Sminuire è tipico di chi preferisce alleggerire le proprie responsabilità. Certo, si potrebbe pensare che quando è una bambina a rivolgersi, quasi quotidianamente, a un proprio compagno di classe additandolo come «Nero, nero!» non ci sia spazio per parlare di razzismo. Eppure non sarebbe sbagliato farlo. Basterebbe inserire questo episodio in un contesto. Più ampio. Che non si limiti alla scuola. Che non ha affatto il sapore di un gioco o di uno scherzo tra bambini.
Mentre l´Istituto scolastico ha scelto subito di minimizzare l´accaduto, quasi a volerlo liquidare come un caso isolato, è comprensibile che il papà, preoccupato e svilito per il proprio figlio, abbia deciso di rendere pubblico quanto stava succedendo, affidandosi a Facebook. Chiedendo alla scuola di svolgere il proprio compito. Un compito educativo. Anche di principi e di valori, quali la tolleranza e il rispetto. Già alla scuola materna il figlio veniva spesso preso in giro per il suo colore della pelle.
Ma torniamo all´idea che quanto successo a Borgaro, nella Provincia di Torino, sia davvero un caso isolato. Sporadico. Vale la pena di raccontare un altro episodio – come questi ce ne sono tanti altri che non finiscono sotto i riflettori dei media – relegato alle pagine di cronaca locale. «Non gioco con te perché sei nera e hai il cuore nero, non ti prendo per mano perché sei sporca». A pronunciare queste parole è stata una bambina nei confronti di una sua compagna di classe in una scuola elementare di Gerenzano in provincia di Como. A denunciare l´accaduto questa volta è stata la mamma trentacinquenne che è riuscita a fare ammettere alla bambina di essersi rivolta alla figlia in modo offensivo. Di fatto razzista.
Deciso a non chiedere la fiducia, a pochi mesi dalle elezioni politiche, l’ex Premier disse convinto che una bocciatura del ddl avrebbe portato a una sua inevitabile archiviazione. Strategia che non sembra peró avere funzionato.
In entrambi i casi parliamo di bambini di sette, otto anni. Fatti di cronaca che dovrebbero fare riflettere la politica. Dovrebbero spronarla a mandare avanti riforme (o a modificarne altre) per evitare che quel contesto più ampio – il Paese – continui a essere minato da un numero sempre maggiore di episodi di intolleranza, razzismo e odio. Che diventa rischioso ignorare. O minimizzare.
Cara ai democratici, la legge sulla cittadinanza agli stranieri nati in Italia si è ancora una volta arenata. Scomparendo del tutto dai radar del Governo Conte 2, tanto da non risultare piú calendarizzata in Parlamento. Se davvero la maggioranza giallorossa riuscirà a portare a termine il mandato, questo reiterato silenzio, non promette nulla di buono. E’ un copione già visto, dal finale scontato. Solo lo scorso anno infatti la legge sulla cittadinanza che il Governo Gentiloni avrebbe voluto approvare non è mai arrivata in discussione, perché al Senato non si era raggiunto il numero legale per farlo.
Deciso a non chiedere la fiducia, a pochi mesi dalle elezioni politiche, l´ex Premier disse convinto che una bocciatura del ddl avrebbe portato a una sua inevitabile archiviazione. Strategia che non sembra peró avere funzionato. Di cittadinanza non si parla più. Archiviata, appunto. In una parte del disegno di legge originario si prevedeva che la cittadinanza italiana venisse riconosciuta ai minori nati o arrivati in Italia prima dei dodici anni. La condizione per ottenerla era che avessero frequentato almeno cinque anni un ciclo scolastico (anche la primaria) o corsi professionali. Un compromesso, perché l´acquisizione della cittadinanza non era automatica. Se minorenne, a chiederla spettava a uno dei due genitori. In caso contrario era possibile fare domanda dopo due anni dal compimento della maggiore età.
L´Istat ha calcolato che al primo gennaio 2018 i minori stranieri di seconda generazione sono arrivati a superare il milione, il 75,3 per cento è nato in Italia, anche dietro i banchi di scuola il numero di giovani stranieri è aumentato, ma la legge sulla cittadinanza è archiviata
In questo limbo politico, non bisogna dimenticare che negli ultimi dieci anni, il numero di bambini e di ragazzi stranieri che vivono in Italia ha continuato a crescere. Se nel 2008 i minori non di cittadinanza italiana erano poco meno di 700mila, il 6,9 per cento dei giovani residenti nel nostro Paese, oggi – a documentarlo è Save The Children nel rapporto Atlante dell´infanzia a rischio, il tempo dei bambini – rappresentano il 10,6 per cento della popolazione minorile italiana. Questo significa che più di un minore su dieci è straniero.
La loro presenza non è omogenea sul territorio nazionale. Cresciuta soprattutto al Centro Sud e nelle isole, la maggioranza dai 0 ai 17 anni di origine straniera si concentra al Centro Nord, dove in tutte le Regioni il dieci per cento del totale dei minori residenti non è cittadino italiano. Nella sola Lombardia c´è oltre un quarto di tutti i bambini e ragazzi di origine straniera, 263mila, mentre in Emilia Romagna la percentuale arriva al 16 per cento. Il rapporto ricorda il grande contributo delle famiglie straniere per l´Italia, soprattutto, in termini di natalità: se i minorenni rappresentano in media il 16,2 per cento della popolazione residente, in questa fetta il 20,2 per cento sono residenti che non hanno la cittadinanza italiana.
L´Istat ha calcolato che al primo gennaio 2018 i minori stranieri di seconda generazione sono arrivati a superare il milione, il 75,3 per cento è nato in Italia. Ed ecco qui il punto, anche dietro i banchi di scuola il numero di giovani stranieri è aumentato. Solo nell´anno scolastico 2017/2018 – fonte del ministero dell´Istruzione – nella scuola primaria sono stati calcolati oltre 300mila stranieri, segue quella secondaria di secondo grado con quasi 200mila. Su un totale di oltre 8 milioni di iscritti, 842 mila, il 9,7 per cento, non hanno la cittadinanza italiana.
Dinanzi a dati incontrovertibili, l´Italia non ha ancora fatto passi in avanti. Come denuncia Save The Children e come è stato documentato anche dal dossier Idos sull´immigrazione 2019 il decreto sicurezza bis su cui ancora non è chiaro come intenda procedere il governo giallo-rosso ha introdotto una stretta proprio sulla cittadinanza. Nel frattempo, sempre secondo il rapporto di Save The Children, tenendo conto anche del clima italiano sull´immigrazione, si assottiglia il numero dei giovani stranieri di seconda generazione che si sentono italiani. Riconoscere loro la cittadinanza significherebbe operare a favore dell’integrazione. Essa – lo dice la nostra Costituzione – é un diritto inviolabile. Lo strumento perfetto che aiuterebbe a prevenire discriminazioni e disuguaglianze. Ma spetterebbe alla poltica il grande compito di indirizzare. Di dare quel che da tempo manca, il buon esempio.