Qualità e prezzoCinque ristoranti di Milano dove si mangia bene e si spende poco

Non solo stellati. La città è il regno delle trattorie, tradizionali o moderne: l’offerta punta sull’autenticità, lontana sia dalle mode culinarie dell’ultima ora sia dalle tendenze più inflazionate

Una piacevole esperienza gastronomica a meno di 32 euro (35 nelle città capoluogo e turistiche importanti). Dei buoni prodotti ben valorizzati. Un locale semplice e confortevole. Un conto ragionevole. Una cucina con un eccellente rapporto qualità/prezzo. Ecco le caratteristiche dei ristoranti Bib Gourmand segnalati dalla Guida Michelin 2020.

Non solo stellati, dunque. Se si vuole mangiare bene c’è spazio per tutti, anche quando il portafogli non è proprio stracarico. Siamo nel regno delle trattorie – tradizionali o di moderna concezione – luoghi di ristorazione autentici, lontani sia dalle mode culinarie dell’ultima ora sia dalle tendenze più inflazionate sia dagli arredi tutti uguali e impersonali. La cucina, certo, è più tradizionale, con incursioni nelle identità regionali o etniche. Ma è anche più verace, negli ingredienti e nelle porzioni. L’atmosfera è meno formale del ristorante stellato e quindi più rilassata e accogliente. In altri termini, la vittoria della sostanza sulla forma. Proprio nella Milano capitale della ristorazione più cool, segnaliamo pertanto i cinque locali per una esperienza di gusto sincero (e con un ottimo rapporto qualità-prezzo)

Cucina Dei Frigoriferi Milanesi

Sede intrigante nel contesto artistico-culturale dei Frigoriferi Milanesi. Toni moderni nell’ambiente e nella cucina. Un nuovo concept di carta “destrutturata”: basta con l’elenco classico di antipasti, primi e secondi; spazio invece a piatti che possono essere accostati secondo l’estro del momento. Uno vero e proprio ristorante gourmet dove provare la cucina dello chef Marco Tronconi.
Aperto già dalla colazione, con un’ottima proposta lunch a 14 euro per la pausa dei business men, la sera diventa l’indirizzo gourmet – ma intimo e informale – per palati raffinati.
Marco Tronconi si muove ai fornelli con grande abilità sfruttando la qualità di materie prime selezionate da piccoli produttori, spesso presidi Slow Food.
I piatti top sono il risotto croccante allo zafferano con carciofi e calamari arrostiti, l’ossobuco con gremolada e la tarte Tatin di pera e gelato al fior di latte.

Dongiò

Qualcuno lo considera – non a torto – un ristorante d’altri tempi. Tra tante pseudo-trattorie che popolano il panorama della ristorazione meneghina, ecco qui un pezzo di Calabria autentico nei modi, accessibile per le tasche e dal cibo genuino. Ambiente semplice e frequentato, non lontano dalla stazione di Porta Romana, offre una cucina saporita e rassicurante, con prodotti di buona qualità, in gran parte selezionati in Calabria, oltre a pasta fresca, pane e dolci fatti in casa. A conduzione familiare come ormai se ne trovano pochi. Identità calabrese per alcuni piatti: bruschetta con la ‘nduja e spaghetti alla tamarro (con trevisana rossa, ‘nduja, salsina di pomodoro, crema di ricotta forte). Ma anche piatti della tradizione meridionale: tagliatelle alla salsiccia, gnocchi al ragù di salsiccia (o con altri sughi), schiaffettoni al pesto di pistacchi, spaghettoni con crema di puntarelle, polpette in umido, straccetti di fassona con carciofi.

Le nove scodelle

“NoLo” è il quartiere a nord di piazzale Loreto, cuore pulsante della new wave gastronomica meneghina. “Le Nove Scodelle” fa parte di questo movimento ed è una filiazione della firmata Ravioleria Paolo Sarpi aperto da Agie Zhou. Sia chiaro: niente a che fare con il classico e scontatissimo cinese. Come spiega l’insegna – “Cucina del Sichuan” – in questo ristorante si propongono filologicamente le ricette originali di una regione specifica di quel vastissimo universo, caratterizzate da un particolare mix di spezie e pepi e non addomesticate secondo il gusto italiano. Le scodelle nel menu sono davvero nove e spaziano dalla carne al pesce al vegetariano. Gli spaghetti e i ravioli sono fatti a mano. Equilibrio e complessità nelle preparazioni nonostante la piccantezza esplicita (peraltro segnalata nel menu, così come i fornitori delle materie prime). Gli ingredienti sono selezionatissimi (materie prime spesso biologiche, da rinomati produttori per lo più locali), le verdure sono fermentate in casa, le birre sono artigianali alla spina e la sala offre un piacevole design.

Serendib

“Serendib”, l’antico nome dello Sri Lanka, significa “rendere felici”: una sfida assai ambiziosa, ma questo ristorante offre davvero momenti di non trascurabile felicità. Fedele alle origini, propone una serie di ricette indiane e cingalesi, con influssi occidentali che li rendono graditi anche ai palati poco abituati alle spezie orientali. Si può cominciare con le polpette vegetali in pastella e fritte oppure le masvadè (polpette di carne e legumi in pastella) anch’esse fritte. Da provare lo sfizioso alams, cioè il manzo in salsa di curcuma e curry, oppure il kukulhodhi, pollo stufato e aromatizzato con curry e erbe. Ci sono anche il riso biriyani, il chicken curry, gli indiappa, vermicelli di riso conditi con verdurine, il wambottu, un piatto di melanzane fritte coi porri che ricorda vagamente la caponata siciliana, e l’alahodi ossia patate con una salsina speziata. Per finire, un ottimo liquore al cardamomo ghiacciato. Il personale è gentile, veloce, discreto.

Trippa

Semplice, informale e con un tocco retrò, la trippa è una delle proposte di quinto quarto che troverete spesso in carta, che tuttavia si amplia a piatti di ogni regione, di immediata forza e comprensibilità, senza inutili fronzoli. La qualità dei prodotti e le capacità di un grande interprete – il giovane cuoco – ne fanno una delle migliori trattorie della città. Specialità: risotto alla milanese con midollo alla brace, vitello tonnato, e la sempre presente trippa!

ha aperto nell’estate del 2015 a Porta Romana, una zona dove l’offerta gastronomica è in crescita, e da allora è diventato un nome noto tra i milanesi, appassionati di cucina o meno. È il progetto di due amici: Diego Rossi, chef veneto di 30 anni che si è formato in prestigiosi ristoranti del nord Italia maturando una cucina sostenibile, con frutta e verdura di stagione, erbe spontanee e i tagli più poveri di carne e pesce; e Pietro Caroli, una carriera nel marketing e un’altra nel mondo dei food blogger. Si conoscono a una cena e scoprono l’ambizione comune di aprire un locale dove sentirsi a casa e riempirsi la pancia con i piatti della tradizione italiana, tra ingredienti e sapori dimenticati. «Non abbiamo inventato nulla di nuovo e non avevamo l’ambizione di farlo. Forse siamo stati bravi a riproporre in un nuovo contesto concetti vecchi, che molti credevano superati», dicono. Il menu di Trippa è «corto, ma molto vario e variabile: 4 antipasti 3 primi (detti Minestre), 3 secondi, 3 fuori carta, 4 dolci» e 4 piatti della casa che non mancano mai: trippa fritta, trippa del giorno, midollo alla brace (se fresco) e vitello tonnato, «rivisitato nell’impiattamento e nella cottura» e diventato un classico del locale.

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