Sono passati dodici anni dal delitto di Perugia, in cui fu uccisa la studentessa inglese Meredith Kercher: anni scanditi da cinque gradi di giudizio (condanna in primo grado, condanna in appello, annullamento da parte della Cassazione, di nuovo condanna in appello, assoluzione definitiva anocra della Cassazione), lunghi periodi di reclusione, un documentario Netflix, un memoir e fiumi di editoriali, slogan, campagne “innocentiste” e “colpevoliste” (nella prima si è mobilitato anche Donald Trump, non ancora presidente degli Usa).
Quello che non passa, però, è l’indignazione permanente nei confronti di Amanda Knox. È stata assolta dai magistrati (insieme a Raffaele Sollecito), ma le contraddizioni tra i vari gradi di giudizio, la confusione nelle indagini, la forte presenza dei media e, infine, la condanna a Rudi Guedé in concorso di omicidio – ma senza individuare i concorrenti – ha segnato gran parte dell’opinione pubblica. Il polverone è calato ma le posizioni non sono cambiate. Innocentisti o colpevolisti si era, innocentisti o colpevolisti si è rimasti. Nonostante le sentenze.
E allora succede che si parli di oltraggio e mancanza di rispetto quando, da donna libera (e famosa) Amanda Knox partecipa al festival della Giustizia di Modena, invitata per raccontare la sua esperienza. È successo questa estate. E ancora, è sempre per questo che, dopo l’annuncio di una sua prossima rubrica delle lettere sul giornale di Seattle, il Westside Seattle, si siano levate proteste e lamentele.
La nuova column si chiamerà “Ask Amanda Knox”
Non ha aiutato, certo, il fatto che il direttore del quotidiano abbia presentato la nuova column, che si chiamerà “Ask Amanda Knox”, alla vigilia dell’anniversario dell’omicidio e proprio ricordando la sua esperienza di reclusione in Italia. I quattro anni passati in prigione «per un omicidio che non ha commesso» le avrebbero dato «una prospettiva unica sulla vita». E adesso, «pienamente assolta, è un’autrice bestseller e una sostenitrice di una riforma della giustizia penale che offre i suoi pensieri, per come sono, sulla vita, sull’amore, sulla sofferenza e sul senso di tutto questo». Agli occhi dei critici, non ha aiutato nemmeno il fatto che sia sposata con Christopher Robinson, la cui famiglia possiede e pubblica il giornale.
Come riporta il Guardian, di fronte alla notizia della rubrica, la cui data di partenza non è ancora chiara, uno dei lettori avrebbe commentato dicendo: «No, per favore no». È bastato questo perché il direttore, Patrick Robinson, sentisse il bisogno di replicare: «A chi avesse ancora dubbi, dopo tutte le voci che negli anni si sono susseguite, sulla sua innocenza, posso solo dire che: se la aveste incontrata, se aveste parlato con lei, se foste riusciti a conoscerla bene come ho fatto io, allora non nutrireste altro che ammirazione nei suoi confronti. E come se fosse destinata a passare in mezzo a tutto questo per diventare la donna notevole, intelligente, brava e profondamente sincera che è».
Insomma, sia in Italia che negli Stati Uniti, il nervo è ancora scoperto. I dubbi – lo riconosce lo stessso Robinson – sono sempre vivi. E nonostante tutto, la verità è che Amanda Knox non sarà mai considerata davvero innocente. E chi non capisce che questo è un problema, non solo per lei ma anche per l’Italia, per la reputazione delle sue istituzioni, per la sua giustizia e il suo sistema mediatico, è ancora lontano dal comprendere cosa significhi questa storia.