Non ingerenza e associatiI Cinque Stelle amano così tanto la Cina che su Hong Kong sono rimasti isolati in Parlamento

Maggioranza divisa sulla condanna della repressione di Pechino ai manifestanti. Joshua Wong interviene via Skype in diretta con il Senato, presenti senatori dell’opposizione, ma anche la Dem Fedeli. Intanto la Lega preme su una posizione filo-Trump e anti-Pechino. E corteggia Taiwan

I Cinque Stelle non ne voglio proprio sapere di esporsi in merito alla repressione cinese a Hong Kong dopo il diktat sulla linea della neutralità di Luigi Di Maio: «Non ci occupiamo di questioni interne di altri Paesi». E i grillini ieri in effetti erano il grande assente al collegamento in diretta Skype dal Senato con il leader degli attivisti Joshua Wong organizzato da Fratelli d’Italia e dal Partito radicale e promosso dal senatore di Fdi Adolfo Urso. Un incontro trasversale, fatta eccezione dei grillini. Attorno allo stesso tavolo, c’erano tanti senatori dell’opposizione, da Fdi a Forza Italia fino alla Lega, ma era presente anche una esponente della maggioranza, la Dem Valeria Fedeli. Nessuno, però, dei Cinque Stelle.

La questione Cina, con le proteste a Hong Kong, è l’ultimo tema che spacca i giallorossi. Con i grillini che restano con le bocche cucite, soprattutto dopo le notizie della doppia visita di Beppe Grillo all’ambascia cinese di Roma. «Questo nostro meeting è in streaming, e lo dico a Beppe Grillo», ha sottolineato Urso. «Lui invece non ci dice cosa ha detto in due lunghi incontri avuti con l’ambasciatore cinese dopo aver visto Di Maio». «Beppe Grillo dov’è?», scherza pure Federico Mollicone, Fdi. La sala applaude, Fedeli no.

La prossima settimana la Commissione Esteri della Camera, e a seguire quella del Senato, presenteranno una mozione pro-Hong Kong. A Montecitorio tutte le forze politiche sono già d’accordo. «E anche al Senato faremo la stessa cosa», ha detto la senatrice Fedeli da Palazzo Madama. «Davanti alle notizie che arrivano, non può esserci neutralità». Ma alla Camera i 5S continuano a rifiutarsi di firmare la risoluzione, presentata da Maurizio Lupi e appoggiata da Pd, Leu, Italia Viva, Forza Italia, Lega e Fdi, che impegna il governo a verificare «l’eventuale violazione dei diritti umani» a Hong Kong. Tra i primi firmatari c’è anche la Dem Lia Quartapelle, che ai grillini continua a chiedere «un voto per Hong Kong».

La prossima settimana la Commissione Esteri della Camera, e a seguire quella del Senato, presenteranno una mozione pro-Hong Kong. A Montecitorio tutte le forze politiche sono già d’accordo, a eccezione dei grillini

Al Senato, il collegamento con Joshua Wong è avvenuto via Skype in diretta dalla sua camera. In Italia Wong doveva venirci di persona, ma le autorità di Hong Kong gli hanno negato l’espatrio. L’attivista, che il giorno prima dalla Fondazione Feltrinelli di Milano si era detto «deluso da Di Maio», in diretta con Palazzo Madama ha accusato l’Italia di contribuire alla «fornitura dei mezzi antisommossa per la repressione della protesta», ha parlato dell’uso di «stupri sulle donne come forma di repressione da parte della Cina», chiedendo al governo italiano di «rivedere i legami economici con il regime di Pechino» e di intraprendere iniziative simili al Democracy Act appena firmato da Donald Trump. «L’Italia non dovrebbe dipendere troppo dagli interessi economici cinesi, soprattutto dalla Belt and Road Initiative», ha detto Wong. E a Di Maio ha mandato un messaggio: «Non esiste nessun pranzo gratis nel mondo», ha detto. Per poi chiedere all’Italia «di prendere una posizione chiara. Perché a Hong Kong non possiamo eleggere nostro sindaco come a Roma? Perché Pechino ci nega questa possibilità».

Ma i Cinque Stelle proseguono dritti sulla linea della neutralità. Pino Cobras, capogruppo grillino in Commissione Esteri del Senato è in prima fila. «La non ingerenza», ha scritto, è «un atto di elementare prudenza, di capacità di non farsi imporre l’agenda da nessuno, di non far strumentalizzare il Parlamento di un paese come l’Italia nell’indirizzare l’evoluzione costituzionale di un Paese straniero, o addirittura nella ricerca di un “regime change”». «Su Hong Kong la “non ingerenza” sostenuta dal M5s è poco più di una foglia di fico: quando un conflitto non è ad armi pari, non interferire significa schierarsi, e farlo dalla parte del più forte», gli ha risposto Quartapelle.

L’Italia contribuisce alla fornitura dei mezzi antisommossa per la repressione della protesta


Joshua Wong

Le critiche più dure alla posizione dei Cinque Stelle arrivano dall’opposizione. Mentre il deputato di Fdi Andrea Delmastro ha fatto sapere che «se anche Wong fosse arrivato in Italia, non sarebbe stato audito dalla Commissione esteri della Camera, poiché non ho mai ricevuto risposta alla mia richiesta», il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli – che nel 2014 aveva aperto un ombrello giallo in solidarietà con i manifestanti di Hong Kong esponendo il cartello “Io sto con gli studenti anticomunisti” – ha detto che bisognerebbe «cominciare a pensare di introdurre il concetto di dazi di civiltà».

La Lega, intanto, alla ricerca di un posizionamento filotrumpiano che ha rischiato di perdere dopo l’avvicinamento gialloverde a Pechino, preme su una linea anti-Pechino e da giorni chiede una posizione de governo su Hong Kong. Tra i presenti all’incontro pro-Hong Kong in Senato, c’era anche il capo della rappresentanza di Taiwan in Italia, Andrea Sing-Ying Lee, a due mesi dalle elezioni presidenziali dell’isola che Pechino ha detto di voler riannettere entro il 2020. Una coincidenza che è saltata subito all’occhio. Soprattutto dopo che una delegazione della Lega, guidata dall’ex ministro Gian Marco Centinaio con al seguito altri parlamentari leghisti, ha incontrato da poco a Tapei il vicepresidente di Taiwan, insieme a due membri repubblicani del congresso degli Stati Uniti.

Centinaio, tanto per essere chiaro, si è spinto a postare una sua foto con la bandiera taiwanese. Qualche giorno prima Beppe Grillo aveva fatto di più, elogiando sul suo blog il sistema cinese nella regione dello Xinjiang e negando la repressione del governo di Pechino sulla minoranza uigura denunciata dalla comunità internazionale. Un post preparatorio, forse, ai suoi incontri con l’ambasciatore cinese a Roma.

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