiamo a chi ha vissuto gli anni del fascismo, trovandosi ormai questi ultimi, come si dice a Roma “all’arberi pizzuti“, più semplicemente la nostra attenzione verte su coloro che hanno vissuto il decennio della cosiddetta “contestazione” o ne hanno respirato l’aria (è bene infatti sapere che le generazioni precedenti si esprimevano parlando invece di “protesta”) e come tali, nonostante la calvizie e la prostata in allarme, comunque per definizione reputati portatori del virus del disordine. Al contrario, il “giovane”, cresciuto nelle riserve delle Play Station, pretende ricomporre ciò che altri hanno infranto, disperso. Viene in mente una vignetta di Wolinski, maestro martire di Charlie Hebdo, dove il padre, in eskimo, barba e capelli lunghi, tiene per mano il figlioletto in abito blu cravatta e valigetta 24 ore, lo tiene per mano e intanto piange, e piangendo, vinto, gli dice: “E pensare che all’età tua io stavo sulle barricate”.
Ecco, forse sono proprio le barricate che i giovani non perdonano ai vecchi, anche con una certa dose di ragione, perché come insegna la storia di un ragazzo che da vecchio diventerà implacabile, tal Francesco Crispi, si comincia garibaldini e si finisce notabili e soffocatori di rivolte.
In una società di semplici, di nutrie, dove la massima gittata espressiva coincide con le più belle frasi di Osho, cosa vuoi che mi susciti, se non rabbia e risentimento, uno che dovesse presentarsi citando, che so, Lacan e Foucault
Tutto ciò ovviamente è in discrepanza assoluta con la comunicazione pubblicitaria, dove si solleva sempre più l’asticella dell’età, meglio, si suggerisce che la giovinezza termini a 70 anni. Ora tu mi dirai che lo fanno perché i vecchi sono comunque gli unici che hanno soldi da spendere, da investire, è possibile, resta però che esistono perfino modelle ottantenni come Carmen Dell’Orefice, presentate come assolutamente desiderabili, prima linea del riscontro erotico.
Ridendo e scherzando però questo genere di suggerimenti da soluzione finale per la terza età lasciano il segno: come è noto, soprattutto per la società dello spettacolo ergo dell’immagine, i vecchi sono altresì contemplati senza particolare benevolenza, se non conati di orrore. L’egoismo fa il resto, per non parlare poi del costo di una eventuale badante qualora dovesse d’improvviso esplodere l’alzheimer, già, se una notte, il vecchio, la vecchia dovesse dare fuoco alla casa? E i presìdi? Tu non sai quanto costano i presìdi… Ecco, sono questi alla fine, messo da parte il pensiero della magra pensione, gli argomenti che portano i giovani a ritenere che l’essere vecchi sia un crimine, una forma di malvagità verso quegli altri, verso chi ha ancora tutto da vivere, ogni ambizione, perfino la più ottusa e meschina, da esperire; i vecchi come peso, dunque. O anche, lo si è detto, come peso culturale. In una società di semplici, di nutrie, dove la massima gittata espressiva coincide con le più belle frasi di Osho, cosa vuoi che mi susciti, se non rabbia e risentimento, uno che dovesse presentarsi citando, che so, Lacan o Foucault. A te sembra ieri che giungeva in libreria “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes, e invece sono passati quasi quarant’anni da allora. E tu, hai visto come sei ridotto, e che discorsi fai, e addirittura digiti sul cellulare con un solo dito? E se a questo punto provi a dirmi che ti piace il rock, a me viene in mente una vignetta poco tempo fa comparsa su un magazine internazionale: i vecchini rocchettari all’ospizio, alcuni perfino su carrozzina, litigavano fra metallari e fissati con degli Stones, litigano e stanno sull’orlo dell’abisso…
Così tutto sembra tornare terso, chiaro, i vecchi esistono. E presto tutto finirà, i giovani l’avranno vinta con le loro ambizioni tristi, e non ci sarà neppure più Grillo a raccontare l’epilogo. Esatto, alla fine ne resterà soltanto uno, sì, Keith Richards, lui, sì, sopravvissuto a tutto e a tutti, dovrà provvedere a mettere nero su bianco il canto della disfatta finale di chi riteneva bastasse un po’ di memoria e la voglia di restare a lavorare per ancora esistere al mondo.