La luce che è fallitaTrent’anni dopo la caduta del Muro, ecco perché l’Occidente è in crisi

La rivolta populista globale è contro l’ideologia del there-is-no-alternative, contro la sostituzione dell’ortodossia comunista con quella liberale. Meglio non imporre modelli da imitare, ma occhio agli imitatori nostrani dell’autoritarismo illiberale

John MACDOUGALL / AFP

Esattamente settanta anni fa, nel 1949, è uscito The God that Failed, pubblicato in Italia l’anno successivo con il titolo Il Dio che è fallito, una raccolta di testimonianze di intellettuali di sinistra disillusi dal comunismo, scritta da giganti del pensiero e delle lettere quali Ignazio Silone, André Gide e Arthur Koestler. Quel libro è stato uno dei documenti più importanti della battaglia di idee combattuta durante la Guerra Fredda tra mondo libero e totalitarismo.
A trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, quindi tre decenni dopo il fallimento fisico della divinità comunista denunciata per tempo da Silone, Gide e Koestler, anziché celebrare «il punto finale dell’evoluzione ideologica dell’umanità» (Francis Fukuyama), ci ritroviamo a fare i conti con la crisi dell’idea liberale e di conseguenza a non sentirci per niente bene.

Un libro appena uscito in inglese, scritto dal bulgaro Ivan Krastev e dall’americano Stephen Holmes, prova a cercare una spiegazione originale al motivo per cui ci troviamo in questa situazione. Il saggio si intitola The Light that Failed, la Luce che è fallita, titolo evocativo di quello anticomunista del 1949. L’11 settembre, la guerra in Iraq, la crisi finanziaria del 2008, l’annessione russa della Crimea e l’invasione dell’Ucraina, l’impotenza occidentale a fermare il disastro umanitario in Siria, l’emergenza migratoria del 2015 in Europa, il referendum sulla Brexit, l’elezione di Donald Trump e l’ascesa né liberale né democratica della Cina sono le ragioni che hanno reso il liberalismo vittima del suo stesso successo, ma secondo i due autori l’aspetto più interessante è quello politico-psicologico. I populisti dell’est europeo, scrivono, non protestano semplicemente contro un sistema di pensiero, ma contro la sostituzione dell’ortodossia comunista con quella liberale. La rivolta globale è contro l’ideologia del there-is-no-alternative, contro il pensiero unico, contro la presunta assenza di alternativa al liberalismo, perché i popoli hanno bisogno di poter scegliere o perlomeno devono vivere l’illusione di poterlo fare.

Come in uno specchio, scrivono Krastev e Holmes, gli occidentali vedono nel tentativo di imitazione altrui la minaccia di modificare irreparabilmente quel modello di vita: «Questa paura di essere spodestati e sostituiti ha due fonti: da un lato gli immigrati e dall’altro la Cina»

L’idea che la modernizzazione sia sinonimo di assimilazione per imitazione del modello occidentale è controproducente, scrivono i due autori del libro, ed è anche la base del nuovo conflitto globale tra imitatori e imitati che ha preso il posto di quello tra Est e Ovest. La pretesa superiorità morale degli imitati sugli imitatori e l’aspettativa che l’imitazione debba essere senza condizioni invece che adattabile alle tradizioni locali, assieme alla presunzione che i paesi imitati abbiano il diritto di controllare e valutare i progressi degli imitatori, sono il gigantesco innesco del patatrac.

In Cina non succede perché i cinesi adottano le tecnologie occidentali per crescere economicamente e rafforzare il prestigio del Partito comunista principalmente allo scopo di resistere, si legge in The Light that Failed, al canto delle sirene occidentali. Il tentativo di democratizzare, di aprire, di modernizzare, invece, ha come obiettivo una specie di conversione culturale a valori e comportamenti considerati normali in Occidente o a Londra o a Milano, ma che altrove è considerata una minaccia all’identità nazionale.

Questa era dell’imitazione ha un impatto notevole anche nel mondo occidentale. Come in uno specchio, scrivono Krastev e Holmes, gli occidentali vedono nel tentativo di imitazione altrui la minaccia di modificare irreparabilmente quel modello di vita: «Questa paura di essere spodestati e sostituiti ha due fonti: da un lato gli immigrati e dall’altro la Cina».

Il ragionamento di Krastev e Holmes è seduttivo, oltre che confermato dalle analoghe impossibilità di imporre il modello liberal democratico nel mondo arabo e musulmano, anche se non si avventura a spiegare per quale motivo invece tutto questo abbia funzionato nel dopoguerra post fascista italiano e altrove. E allora, d’accordo: superbia, vanagloria e saccenteria nuocciono gravemente alla salute dell’occidente. E con la boria del non-c’è-alternativa al sistema di vivere che piace a noi non si fanno amicizie. Meglio mostrare doti di umiltà, adeguare la way of life ai tempi che corrono e non imporre a nessuno modelli da imitare, ma allo stesso tempo occhio agli imitatori nostrani dell’autoritarismo illiberale.

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