Emergenza demograficaPer aiutare (davvero) la natalità non servono né bonus, né voucher. Serve più occupazione femminile

Secondo quanto riportato dal movimento Liberi, Oltre Le Illusioni, nella letteratura scientifica l’impatto degli incentivi sui livelli di fertilità è quasi nullo. L’esperto Ocse Thomas Manfredi: «Si tratta di una soluzione semplice ad un tema complesso». Piuttosto, bisogna ripensare l’intero sistema

PASCAL GUYOT / AFP

Da anni ne vediamo di ogni genere: bonus per babysitter, detrazioni, contributi una tantum per “premiare” le neo mamme e così via. Il governo gialloverde aveva addirittura deciso di regalare terreni alle famiglie che facevano un terzo figlio. Una pratica che però «non sembra aver creato legioni di famiglie di nuovi agricoltori con abbondanza di prole» (dalle parole di Ferruccio de Bortoli qualche giorno fa sul Corriere della Sera). Ambizioni latifondiste a parte, la realtà è che, con un tasso di natalità di 1,3 figli per donna, l’Italia rimane fanalino di coda per numero di bimbi nati.

Ora, il governo Pd-M5S e la ministra per la famiglia Elena Bonetti hanno voluto mettere in campo nuove misure per sostenere le famiglie e incentivare la natalità, attraverso un piano in due step. Il primo prevede stanziamenti con la finanziaria su tre fronti: la conferma e il potenziamento del bonus nido, il contributo da 1500 euro (incrementabile fino a 3mila euro per i redditi medio-bassi) per i bambini che frequentano l’asilo nido, pubblico o privato; l’estensione a tutti e il potenziamento del bonus bebè, il contributo dagli 80 ai 160 euro mensili per ciascun figlio, per i nati a partire da gennaio 2020; infine il congedo obbligatorio per i papà, che passa da 4 a 7 giorni.

Questi i provvedimenti immediati a partire da gennaio 2020. La previsione è che poi segua una riforma struttura del welfare per le famiglie, una misura che presumibilmente prenderà il nome di “Family act” e che dovrebbe prevedere un assegno universale, oltre ad un generale ripensamento del reddito di cittadinanza. Qualcosa che «muove nella giusta direzione», dicono i commentatori, e che però ancora bisogna capire in cosa si sostanzierà precisamente. Fino a questo momento, infatti, la pioggia di benefit e contributi non si è dimostrata la soluzione per risolvere il problema demografico e stimolare un aumento significativo delle nuove nascite. A dirlo è Liberi, Oltre Le Illusioni, il movimento che mira a favorire lo sviluppo e l’utilizzo del metodo scientifico nello studio e nella valutazione delle tematiche sociali.

«In Italia oggi abbiamo 420mila bambini con meno di un anno di vita. In Francia, che ha anch’essa circa 60 milioni di abitanti, ce ne sono quasi 800mila»


Thomas Manfredi

«Ho analizzato i dati e la letteratura economica per controllare se ci sia una connessione, una correlazione, una causazione, cosa di per sé difficilissima, data l’impossibilità di fare esperimenti o quasi esperimenti, in questi casi. Quello che si evince è che i benefit famiglia e i trasferimenti alle famiglie e per i bambini hanno praticamente un effetto sulla fertilità quasi nullo», spiega Thomas Manfredi, Statistico del Dipartimento delle Politiche del Lavoro e Sociali dell’Ocse. «Tutti i bonus messi in campo per raggiungere questo obiettivo, perciò, sono denaro pubblico male utilizzato, o con finalità non chiare».

Il problema della natalità, spiegano dal movimento, è un fenomeno che parte da lontano. Se negli anni Sessanta il tasso di fertilità in Italia era attorno a 2.65, negli anni ’90 è crollato a 1.12, per poi risalire leggermente a 1,4 nel 2010, e infine scendere di nuovo, attestandosi recentemente attorno all’1.3 (in altri paesi, come la Francia, dagli anni ’80 in poi ci si è invece assestati a livelli più elevati, attorno al 2). Complice l’alto tasso di longevità e il generale invecchiamento della popolazione, il problema demografico nel nostro Paese potrebbe presto diventare una vera e propria bomba sociale. «In Italia oggi abbiamo 420mila bambini con meno di un anno di vita. In Francia, che ha anch’essa circa 60 milioni di abitanti, ce ne sono quasi 800mila. Se le cose rimangono così nel 2050 in Italia ci saranno meno di 50 milioni di abitanti, un problema che diventerà anche economico», spiega Manfredi a Linkiesta. E allora non serviranno neanche più le riforme delle pensioni per risolverlo.

