Sistema ItaliaIl rettore della Bocconi spiega perché il modello Bocconi e il modello Milano funzionano

Gianmario Verona, alla guida dell’università d’eccellenza, inaugura oggi l’anno accademico e il nuovo campus alla presenza del presidente della Repubblica Mattarella. «Bisogna affrontare la complessità con competenze adeguate, più ricche, articolate senza prendere in giro i cittadini»

Bocconi

«“In” Bocconi crediamo nella complessità». Il rettore Gianmario Verona ha un’ostinata propensione a essere sia fuori che dentro il suo tempo. Fuori, perché ci vuole coraggio a rispondere con la complessità a una società che chiede risposte facili e scorciatoie del pensiero. Dentro, perché oltre il chiacchiericcio italiano che incolpa Milano perché corre meglio degli altri, il mondo del lavoro non fa sconti. E chiede studenti sempre più competenti e reattivi. Eduardo De Filippo, napoletano, diceva che gli esami, non finiscono mai. Meglio di altri lo hanno capito i ragazzi, milanesi e non, che studiano alla Bocconi. Anzi, “In Bocconi”. Dentro quel “In” che accompagna molte delle risposte del rettore Verona in questa intervista, c’è l’essenza dell’università che guida: la milanesità, la profondità, l’autoreferenzialità positiva che ha portato questo ateneo a osare prima degli altri, a provare strade nuove e in alcuni casi a indicare una via “bocconiana”. Non è un caso che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella partecipi oggi all’inizio dell’anno accademico, in cui si inaugurerà anche il nuovo campus realizzato dallo studio giapponese Sanaa.

Oggi nel suo discorso di apertura per l’anno accademico sostiene che il 2019 è l’anno della consapevolezza e dell’apertura. Consapevolezza e apertura verso dove?
Verso la complessità. Viviamo in un mondo sempre più interconnesso e ricco di momenti in cui si richiedono le competenze adeguate per prendere decisioni corrette. È giunto il momento di affermare con forza e coraggio un concetto: non si può semplificare la complessità, bisogna affrontarla con gli stessi strumenti che la complessità richiede. Competenze adeguate, più ricche, articolate che diano le risposte giuste e non prendano in giro i cittadini.

Ce l’ha con la semplificazione?
No, sono contro la banalizzazione dei problemi. Negli ultimi anni dai vaccini alla Brexit sembra che il mondo possa essere risolto in modo facile. Ma anche i problemi elementari di qualsiasi nazione moderna e democratica sono molto complessi da risolvere. Il Regno Unito è la quintessenza di questo ragionamento: il popolo vota per Brexit e il governo non riesce a uscire. La realtà è molto più complicata di quello che sembra.

Non avete paura di essere soli?
Un anno fa eravamo in pochi. Il dibattito pubblico era disarmante. Si parlava di uscire dall’Unione europea, di tornare alla Lira. Per fortuna si è evoluto molto il dibattito perché chi è andato al governo ha fatto esperienza e ha capito l’importanza di affrontare i problemi in modo concreto. Per interagire con delle istituzioni complesse come quelle europee bisogna avere conoscenze in materia, fare leggi sensate. Sto vedendo in giro sempre meno semplificazioni, siamo nella direzione giusta. Poi per carità, all’estero c’è sempre qualche politico che punta a esacerbare lo scontro.

Non solo all’estero. Anche qui in Italia abbiamo parlato per due settimane di Milano contro il resto d’Italia. Questa città corre troppo?
È facile cercare negli stereotipi un antagonismo tra Roma e Milano, nella realtà non lo vedo. Ci sono tanti ecosistemi che funzionano molto bene in Italia. Ci stupiamo che grandi città si sviluppino e siano più forti delle altre. Ma è così anche Londra nel Regno Unito o Parigi in Francia. Nella società di oggi è fondamentale stimolare a livello regionale e locale tutte le opportunità di crescita. Il vero tema è capire i punti di forza e cercare di replicarli.

Ecco, quali sono i punti di forza di Milano?
Questa è una città bellissima, operosa, internazionale. Ha nel suo humus l’efficienza e la mentalità internazionale tipica delle metropoli mondiali. Expo ha concentrato in poco tempo molti turisti e molti capitali finanziari. I vari sindaci a prescindere dal colore politico sono stati pragmatici e visionari. Poi si è creato anche un certo discorso di Milano su Milano che ha creato e rafforzato uno storytelling che attrae sempre più investitori.

E cosa rende speciale la Bocconi?
Non l’abbiamo costruita dalla sera alla mattina. Storicamente ci piace avere una visione e puntare percorsi a lungo termine. Così abbiamo costruito i nostri punti di forza. In Bocconi abbiamo fatto tante scelte coraggiose rispetto al sistema Italia. Siamo stati i primi a introdurre la customer satisfaction degli studenti o i primi a scommettere nei corsi di laurea in lingua inglese negli anni Novanta. Gli studenti “smart” cercano di mettersi in discussione. Vanno dove ci sono le opportunità e non si fanno problemi a parlare più lingue. Per questo il nostro contesto di formazione non è circoscritto a Milano, alla Lombardia o l’Italia. Ma prima l’Europa e in generale il mondo. Perché l’Università non può essere come nel passato.

L’università non deve essere solo un momento in cui si trasferisce e divulga la conoscenza. Bisogna crearla. La ricerca deve essere il punto di partenza


Gianmario Verona, rettore Bocconi

E come deve essere?
L’università non deve essere solo un momento in cui si trasferisce e divulga la conoscenza. Bisogna crearla. La ricerca deve essere il punto di partenza. Purtroppo in Italia e in Europa a volte ci si dimentica di questa parte iniziale. E invece è l’input fondamentale per creare valore. Nel corso del tempo ci siamo resi conto che potevamo fare anche delle cose un pochettino più ambiziose rispetto a quelle che immaginavamo.

Per questo avete introdotto una nuova laurea triennale per insegna i metodi per l’intelligenza artificiale?
Sì, il nostro non è un corso “in” artificial intelligence, ma “for” artificial intelligence. Ormai l’intelligenza artificiale fa parte delle nostre vite. Da Siri ad Alexa in casa o strumenti fuori che ci permettono di interagire sempre in modo più automatico con i servizi. E chi studia nei nostri corsi di Giurisprudenza, Scienze Politiche, Economia e Management avrà sempre più a che fare con l’AI. Non dobbiamo insegnare solo gli ultimi modelli economici o le ultime normative. Bisogna dare ai ragazzi gli strumenti per interfacciarsi all’intelligenza artificiale.

Volete creare dei tecnici dellintelligenza artificiale?
No, l’obiettivo in Bocconi non sarà mai quello di formare dei super tecnici verticali in grado di creare mega computer. Vogliamo dare ai nostri studenti una formazione adeguata per governare la tecnologia e prendere le decisioni in modo saggio. Altrimenti di questi grandi dati non ce ne faremo mai nulla.

Comè nata l’idea?
Bisogna prestare attenzione all’evoluzione del mercato del lavoro. Ascoltiamo molto i nostri portatori d‘interessi. Ci vediamo un po‘ come un mercato a due facce. Da un lato gli studenti dall’altro quelli che assumono gli studenti. Siamo la piattaforma in mezzo. Chi assume ci deve dare degli spunti per capire cosa servirà tra 3, 4 o 5 anni, come il corso sull‘Intelligenza Artificiale. Allo stesso tempo non bisogna commettere un errore: fare esattamente quello che ci chiedono. La nostra conoscenza scientifica è fondamentale come mediatore della domanda perché magari ci sono delle mode manageriali che valgono oggi e tra due anni nessuno ne parla più.

Non a caso il motto della Bocconi è «Knowledge that matters», la conoscenza che conta.
Qui in Bocconi gli studenti vogliono avere una opportunità di carriera coerente con le loro ambizioni e aspettative. Si aspettano che l’università serva per apprendere le conoscenze che gli permetteranno di accedere nel mercato del lavoro. Per questo il nostro motto ha due significati. Primo, formare le competenze che sono richieste al mercato. Ma ci proponiamo di fare anche una cosa più alta e ambiziosa.

Quale?
Quella legata alla parte più teorica delle scienze sociali. Vogliamo impattare nella società nel suo complesso creando dei modelli di conoscenza che poi vengono appresi a livello internazionale. Ci piace l’idea di essere un benchmark, che la nostra ricerca scientifica sia un punto di riferimento a livello mondiale. Bocconi è primo in Italia negli European Research Council grant, le più ambite in Europa.

Come si fa ad attrarre talenti stranieri? Non succede quasi mai in Italia.
Abbiamo 80 professori stranieri su 365. Per dire abbiamo assunto Peter Pope, uno dei luminari del mondo dell’accounting e della contabilità ed era ordinario alla London School of Economis. Oppure abbiamo riportato un talento italiano qui da noi: Luca Trevisan che è stato professore ordinario a Stanford e Berkeley. L’università italiana è a macchia di leopardo. Ci sono dei centri di eccellenza anche in alcune università del Centro-Sud da non sottovalutare. Il problema è che non c’è non è orchestrato il tutto. Si basa ancora su un sistema di reclutamento fatto d‘incentivi poco allineato a ciò che succede a livello internazionale.

Parliamo del nuovo acceleratore B4i, Bocconi for innovation che supporterà lo sviluppo di 30 start up all’anno, con un investimento economico di 30 mila euro. Che tipo di servizio offrirete in concreto?
Il bando aperto a novembre scadrà il 6 gennaio. Le prime imprese entreranno a marzo. Quando si apre una start up si cerca di sviluppare un prodotto o un servizio raccogliendo capitali. L’acceleratore è lo strumento che serve alla start up per cercare di velocizzare la fase di scale up. Ovvero quella in cui si capisce se il prodotto o servizio può spiccare il volo o se rimarrà per sempre una piccola aziendina. Non creiamo brevetti ma forniamo spazi, servizi ma soprattutto formazione.

Formazione di che tipo?
Spesso un ragazzo in gamba ha il prodotto vincente ma non riesce a connettersi alle persone giuste per fare la parte di marketing e gestione dell‘organizzazione del personale che diventa complessa quando l’azienda si ingrandisce. L‘acceleratore offre questo servizio in tempi concitati: richiede quattro mesi di presenza fisica. E poi avanti un altro.

Ultima domanda: bocconiano è un aggettivo che cammina ormai da solo sulle sue gambe e ha tante sfumature a seconda dei detrattori o sostenitori. Cosa rappresenta secondo lei?
Non siamo dei battitori liberi. Abbiamo sempre cercato di crescere col contesto universitario intorno a noi. Abbiamo definito il nostro perimetro in modo più innovativo rispetto ad altri. In vari momenti storici la Bocconi ha sempre cercato di buttare il cuore oltre l‘ostacolo. Il bocconiano non è solo l‘esperto di finanza o di economia. Essere bocconiani è un metodo.

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