«Moltissimi fattori influiscono sulla natalità, perciò bisognerebbe porsi la domanda su quali tipi di strumenti lo Stato può mettere in campo», dice Manfredi. «Gli strumenti del reddito sono i più semplici, ma la verità è che servirebbero politiche strutturali di lungo periodo a favore dell’occupazione e contro la precarietà». Malgrado le statistiche generali indichino una correlazione negativa tra Pil pro-capite e tasso di fertilità (ovvero il fatto che nei paesi “più ricchi” si fanno meno figli), infatti, gli studi indicano anche una varianza elevata all’interno delle stesse classi di reddito. Non si tratta quindi soltanto di stipendio e della generale disponibilità di denaro delle famiglie. «Il problema della fertilità delle donne riguarda soprattutto le più istruite, ed è particolarmente accentuato per quelle che finiscono l’università: fra le 25-34enni italiane, che hanno un tasso di fertilità vicino a 1, più di una su tre è laureata», dice l’esperto. La tendenza ad inserirsi più tardi, e in maniera stabile, nel mondo del lavoro, insomma, comporta soprattutto per le donne che la decisione di fare figli venga quantomeno rimandata. Sono gli stessi dati, ancora una volta, a confermarlo: l’Italia è penultima in Europa per occupazione femminile, con una partecipazione ferma al 52%, a fronte di una media Ue del 69%. In più, poco più di 5 donne su 10 tornano al lavoro dopo aver avuto il primo figlio.

«In Italia la transizione dagli studi al mercato del lavoro e verso un impiego stabile richiede un tempo molto lungo. Per ottenere un effetto duraturo sul fronte della natalità, più che altro bisognerebbe agire su quel fronte»


Thomas Manfredi

In generale il clima di instabilità politica ed economica in Italia impedisce di mettersi nell’ottica di una progettazione di lungo periodo, tale qual è la decisione di formare una famiglia. A maggior ragione, poi, se gli strumenti messi in campo da parte dello Stato cambiano continuamente: «Il problema vero in Italia è che si fa difficoltà a fare programmazione, si mettono in atto politiche mordi e fuggi. Per questo temo che all’“assegno universale” che il governo ha promesso non ci arriveremo neanche. È chiaro che si tratta di un’azione positiva, ma di certo non risolve il problema», spiega Manfredi.

Ad oggi, gli asili nido sono considerati come uno degli incentivi più forti alla natalità. Recente è l’annuncio del ministro dell’Economia Gualtieri di renderli gratuiti per tutti (un asilo nido pubblico costa alle famiglie intorno ai 300 euro al mese, uno privato può arrivare anche a 500). Un fatto positivo, anche se il problema resta: «Molti comuni non hanno asili nido, soprattutto al Sud la carenza è grave», dice l’esperto. Ma anche la possibilità di andare al nido, e di andarci gratuitamente, rappresenterebbe un mero tampone. Il tempo pieno nella scuola elementare, soprattutto al Sud, infatti, è notoriamente un problema; anche alle medie la scuola normalmente finisce alle 13, ma i bambini non sono ancora sufficientemente autonomi. «Così si obbliga la famiglia, che in questo Paese normalmente significa le donne, a lavorare in part time o a non lavorare per stare a casa, o comunque a dover trovare aiuto tramite i nonni o la babysitter». Non si tratta, insomma, soltanto di agire nel contesto dell’infanzia. Perciò «queste cose vanno pensate in maniera globale, occorre disegnare un sistema diverso rispetto all’attuale. Eppure le dinamiche attuali sembrano una cosa immutabile tanto sono radicate. Qualcosa che parla anche dell’ambiente stagnante delle politiche pubbliche».

La verità è che non ci sono soluzioni semplici, ma di certo mettere in atto politiche che incentivino l’occupazione dei giovani, e soprattutto quella femminile, sarebbe di aiuto. L’elaborazione di un patto organico e di una strategia condivisa fra il ministero della Famiglia e quello dell’Istruzione, mettendo più risorse sulla scuola, poi, costituirebbe una svolta più sostanziale per sostenere le famiglie in maniera efficace. Serve, insomma, ripensare da zero il sistema. «La ciclicità del tasso di fertilità fa capire che la fertilità dipende anche da fattori economici quali l’accesso sul mercato del lavoro, che possono essere al centro delle politiche economiche. In Italia la transizione dagli studi al mercato del lavoro e verso un impiego stabile richiede un tempo molto lungo. Per ottenere un effetto duraturo sul fronte della natalità, più che altro bisognerebbe agire su quel fronte». E anche l’aspetto immigratorio non andrebbe sottovalutato: «alcuni studi mostrano come le donne donne che migrano in Francia, anche da paesi con fertilità più bassa, raggiungono un tasso di fertilità pari a quello francese», conclude Manfredi. «Ad un certo punto in Italia bisognerà porsi il problema di come costruire un’idea diversa di Italia. Se non lo si fa anche per questi ragazzi, il problema si potrebbe riverberare anche sul futuro».